Commentario abbreviato:

Luca 13

1 Capitolo 13

Cristo esorta al pentimento a partire dal caso dei galilei e di altri Lc 13:1-5

Parabola del fico sterile Lc 13:6-9

La donna inferma rafforzata Lc 13:10-17

Le parabole del granello di senape e del lievito Lc 13:18-22

Esortazione a entrare per la porta stretta Lc 13:23-30

Il rimprovero di Cristo a Erode e al popolo di Gerusalemme Lc 13:31-35

Versetti 1-5

A Cristo fu fatta menzione della morte di alcuni galilei. Questa tragica storia viene qui brevemente riferita e non si ritrova in nessuno storico. Nella sua risposta, Cristo parlò di un altro evento che, come questo, forniva un esempio di persone portate via da una morte improvvisa. Le torri, costruite per la sicurezza, spesso si rivelano la distruzione degli uomini. Egli ammonì i suoi uditori a non biasimare i grandi sofferenti, come se dovessero essere considerati grandi peccatori. Poiché nessun posto o impiego può mettere al sicuro dai colpi della morte, dovremmo considerare gli improvvisi allontanamenti degli altri come avvertimenti per noi stessi. Su queste basi Cristo ha fondato un appello al pentimento. Lo stesso Gesù che ci dice di pentirci, perché il regno dei cieli è vicino, ci dice di pentirci, perché altrimenti periremo.

6 Versetti 6-9

Questa parabola del fico sterile intende rafforzare l'avvertimento dato poco prima: l'albero sterile, se non produce frutti, sarà tagliato. Questa parabola si riferisce in primo luogo alla nazione e al popolo ebraico. Tuttavia, è senza dubbio destinata a risvegliare tutti coloro che godono dei mezzi della grazia e dei privilegi della Chiesa visibile. Quando Dio ha sopportato a lungo, possiamo sperare che sopporti ancora un po' con noi, ma non possiamo aspettarci che sopporti sempre.

10 Versetti 10-17

Nostro Signore Gesù ha partecipato al culto pubblico nei sabati. Anche le infermità corporali, a meno che non siano molto gravi, non dovrebbero impedirci di celebrare il culto pubblico nei giorni di sabato. Questa donna è venuta da Cristo per essere istruita e per ottenere il bene della sua anima, e poi ha alleviato la sua infermità corporea. Questa guarigione rappresenta l'opera della grazia di Cristo sull'anima. E quando le anime storte vengono raddrizzate, lo dimostrano glorificando Dio. Cristo sapeva che questo signore aveva una vera e propria inimicizia verso di lui e verso il suo Vangelo, e che non faceva altro che mascherarla con un finto zelo per il giorno di sabato; in realtà non voleva che fossero guariti in nessun giorno; ma se Gesù pronuncia la parola e mette in atto la sua potenza guaritrice, i peccatori sono liberati. Questa liberazione è spesso operata nel giorno del Signore; e qualsiasi lavoro che tende a mettere gli uomini sulla strada per ricevere la benedizione, è in accordo con il disegno di quel giorno.

18 Versetti 18-22

Ecco il progresso del Vangelo predetto in due parabole, come in Mt 13. Il regno del Messia è il regno di Dio. Che la grazia cresca nei nostri cuori; che la nostra fede e il nostro amore crescano a dismisura, in modo da dare prova indubbia della loro realtà. Che l'esempio dei santi di Dio sia benedetto da coloro tra i quali vivono; e che la sua grazia fluisca di cuore in cuore, finché il piccolo diventi mille.

23 Versetti 23-30

Il nostro Salvatore è venuto per guidare le coscienze degli uomini, non per soddisfare la loro curiosità. Non chiedete: "Quanti saranno salvati?" Ma: "Sarò uno di loro?" Non: "Che ne sarà di un tale o di una tale?" ma: "Che cosa farò e che cosa ne sarà di me? Cercate di entrare dalla porta stretta. Questo è diretto a ciascuno di noi; è: "Sforzatevi". Tutti coloro che vogliono essere salvati devono entrare dalla porta stretta, devono subire un cambiamento di tutto l'uomo. Coloro che vogliono entrare, devono sforzarsi di entrare. Ci sono considerazioni stimolanti per rafforzare questa esortazione. Oh, se potessimo essere tutti risvegliati da esse! Esse rispondono alla domanda: "Sono pochi quelli che si salveranno? Ma nessuno si abbatta per sé o per gli altri, perché ci sono ultimi che saranno primi e primi che saranno ultimi. Se arriveremo in cielo, incontreremo molti che non pensavamo di incontrare, e ne perderemo molti che ci aspettavamo di trovare.

31 Versetti 31-35

Cristo, chiamando Erode "volpe", gli ha dato il suo vero carattere. I più grandi tra gli uomini devono rendere conto a Dio, perciò gli conveniva chiamare questo re orgoglioso con il suo stesso nome; ma non è un esempio per noi. So, disse nostro Signore, che devo morire molto presto; quando morirò, sarò perfezionato, avrò portato a termine la mia impresa. È bene che consideriamo il tempo che abbiamo davanti come poco, in modo da essere più veloci nel compiere l'opera del giorno nel suo giorno. La malvagità di persone e luoghi che più di altri professano la religione e la relazione con Dio, dispiace e addolora soprattutto il Signore Gesù. Il giudizio del grande giorno convincerà gli increduli; ma impariamo ad accogliere con gratitudine e ad approfittare di tutti coloro che vengono nel nome del Signore per chiamarci a partecipare alla sua grande salvezza.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 13

1 CAPO XIII - ANALISI

1. Gesù corregge la falsa idea che tremende e subitanee calamità sieno sempre la punizione dei peccati più scandalosi del solito. Tal convinzione era anticamente generale fra i Giudei e fra i Gentili. Il sentimento del peccato da una parte e dall'altra la tendenza a far Dio simile all'uomo, pronto all'ira, vendicativo nell'infliggere il castigo, seguace della regola: «occhio per occhio, dente per dente», li inducevano a credere che più erano terribili le calamità che colpivano un individuo o un popolo, più grave doveva esser la colpa da quelli commessa. A dispetto dell'insegnamento di Cristo in questo capitolo, prevale tuttora in molti quella falsa impressione. Un notevole esempio ne abbiamo, per quanto spetta ai pagani, seguaci dei falsi dei, nella vita di Paolo, allorquando, nell'isola di Malta, una vipera si avventò alla sua mano Atti 28:3. Della prevalenza di questa falsa idea fra i Giudei ne abbiamo la prova nell'annunzio fatto qui a Gesù del massacro a tradimento, per ordine di Pilato, di alcuni Galilei che erano saliti a Gerusalemme per farvi dei sacrifizi. Parlando di questo fatto, Gesù ne aggiunge un altro, il quale senza dubbio i Giudei mettevano nella medesima categoria, cioè la caduta fatale a molte persone, della torre di Siloè. Ambo questi fatti son taciuti dalla storia del tempo. Gesù non dice già che quei Galilei, e quegli abitanti di Gerusalemme non fossero peccatori, ma dice erroneo il giudizio popolare su questi fatti; dichiara che le vittime di quelle due catastrofi non erano maggiori peccatori di quelli che componevano in quel momento la sua udienza; che altri più di loro meritevoli di sì crudele e misero fine, pure venivan risparmiati; e termina coll'esortare i suoi uditori a pentirsi senza indugio, per timore che non avessero a perire simigliantemente, o nei giudizii che impendevano su Gerusalemme, o in ogni caso all'ultimo giorno Luca 13:1-5.

2. La parabola del fico sterile. È questa la continuazione del discorso cui diede origine la nuova del massacro dei Galilei: fu evidentemente detta per avvalorare l'esortazione che Gesù avea pure allora data, e indica figurativamente in che i Giudei avean peccato e perché Gesù li chiamava a pentimento. Qui vien dichiarata la sorte che li aspettava, se continuavano ad essere impenitenti; ma vien par messa in rilievo la longanimità di Dio nel trattenere il castigo, nel dar loro tempo di pentirsi, e ciò a motivo della intercessione di Gesù. Il fico nella vigna rappresenta, in primo luogo, i Giudei nella Chiesa di Dio; il padrone è Dio stesso, il quale per molto tempo è andato a Cercar frutto sul suo fico, soprattutto dacché il Battista avea cominciato a predicare tre anni prima; il vignaiuolo è Cristo stesso, il grande Avvocato del suo popolo in tutti i tempi. La colpa del fico era l'essere rimasto sterile a dispetto dei vantaggi della sua posizione e della coltura ricevuta; la loro ora l'alienazione del cuore da Dio, e l'intera dimenticanza del dovere di glorificarlo nella loro condotta giornaliera. Fino allora il fico non avea dato al suo padrone altro che foglie, e quella generazione non rendeva a Dio che un culto di labbra e di cerimonie esterne: in ambo i casi mancavano i frutti. Il padrone comanda di sradicare il fico, perché inutile e nocivo al terreno; ma, alla domanda del vignaiuolo, acconsente a dargli un altr'anno di grazia e di prova, promettendo il vignaiuolo di far quanto starà in lui per renderlo fruttifero. Così Gesù dichiara loro simibolicamente che essi avevano quasi ripiena, la misura delle loro iniquità, che già Dio avea pronunziata la giusta sentenza di condanna, e che solo in grazia della intercessione di Colui che la nazione era sul punto di rigettare, ne era differita d'alquanto la esecuzione, per dar loro tempo di ravvedersi. Mille anni sono appo il Signore, come il giorno di ieri; nessuna maraviglia adunque se per lui, che è lento all'ira, l'anno di grazia della parabola divenne quaranta in realtà, prima che fossero distrutti la città e la nazione, e l'albero del Giudaesimo venisse sradicato. La parabola, benché si riferisce in modo molto ovvio ai Giudei, contiene pure un avvertimento per i varii rami della Chiesa visibile di Cristo, e per tutti i cristiani di nome, i quali, mentre godono dei mezzi di grazia, rimangono «oziosi e sterili nella conoscenza del Signor nostro Gesù Cristo» Luca 13:6-9.

3. Gesù ripreso per aver guarito una donna, in giorno di Sabato, da una infermità che durava da diciotto anni. Questo miracolo fu probabilmente fatto in una sinagoga di Perea, dove Gesù stava insegnando; ma non c'è detto in qual città, e della donna altro non sappiamo che i particolari del suo male. Di questo vengon qui notate tre cose: la sua origine, esso è chiamato «uno spirito d'infermità», era stato cioè in qualche modo prodotto da uno spirito maligno, come lo confermano le parole di Cristo: «la quale Satana avea tenuta legata» Luca 13:16; la sua durata, 18 anni; e la debolezza fisica che ne era la conseguenza; essa era decrepita, quasi ripiegata in due, né più poteva starsene eretta. Mosso a compassione di un essere così debole ed impotente, Gesù la chiamò a sé, ed impostile, le mani, la guarì istantaneamente, mediante le parole: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». La donna espresse la sua gratitudine col dar gloria a Dio, che avea conferito un tanto potere al profeta di Nazaret, e tutti gli astanti sembrano aver diviso i suoi sentimenti, ad eccezione del capo della sinagoga, il quale, covando ipocritamente il suo odio per Gesù, sotto proteso zelo per la legge di Dio, lo accusò di essere un trasgressore di questa, perché avea fatto quel miracolo di Sabato. Ricordando opere di necessità e di misericordia che il rettore stesso e i suoi concittadini compivano di continuo, senza cadere per questo in trasgressione della legge, il Signore dimostra che l'atto suo, essendo essenzialmente di misericordia, era lecito nel Sabato, e fa tacere l'ipocrita suo accusatore, Luca 13:10-17.

4. Parabola del granel di senape e del lievito. Matteo mette queste due in una serie di parabole relative al regno di Dio, che comincia con quella del seminatore, ma nel posto che occupano in questo Vangelo non riesce facile connetterlo al miracolo che precede, o ai versetti che seguono. Al ver. 22 vediamo che Gesù riparte per visitare le città e i villaggi della Perea, e può darsi che queste parabole fossero parte del suo insegnamento lungo la via. Nella parabola del granel di senape, il più piccol seme che l'agricoltore si desse la pena di seminare, vien prefigurato il trionfo finale del regno di Cristo in sulla terra, ad onta della sua umile ed insignificante origine. Come il piccol seme crebbe in una pianta, nei rami della quale trovarono rifugio gli uccelli del cielo, così il regno del vangelo, fondato da uno che, morì come un malfattore in sulla croce coltivato nei suoi principii da, poveri ed ignoranti Pescatori di Galilea, o propagato di secolo in secolo, non con armi carnali, ma colla parola dell'Iddio vivente, riempirà col tempo tutta la terra, ed ogni nazione, lingua e tribù troverà protezione e pace nei suoi confini. La parabola del divieto ci presenta il tranquillo, lento, ma efficacissimo modo della sua diffusione. Tre misure di farina erano la quantità necessaria per far tanti pani che bastassero ad una infornata, epperciò rappresentano tutta la terra. Prima di fare il pane, la donna mette nella pasta alquanto lievito, e lo lascia far silenziosamente ma irresistibilmente la sua opera di fermento e di assimilazione, finché non abbia penetrato l'intera massa. Egli è in una consimile maniera, tranquilla, inosservata, eppure efficace, che il vangelo si fa strada negli individui, nella società, nella nazione, mediante lo studio della parola di Dio, mediante la follia della predicazione», mediante la invisibile e potente azione dello Spirito Santo nei cuori e nelle coscienze degli uomini e mediante l'influenza, che la vita di chiunque è stato in quella guisa lievitato, esercita sulla propria famiglia e sui suoi vicini. È un processo lento, ma sicuro; la parola di Dio, per opera dello Spirito, non può mancare nella sua azione silenziosa ed efficace, finché il lievito dell'evangelo non si sia sparso in tutto il mondo, e fra uomini di tutti i ranghi. È la pietra del profeta Daniele 2:34-35 Luca 13:18-21.

5. Gesù frena una curiosità illegittima e la volge nella vera sua direzione. Mentre egli era per via, un ignoto si accostò a lui domandandogli: «Signore, sono eglin pochi coloro che son salvati?» Suppongono alcuni che egli fosse mosso dal desiderio di accertarsi se, col descrivere gli umili principii del suo regno mediante la parabola del granel di senape, Gesù avesse voluto mettere in quistione la credenza universale che tutti i discendenti di Abramo avrebbero un posto nel regno del Messia; ma tal nesso è impossibile, poiché il ver. 22 indica nel racconto un cambiamento completo di tempo e di scena. Dal modo in cui Gesù la tratta sembrerebbe che quella fosse una domanda di mera curiosità o speculazione, e con tali cose egli non aveva né il tempo né la voglia di perdersi. La sua risposta, rivolta a tutti gli astanti, è pratica e solenne: «Sforzatevi d'entrare per la porta stretta, perciocché io vi dico che molti cercheranno d'entrare e non potranno». Nelle case dei ricchi, oltre al portone, che metteva nel cortile e che rimaneva chiuso fuorché nelle grandi occasioni, eravi sempre una porticina, per la quale si entrava di solito nella casa. In occasioni di nozze o di altre festività, sedeva ivi un portinaio che faceva entrare i soli convitati, uno alla volta, e gli sforzi e la pressione durati dai convitati impazienti per farsi strada attraverso la calca di fuori, o per aver la precedenza gli uni sugli altri, spesso eran tali da far compassione. Tale è la scena che le parole di Cristo: «Sforzatevi (letteralmente agonizzate), di entrare per la porta stretta», dovean suggerire ai suoi uditori. Esse indicano gran difficoltà nell'ottener di entrare; insuccesso per parte dei più, epperciò la necessità di usare ogni sforzo per riuscire laddove altri avean mancato; ma non toccano che indirettamente la questione speculativa: «Sono eglin pochi coloro che son salvati?» Due sono le ragioni date dal Signore per raccomandare quegli sforzi supremi: la difficoltà di entrare ora ricordata, e, la brevità del tempo accordato per questo. Quest'ultimo è l'argomento sul quale Gesù si fonda specialmente per esortarci a fare ogni sforzo possibile per mettere in uso i mezzi datici da Dio per entrar nel suo regno, ricordandoci sempre che la fede e la nuova creazione sono «i doni di Dio», e che «non siamo salvati per opere, acciocché niuno si glorii». Svolgendo sempre la stessa similitudine, Gesù dice ai Giudei, che, mentre la folla tutt'ora s'accalca intorno alla porta stretta, il padrone di casa istesso si fa avanti e chiude la porta, e la moltitudine ha un bel picchiare supplicare, raccomandarsi e piangere; tutto è inutile. È troppo tardi! I Giudei avevano lasciato passare le preziose loro occasioni, e s'appressava il tempo in cui i Gentili verrebbero introdotti nel regno di Cristo ed essi chiusi fuori. Né sono essi i soli colpevoli di questo genere; il giorno del giudizio farà conoscere quante moltitudini avranno sprezzato, durante questa vita, il giorno della loro opportunità, e contro le quali la morte avrà chiuso la porta per sempre Luca 13:22-30.

6. Messaggio ad Erode e lamentazione sopra Gerusalemme. Erode era a quel tempo in Perea; già avea sulla coscienza la morte di un profeta, e non desiderava certo aggiungere a quel peso quella di un altro; ma la dottrina che Gesù aveva pure allora predicata, in quello stesso paese, sul divorzio, avealo profondamente disturbato, sicché in un modo o nell'altro voleva disfarsi di lui. Il piano cui egli si fermò era molto abile e ben giustifica il nome di «volpe» che gli da qui Gesù. Ottenne da alcuni Farisei, che, fingendosi amici di Gesù lo avvisassero esser Erode deciso a farlo morire, consigliandogli di fuggire immediatamente dai suoi dominii. Ma Cristo, agli occhi del quale tutti i cuori sono aperti, capì subito tutta la trama; conobbe che questi consiglieri, pur fingendosi suoi amici, erano strumenti di Erode, e che tutto l'affare proveniva da lui. Perciò, senza preoccuparsi punto della parte che essi facevano, e indicando, mediante l'epiteto che egli applica ad Erode, che la sua trama era stata scoperta, egli ordina loro di portare a chi li aveva mandati una risposta che diceva in sostanza: "Si metta pure il cuore in pace, Gesù avea pressoché compiuta l'opera sua nei dominii di Erode, ed egli proseguirebbe apertamente il suo viaggio, durante il breve periodo che gli resta di vita, senza darsi pensiero delle minaccie del re, poiché era impossibile per un profeta morire altrove che in Gerusalemme, tanto celebre era questa città per il suo odio verso i servi di Dio". Segno, una commoventissima apostrofe a Gerusalemme, in cui esprime il suo desiderio di salvare gli abitanti di quella città dal fato terribile che li minaccia, la loro poca disposizione a porvi mente, la desolazione che aspettava la città ed il tempio, ed il suo ritirarsi da loro, finché il convertito Israele non lo saluti col grido: «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore» Luca 13:31-35.

Luca 13:1-5. NECESSITÀ DEL PENTIMENTO DIMOSTRATA DAL MASSACRO DI ALCUNI GALILEI NEL TEMPIO, E DALLA DISGRAZIA DELLA CADUTA DELLA TORRE DI SILOE

1. In quello stesso tempo furono quivi alcuni, i quali gli fecer rapporto de' Galilei, il cui sangue Pilato avea mescolato co' lor sacrificii.

Flavio, storico Giudeo, non fa menzione alcuna di questo fatto che venne riferito a Gesù verso il tempo in cui egli pronunziò il discorso contenuto nel capitolo precedente. È probabile che fosse occorso poco prima, e, a prima vista, si potrebbe supporre che venisse riportato a Gesù come semplice notizia, o come una nuova prova della crudeltà di Pilato, nella speranza che, essendo Gesù Galileo, egli lo condannerebbe apertamente: ma dalla risposta di Gesù parrebbe che gli fosse stato detto per sapere da lui se questi Galilei erano più peccatori di altri, poiché un destino così crudele gli avea colpiti. Alcuni scrittori ascrivono questi Galilei alla setta degli Zeloti, fondata da Giada il Galileo (così chiamato benché fosse Gaulonite di nascita), il quale, quando Augusto ordinò il pagamento delle tasse, insegnò ai suoi concittadini non esser lecito pagare il tributo a Cesare, o conformarsi in qualsiasi modo agli usi dei Romani, come Erode e la sua Retta si sforzavano di indurli a fare, Vedi ZELOTI, Sette giudaiche. I Romani avevano naturalmente in odio speciale i membri di quella setta, e quelli che Pilato fece massacrare nel tempio, possono averci appartenuto, benché le parole di Gamaliele relativamente a Giuda Atti 5:37, sembrino indicare che i suoi segnaci erano stati dispersi molto prima della crocifissione del Signore. Flavio c'informa che i Galilei davan sempre un gran da fare a chi li governava, e che quando salivano in Gerusalemme per le feste, accadevano tumulti frequenti; non è punto impossibile che, nel sedare uno di questi, occorso nel cortile esterno del tempio, accadesse questo massacro, senza che vi fosse per parte di Pilato animo particolare contro quelli che ne rimasero vittime. La presenza dei soldati romani nel tempio basta a provare esservi sorto un tumulto, perché era loro vietato di entrarvi in circostanze ordinarie, affin di non irritare i Giudei.

PASSI PARALLELI

Atti 5:37

Lamentazioni 2:20; Ezechiele 9:5-7; 1Pietro 4:17-18

2 2. E Gesù, rispondendo, disse loro: Pensate voi che que' Galilei fossero i maggiori peccatori di tutti i Galilei, perciocché han sofferte cotali cose? 3. No, vi dico; anzi, se voi non vi ravvedete, tutti perirete simigliantemente.

Quelli che riferirono questo fatto a Gesù erano evidentemente convinti che le persone che avean sofferto morte violenta in circostanze così speciali dovevano esser di gran peccatori, e che questo era una prova del dispiacere di Dio verso di loro. Benché non lo avessero espresso, Gesù fa loro comprendere di aver letto il segreto loro pensiero. Colla domanda: «Pensate voi ecc.» confuta subito il loro erroneo giudizio riguardo a quei Galilei, e così riprende i giudizi poco caritatevoli che gli uomini sono soliti pronunziare su chiunque è stato colpito da qualche grave calamità. Osservisi che Gesù non dice falsa in ogni caso una tale indifferenza; la Bibbia ricorda dei casi in cui Dio colpì di castighi severi ed immediati degli empi, come Nadab ed Abihu Levitico 10:2; Coro e i suoi complici Numeri 16:31-33; Anania e Saffira Atti 5:1-10; ed Erode Agrippa Atti 12:23; e ciò per far conoscere chiaramente, la giusta sua ira per la loro audace e straordinaria malvagità. Ma ricordiamoci che tali interventi straordinari della provvidenza sono molto rari, e che sarebbe pericoloso, contrario alla carità, ed erroneo, volerne cavare una regola da applicarsi universalmente. Nel caso di questi Galilei, il Signore dichiarò esplicitamente erronea una tal conclusione, e subito volse l'attenzione dei suoi uditori alla necessità per loro di pentirsi, se volevano evitar di esser distrutti in modo non meno subitaneo e terribile. L'occhio profetico di Gesù contemplava in quel momento un fatto tuttora distante quarant'anni, quando invece di questo massacro di alcuni pochi nel cortile del tempio per ordine di Pilato, vi si vedrebbe un generale sterminio dei Giudei, dei Galilei, e degli abitanti della Perea, e ciò non solo per la spada dei Romani vittoriosi, ma altresì per le loro proprie sanguinarie fazioni intestine. Willims (La santa città), riassumendo la descrizione che ci dà Flavio delle lotte fra il partito del sommo sacerdote Eleazar che teneva l'interno del tempio, e quello di Giovanni Gascala che occupava il cortile esterno e parte della città inferiore, dice: «Allora il sangue si mescolò col sangue nel santuario medesimo, e formò dei laghi nei sacri cortili; il sangue dei sacerdoti fu mescolato con quello dei sacrifizii, che continuavano ad essere offerti ogni giorno sull'altare di bronzo». Che il Signore alludesse prima di tutto e letteralmente agli orrori che dovevano accompagnare la distruzione di Gerusalemme lo conferma l'uso della parola nello stesso modo, applicata ai presenti suoi uditori; ma ben più esteso significato hanno le solenni sue parole; dopo che è perita l'incerta vita attuale, v'ha una perdizione ben più terribile che aspetta gli empi e gli impenitenti nell'inferno, «ove il verme loro non muore, e il fuoco non si spegne».

PASSI PARALLELI

Luca 13:4; Giobbe 22:5-16; Giovanni 9:2; Atti 28:4

Luca 13:5; 24:47; Matteo 3:2,10-12; Atti 2:38-40; 3:19; Apocalisse 2:21-22

Luca 19:42-44; 21:22-24; 23:28-30; Matteo 12:45; 22:7; 23:35-38; 24:21-29

4 4. ovvero, pensate voi che que' diciotto, sopra i quali cadde la torre in Siloe, e li uccise, fossero i più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5. No, vi dico; anzi, se voi non vi ravvedete, tutti perirete simigliantemente.

Qui Gesù ricorda egli stesso un'altra recente catastrofe, così terribile da indurre ad analoga conclusione relativamente alla grave colpabilità delle sue vittime. La parte meridionale del monte Moria, al di là dei muri esteriori del tempio, era chiamata l'Ofel, ed era abitata dai Leviti e dai Netenim ossia dai servi uffiziali del tempio. Era circondata da un muro, il quale, principiando dall'angolo S. E. del recinto del tempio, seguiva il contorno del promontorio formato dalla unione delle valli di Josafat e di Hinnom, e si ricongiungeva alla città, dal lato S. O. del tempio, lungo l'orlo della valle del Tiropeo, la quale attraversava Gerusalemme. Questo muro era qua e là fortificato da torri, che Giuseppe dice «grandissime» (Ant. 10:11,2), ed «altissime torri» Luca 10:3,2. A quel che pare una di queste ergevasi vicino alla piscina di Soloe, che trovasi laddove la valle del Tiropeo si congiunge con quelle di Hinnom e di Josafat. A questo punto le roccie s'innalzano anche al dì d'oggi all'altezza di 40 o 50 piedi sul livello della piscina. È la caduta inaspettata di questa torre, seppellendo sotto le sue rovine diciotto persone, cui il Signore fa allusione in questo luogo. Abbiamo prove che il vicino trovavansi delle fortificazioni ed una torre 2Cronache 27:3; 33:14; Neemia 3:26-27. Ma nessuno storico ci ragguaglia sulla posizione esatta di questa torre o sulla sua caduta. Le persone tolte così tragicamente o subitaneamente di vita non erano maggiori peccatori che gli altri abitanti di Gerusalemme. Nel loro caso il Signore enfaticamente ripete la sua dottrina, che particolari calamità non provano in chi ne è colpito un peccato particolare, se no il governo di Dio comincierebbe e terminerebbe in questa vita, né più sarebbe necessario un giudizio avvenire. La loro sorte non era che il preludio di quella che minacciava tutti i Giudei. Se essi non si pentivano; perché s'affrettava il tempo in cui li colpirebbe tal distruzione dal rintronarne gli orecchi degli uomini per tutti i secoli avvenire. Nulla ci offre la storia da paragonare agli orrori dell'assedio di Gerusalemme, quando venne l'ora della loro distruzione. Narra Flavio che, quando i Romani circuirono la città, tagliandone ogni comunicazione col di fuori, oltre ai suoi abitanti ed a quelli che erano fuggiti dal Nord, per paura dei Romani essa era ripiena di gente accorsa da tutte le parti del mondo per la festa di Pasqua, sicché non meno di due milioni di persone rimasero prigioni nelle sue mura, e di questi ben un milione perì per la fame e la spada durante l'assedio mentre 100000 di più morirono in cattività. Nell'applicazione che il Signore fa di questi due incidenti ai suoi uditori, ed a tutti i peccatori inconvertiti, che sono nemici di Dio e corrono alla propria perdizione, udiamo tutt'ora l'eco delle ultime parole del capitolo precedente: «Fa' presto amichevole accordo col tuo avversario, mentre sei tra via con lui».

6 Luca 13:6-9. LA PARABOLA DEL FICO STERILE

6. Or disse questa parabola

Il tema è lo stesso che quello dei versetti precedenti, cioè la necessità di immediato ravvedimento, affin di sfuggire ad una pronta distruzione, spiegata sotto forma di parabola, affin di fissarla in modo più durevole nella memoria dei suoi uditori.

Un uomo avea un fico.

La storia in questa parabola è semplice e facile a comprendere. Un padrone avea nella sua vigna un fico, che avea avuto tutto il tempo di diventar fruttifero; ma essendo andato anno dopo anno per raccorne i frutti. e trovatolo sempre sterile, ordina alfine al vignaiuolo di tagliarlo, non solo perché inutile, ma pure perché faceva danno alle viti, impoverendo il suolo. Il vignaiuolo implora un altr'anno di prova, promettendo di usar nuovi mezzi per farlo fruttifero; se poi continuerà sterile, l'ordine del padrone verrà eseguito, e l'albero tagliato. Nel significato spirituale di questa parabola, il padrone rappresenta certamente Iddio. Il fico rappresenta prima i Giudei, sia come nazione, che come individui quindi quanti appartengono alla Chiesa visibile di Dio, sia come individui, che come società. Secondo noi, egli è l' individuo che Gesù ha specialmente di mira parlando di un fico, o ciò affin di convincere chiunque lo ascoltava o leggerebbe più tardi le sue parole, del pericolo di cui già due volte avea avvertito la folla: «Se voi non vi ravvedete, tutti perirete simigliantemente». Ben s'addiceva al disegno del Signore, questo scendere, nel conchiudere il suo insegnamento, dall'astratto al concreto, dal generale al particolare, ed era inteso a risvegliare in ogni uditore o lettore, un sentimento molto più solenne della propria responsabilità.

piantato nella vigna;

È insostenibile la teoria di Trench, Oosterzee, Lisco ed altri che la vigna, in questa parabola, rappresenti il mondo, perché è in diretta opposizione con tutto il simbolismo della Scrittura. La vigna ci è sempre presentata come una porzione di terra accuratamente separata dal resto del podere, e offrente un contrasto evidente con quello Luca 20:9-16; Salmi 80:8-13; Isaia 5:1-7; 27:2-3; Matteo 21:33-41; Marco 12:1-9; laddove, secondo questa teoria, non vi sarebbe differenza alcuna, in quanto a privilegi, fra questo fico e tutti gli altri alberi. Nei luoghi citati dei Salmi e di Isaia, la vigna significa evidentemente la casa d'Israele, o la Chiesa israelitica; ma in Matteo 21:33; Marco 12:1-9; Luca 20:9 quella immagine ha un senso più esteso, e devo significare la chiesa visibile di Dio, in tutte le dispensazioni, antediluviana, patriarcale, levitica ed evangelica, poiché Gesù fa una distinzione evidente fra la vigna e i malvagi vignaiuoli che ne aveano allora il possesso, e dichiara che, al suo arrivo, il padrone la toglierebbe loro, e allogherebbe la vigna ad altri lavoranti. Il significato della vigna in questa parabola è, senza dubbio, la chiesa visibile di Dio nella quale il fico sterile giudaico era allora piantato, mentre ora vi si trova il fico sterile cristiano.

e venne, cercandovi del frutto, e non ne trovò.

I frutti che Dio aspettava dai Giudei, e che egli aspetta pure da ciascuno di noi, son quelli della giustizia; un cuore convertito a Dio, una volontà rinnovata, degli affetti rivolti a lui, ed una vita consecrata al suo servizio. Tali frutti il celeste vignaiuolo ha diritto di aspettarli, né resterà contento finché non li abbia ottenuti; foglie di professioni, fiori di promesse non bastano, ci vogliono frutti. Alcuni alberi nel giardino del Signore portano qualche po' di frutto; nessuno ne porta quanto dovrebbe, ma su questo il padrone non ne trovò punto. Qui è descritto chi meramente professava di essere religioso fra i Giudei, ed il cristiano di nome fra noi.

PASSI PARALLELI

Salmi 80:8-13; Isaia 5:1-4; Geremia 2:21; Matteo 21:19-20; Marco 11:12-14

Luca 20:10-14; Matteo 21:34-40; Giovanni 15:16; Galati 5:22; Filippesi 4:17

7 7. Onde disse al vignaiuolo.

Il padrone della vigna l'aveva affidata ad un abile vignaiuolo, in cui riponeva perfetta fiducia, e nel vederlo perorar la causa del fico sterile, subito riconosciamo in lui il Signor Gesù, il compassionevole Sommo Sacerdote che può «aver convenevol compassione degli ignoranti ed erranti» Ebrei 5:2. A questo il senso oramai assegnato da quasi tutti al vignaiuolo. Agostino pensava che egli rappresentasse «ciascun santo»; Ambrogio, «gli apostoli»; Girolamo, «Michele e Gabriele, gli arcangeli che avevano carica delle sinagoghe giudaiche»; ma tali interpretazioni sono ora antiquate. Alford però crede che il vignaiuolo figuri qui lo Spirito Santo il quale, a motivo del suo uffizio mediatorio Giovanni 14:16, intercede coll'uomo e per l'uomo; ma egli non ha posto mente al fatto che non è coll'albero che il vignaiuolo intercede, ma col padrone della vigna, non coll'uomo, ma con Dio in favor dell'uomo, e questo annienta la sua teoria.

Ecco, già son tre anni che io vengo, cercando del frutto in questo fico e non ve ne trovo;

Non è necessario confutare le ingegnose spiegazioni di Gregorio, Ambrogio, Teofilatto, ed altri scrittori antichi, pei quali questi tre anni indicano il tempo anteriore alla cattività, quello posteriore ad essa, ed i tempi evangelici, perché esse sono ora abbandonate da tutti. Altri li intendono letteralmente dei tre anni del ministerio di Gesù in sulla terra; ma in questo caso dovrebbe pure esservi alla lettera un solo anno di grazia, mentre sappiamo che Dio, nella sua bontà, diede ad Israele quarant'anni di tempo per pentirsi, dopo che fu pronunziata questa parabola. È una particolarità del fico che coi frutti di un anno compariscon pure sui suoi rami i germi di quelli dell'anno seguente; ma questo non getta luce alcuna sul senso dei «tre anni» durante i quali il padrone avea visitato la sua vigna. Né maggiormente ci aiuta ad intenderli il fatto che ci vogliono tre anni di crescenza prima che il fico faccia dei frutti: poiché nessun uomo ragionevole andrebbe durante questi tre anni in cerca di frutto sul suo albero, mentre ci è detto che il padrone andò anno dopo anno a cercarne, tornandosene dolente di veder deluse le ragionevoli sue speranze. Insomma non pare che il numero tre abbia riferenza a qualsiasi particolarità del fico; indica unicamente un tempo ragionevole, concesso dal padrone, affin di accertarsi se questo sarebbe un albero di qualche valore o no. In quanto alla sua applicazione agli antichi Giudei o ai Cristiani di nome di oggi, esso indica un periodo di coltura e di privilegi spirituali bastevole a giustificare l'aspettazione di frutti spirituali nella vita.

taglialo; perché rende egli ancora inutile la terra?

Non solo il fico non faceva frutto, ma era dannoso al suolo che impoveriva e alle piante circostanti cui rubava calore, luce, e nutrimento. In tal condizione era caduta la chiesa giudaica, ed è pur quella di chiunque professa, solo esternamente e senza portar frutti, il cristianesimo. Occupa inutilmente il suolo e dà un esempio nocivo, indi il comando: «Taglialo». La parola rendere inutile, distruggere, contiene la solenne lezione che i membri sterili della Chiesa di Dio non solo fan torto a se stessi e perdono la propria anima, ma nuociono alla Chiesa ed al pubblico. L'idea volgare che un uomo non convertito «non fa male altrui», «non nuoce che a sé stesso», ed altre consimili, sono miserabili illusioni, senza base nella Scrittura. Chi non fa frutto è d'ingombro al suolo; chi non fa del bene fa del male Luca 11:23.

PASSI PARALLELI

Levitico 19:23; 25:21; Romani 2:4-5

Luca 3:9; Esodo 32:10; Daniele 4:14; Matteo 3:10; 7:19; Giovanni 15:2,6

Esodo 32:10; Matteo 3:9

8 8. Ma egli, rispondendo, gli disse: Signore, lascialo ancora quest'anno,

Il vignaiuolo si sente mosso a compassione verso il fico, all'udir la sentenza pronunziata contro di lui, benché ne riconosca la giustizia; egli lo avea coltivato lungamente e con amore, e nel desiderio di dargli ancora una occasione di far bene, intercede appo il padrone della vigna, affinché gli sia concesso un altr'anno di vita, durante il quale egli zapperà il terreno intorno alle sue radici, lo concimerà, lo poterà, metterà insomma tutto in opera per renderlo fruttifero. Quando i Giudei, capitanati dai sacerdoti e dai rettori, crocifiggevano il Signor della gloria, essi erano già maturi per la distruzione; ma persino in quel momento il grande Intercessore pregò per essi: «Padre, perdona loro, perciocché non sanno quello che si fanno»; né mai furon fatti sforzi maggiori per condurli a pentirsi ed a servire a Dio di quelli che fecero gli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo. Però egli è agli individui che si applicano più sicuramente e con maggior profitto le lezioni di questa parabola. Esser tagliato come il fico sterile è la sentenza che la giustizia pronunzia sopra ognuno per il suo peccato; ma il grande Intercessore che veglia sugli uomini ed è potente appo Dio, appare e domanda che sia per qualche tempo sospesa la esecuzione della sentenza, e Dio che «non prende diletto nella morte dell'empio anzi prende diletto che l'empio si converta dalla sua via e che viva» esaudisce quella preghiera. Dovunque il vangelo è predicato, chi è giunto all'età di ragione, e vive tuttora senza Dio nel mondo, gode di quella sospensione dovuta alla benigna intercessione di Gesù. Essa è la sola cosa che trattenga la punizione dal colpire i peccatori non perdonati. Qui non han che fare la Madonna e i Santi. «V'è un sol Mediatore di Dio e degli uomini, Gesù Cristo uomo» 1Timoteo 11:5. I fedeli ministri di Cristo coi loro lavori e le loro preghiere non sono intercessori, ma vanno messi fra i mezzi di cui fa uso il gran Vignaiuolo per condurre i peccatori alla vita eterna.

finché io l'abbia scalzato, e vi abbia messo del letame.

«I due mezzi principali per l'agricoltore per stimolare la crescenza e la fertilità delle piante sono il zappare la terra e il concimarla. Questo fornisce all'albero gli elementi della fertilità; quello gli permette di assimilarseli. Il concime contiene il cibo che la pianta deve ricevere, far suo, e convertire in frutti; ma se la zappa non rompe la terra indurita, quel cibo non giungerà al suo destino» (Arnot). Così nella cultura spirituale, la grazia di Dio nell'evangelo può venir resa inutile da una mente carnale, da una coscienza incallita; le perdite cagionate dalla morte dei loro cari, le malattie, le prove di vario genere sono necessarie e Dio le manda, nella sua bontà, per rompere il cuore indurito, come la zappa e il coltro il suolo, affinché possano penetrarvi gli elementi della vita e della fertilità. Questi sono i mezzi di grazia che Cristo mette in opera con molte anime sterili, nel tempo che vien ancora accordato per pentirsi; tremino esse che, quei mezzi rimanendo negletti, non servano invece ad indurirle vieppiù nel peccato Proverbi 1:20-27.

PASSI PARALLELI

Esodo 32:11-13,30-32; 34:9; Numeri 14:11-20; Giosuè 7:7-9; Salmi 106:23

Geremia 14:7-9,13-18; 15:1; 18:20; Gioele 2:17; Romani 10:1; 11:14; 2Pietro 3:9

9 9. E, se pur fa frutto, bene; se no, nell'avvenire tu lo taglierai.

Non si domanda che una sospensione; il benigno intercessore non chiede già che il fico sia lasciato indefinitamente al suo posto, se non muta natura. Promette che, ove riesca inutile la prova che sta per fare, egli non si frapporrà più a trattenere la giusta sentenza che il padrone della vigna già ha pronunziata; cesserà di intercedere e lascerà che faccia dell'albero quello che vuole: «Tu lo taglierai». Quando Gesù più non vorrà intercedere per un peccatore, chi ne prenderà la difesa? «Niuno può riscuotere il suo fratello, né dare a Dio il prezzo del suo riscatto» Salmo 49:8. Quando colui che è venuto «per cercare e salvare ciò che è perito» ha pronunziato la fatale sentenza: «Tu lo taglierai», messe, preghiere pei morti, purgatorio, tutto è spazzato via, come roba senza valore, come inganni crudeli. La lezione di questa parabola per tutti i peccatori inconvertiti è: «Non sapete ciò che sarà domani; ma ecco ora il tempo accettevole, ecco ora, il giorno della salute».

PASSI PARALLELI

Esdra 9:14-15; Salmi 69:22-28; Daniele 9:5-8; Giovanni 15:2; 1Tessalonicesi 2:15; Ebrei 6:8

Apocalisse 15:3-4; 16:5-7

RIFLESSIONI

1. Quanto c'è voluto, anche coll'insegnamento così positivo di Cristo in questa lezione, prima che i Cristiani si convincessero non essere necessariamente le calamità straordinarie vendetta del cielo contro delitti più gravi del solito. Lo credevano fermamente gli amici di Giobbe, e quell'idea prevale tuttodì non solo fra gli ignoranti, ma anche fra quelli che dovrebbero conoscer meglio l'evangelo. Gesù si servì praticamente del massacro dei Galilei e della catastrofe di Siloe, per esortare i suoi uditori a riguardare a sé stessi, a considerare il proprio stato innanzi a Dio. Fatti consimili: un assassinio, una morte subitanea, un naufragio ecciteranno la curiosità di tutti nei luoghi ove sono occorsi; se ne parlerà per molti giorni; eppure è notevole come sieno disinclinati gli uomini di applicar quei casi a sé stessi; di parlare della possibilità per essi stessi di morte subitanea o della loro preparazione per il mondo oltre la tomba. È dovere nostro l'osservare quelle calamità, e specialmente le morti subitanee e violenti, non per pronunziare su altri giudizii poco caritatevoli, bensì per farne profitto, affin di non esser colti all'improvviso, se la chiamata del nostro Signore ci giungerà «come un ladro nella notte».

2. La natura della, vera penitenza è chiaramente indicata nella Scrittura. Comincia colla conoscenza del peccato, continua col produrre dolore per il peccato commesso, e conduce a confessare le nostre colpe dinanzi a. Dio. Si manifesta agli occhi degli uomini col rinunziare affatto al male, e risulta nel produrre un odio abituale e profondo per ogni specie di peccato, soprattutto poi va intimamente unita con una fede vivente nel Signor Gesù. Nessun uomo fu mai perdonato senza esser veramente penitente; nessun peccatore fu mai lavato nel sangue di Cristo senza sentire, deplorare, confessare, odiare i suoi peccati. Senza questo completo distacco dal peccato, non potremo esser felici in cielo, né sarebbero le anime nostre all'unisono con una santità perfetta ed eterna. È naturale che il Battista, il Salvatore, gli Apostoli insistano tanto sulla necessità del pentimento, poiché rintracciato fin nei suoi primi principii esso è essenzialmente uno con quel grande e salutare cambiamento che si chiama rigenerazione o conversione. Davide nel suo gran desiderio di pentimento dopo il suo fallo, risale alla sorgente, confessando di esser stato «formato in iniquità, e conceputo in peccato»; quindi domanda un radicale cambiamento intorno: «O Dio, crea in me un cuor puro, e rinnovella dentro di me uno spirito diritto» Salmi 51:6,11.

3. L'essere nella vigna del Signore è un gran privilegio, ma involve pure una grave responsabilità. Da quelli che ivi son piantati, come dal fico nella vigna, si aspetta che portino frutto, e Dio viene a cercarne da chiunque gode tali privilegi. Non li aspetta al giorno del giudizio, ma viene ora, un giorno dopo l'altro, a cercare quali frutti i nostri privilegi o le nostre prove producono in noi, per la sua gloria. Di più, questa parabola c'insegna che Dio tien gelosamente conto del tempo in cui siamo stati in coltura, ma senza portar frutto: «Ecco, già son tre anni che io vengo, cercando del frutto in questo fico, e non ve ne trovo». L'uomo spensierato non ci pensa, ma Dio ne tien conto. «Risvegliati tu che dormi». Che vi può esser di più sragionevole, di più atto ad eccitar l'ira sua, che la condotta di uomini, i quali, creati per la sua gloria, non lo glorificano!

4. Spesso accade di udir persone che parlano di sé con molta compiacenza, come non avendo nulla da temere dinanzi a Dio, perché son vissute decentemente e non han fatto male ad alcuno. Concediamo pure che non abbiano commesso nessuna ingiustizia o torto flagrante ai loro simili, né abbiano apertamente disonorato Iddio; ma si domanda molto più da loro. Hanno essi scordato la loro depravazione interna, e i loro peccati di omissione? Che Dio c'impone non solo di evitare certe cose cattive, ma che aspetta da noi una ubbidienza attiva nel fare quanto sta in noi per la sua gloria e pel bene dei nostri simili? Chi trascura queste cose, non è senza biasimo; la sua sterilità è criminale. Dà un cattivo esempio, incoraggia altri ad esser pigri e mondani, brutta e rende infruttifera la vigna del Signore e merita di essere «tagliato».

5. Sappi che solo in virtù dei buoni uffizi di Cristo nostro intercessore, e solo in vista di nuova coltura, vengono gli alberi sterili risparmiati. Che cosa è dunque questa nuova coltura che egli promette per essi? È qualunque mezzo di far giungere al cuore, con forza novella, le verità e gli insegnamenti sino ad ora negletti. Possono considerarsi come tali: un cambiamento nei mezzi di grazia, un risveglio subitaneo della coscienza mediante l'azione dello Spirito Santo, la privazione di privilegi lungamente goduti, la conversione notevole di un compagno, un risveglio religioso nel, luogo che abitiamo una disgrazia, una malattia ecc. Salmo 119:71.

6. Ricordiamoci di quanto andiamo debitori alla infinita misericordia di Dio, per la intercessione di Gesù Cristo. La potenza, la giustizia, la santità, l'immutabilità sono tutti attributi di Dio manifestati in mille modi nelle sue opere e nella sua parola; ma la misericordia è l'attributo suo prediletto, ed egli lo esercita per mezzo del Signor Gesù Cristo, glorioso nostro Mediatore ed Intercessore. Senza quella intercessione il mondo ed i colpevoli suoi abitanti sarebbero periti da molto tempo. Fu la misericordia fondata sulla mediazione del Salvatore che doveva venire, quella che salvò Adamo ed Eva dall'esser precipitati nell'inferno il giorno in cui peccarono. Egli è per misericordia che Dio tollera per tanto tempo questo mondo carico di peccati, e che i peccatori non vengono recisi nei loro peccati. Non abbiamo la minima idea di quanto andiamo debitori alla grazia di Dio per la intercessione di Cristo; ma il giorno del giudizio ce lo farà conoscere. Ascoltate adunque l'invito misericordioso del Signore ai peccatori, qualunque sia la loro condizione: «Lasci l'empio la sua via, e l'uomo iniquo i suoi pensieri, e convertasi al Signore, ed egli avrà pietà di lui, e all'Iddio nostro, perciocché egli è gran perdonatore» Isaia 55:7. «Come io vivo, dice il Signore Iddio, io non prendo diletto nella morte dell'empio; anzi prendo diletto che l'empio si converta dalla sua via, e che viva; convertitevi, convertitevi dalle vie vostre malvage; e perché morreste voi, o casa d'Israele?» Ezechiele 33:11.

10 Luca 13:10-17. GUARIGIONE DI UNA DONNA IN GIORNO DI SABATO. DISCORSO CHE NE SEGUE

10. Or egli insegnava in una delle sinagoghe, in giorno di sabato.

Questo miracolo è narrato solo da Luca. Il tempo ed il luogo non vengono indicati; ma l'insolenza con cui il capo della sinagoga espresse la sua opposizione a Gesù fa supporre che questo fatto accadesse nell'ultimo periodo del ministero di Gesù, in Perea, o nelle vicinanze di Efraim. Il miracolo fu fatto in una sinagoga, in giorno di Sabato, in presenza della ordinaria congregazione riunita per il culto.

PASSI PARALLELI

Luca 4:15-16,44

11 11. Ed ecco, quivi era una donna che avea uno spirito d'infermità già per ispazio di diciott'anni,

Le parole spirito d'infermità, insieme a quelle del Signore al ver. 16: «la quale Satana avea tenuta legata», han condotto molti scrittori a credere essere stato questo un caso di vera, quantunque mite, ossessione demoniaca; mentre altri ritengono che la debolezza di quella, donna fosse solo l'effetto del potere che al maligno veniva permesso di esercitare sul suo corpo, non per castigo, ma per disciplina, per prova misericordiosa, come già gli era stato concesso di tormentar Giobbe. In appoggio a quest'ultima teoria ci vien detto che essa era nella sinagoga dove a nessun indemoniato era lecito entrare; ma questo è contradetto dal fatto ricordato in Marco 1:23-27. Però siccome non v'ha nulla nelle parole rivoltele dal Signore che implichi una possessione, siccome egli non pose mai le mani sulle persone in tali casi, ma solo quando si trattava di malattie ed infermità corporali, siamo disposti a credere che la debolezza o la malattia di questa donna fosse prodotta da uno spirito malvagio che agiva in sul suo corpo, senza avere influenza alcuna sul suo spirito. Checché si creda della gravità della, sua malattia, non v'ha dubbio che essa fu opera di Satana, perché lo dice Gesù Luca 13:16. Fino a qual punto sia lecito a Satana di esercitare un tal potere, ancora in questi nostri tempi, è cosa impossibile a dirsi. I passi 1Corinzi 5:5; 2Corinzi 12:7; 1Tessalonicesi 2:18; 1Timoteo 1:20 sembrano indicare che egli lo possiede; ad ogni modo l'infallibile ispirazione ce lo rivela in questo ed in molti altri casi accaduti mentre Gesù abitava in terra. Il degno di esser imitato da chiunque si professa cristiano, il desiderio di questa povera donna di approfittarsi dei pubblici servigi della religione. Per quanto la sua deformità la esponesse al dileggio degli stolti, per quanto dovesse riuscirle penoso ogni movimento, né la falsa vergogna, né la debolezza né le sofferenze fisiche, la tratt enevano dal recarsi nella sinagoga nel giorno di Sabato. Come sono spesso leggiere e spregiovoli le scuse che consideriamo bastevoli per trascurare i servigi della casa di Dio, ai quali pure egli ha promesso la sua benedizione!

ed era tutta piegata, e non poteva in alcun modo rid i rizzarsi.

In seguito a deviazione della spina dorsale o a contrazione dei nervi, il suo corpo erasi quasi piegato in due, dimodoché più non poteva star ritta. Era questo una aggravazione dolorosa del male di questa meschina, e il fatto che trovavasi in tale stato da diciotto anni prova che, umanamente parlando, la sua infermità era incurabile.

PASSI PARALLELI

Luca 13:16; 8:2; Giobbe 2:7; Salmi 6:2; Matteo 9:32-33

Luca 8:27,43; Marco 9:21; Giovanni 5:5-6; 9:19-21; Atti 3:2; 4:22; 14:8-10

Salmi 38:6; 42:5

Salmi 145:14; 146:8

12 12. E Gesù, vedutala, la chiamò a sé, e le disse: Donna, tu sei liberata dalla tua infermità 13. E pose le mani sopra di lei; ed ella in quello stante fu ridirizzata.

Molte guarigioni miracolose di Gesù venner fatte dietro alla domanda degli infermi, o dei loro amici; ma in altre egli esercitò spontaneamente il suo potere di guarire, senza esserne richiesto; così nel caso del morto di Nain Luca 7:11, dell'infermo della piscina di Betesda Giovanni 5:6, e di questa donna. L'occhio suo compassionevole si fermò su quella povera impotente; il suo cuore fu commosso, e chiamatala a sé, dove egli stava o sedeva, in presenza di tutta la sinagoga, la guarì colla sua parola, accompagnata dalla imposizione delle mani. La guarigione fu istantanea, completa, permanente. Essa si ridirizzò, e tornò a essa camminando eretta, come se non avesse mai conosciuto quei diciotto anni di sofferenza e di umiliazione.

13 e glorificava Iddio.

Gesù la chiama una «figliuola d'Abrahamo», e dalla sua condotta inferiamo che un tal titolo le venne dato in un senso spirituale, come è chiamato «figlio d'Abrahamo» Zaccheo convertito. Entrò nella sinagoga, cercandovi il bene dell'anima sua, senza pensare ad una cura corporea; ma mentre anelava la grazia maggiore, ottenne pure la minore. Il Signore non le domandò se credesse; scrutò il suo cuore e vi trovò la fede pronta a far sua ogni parola che cadrebbe dalle sue labbra, e quando quella parola giunse fino al suo cuore la guarì, la sua lingua si sciolse e dinanzi a tutta l'assemblea essa ringraziò Iddio per l'accordatale liberazione. Qual contrasto fra la sua condotta e quella degli ingrati lebbrosi guariti essi pure da Gesù! Luca 17:11-19.

PASSI PARALLELI

Luca 6:8-10; Salmi 107:20; Isaia 65:1; Matteo 8:16

Luca 13:16; Gioele 3:10

Luca 4:40; Marco 6:5; 8:25; 16:18; Atti 9:17

Luca 17:14-17; 18:43; Salmi 103:1-5; 107:20-22; 116:16-17

14 14. ma il capo della sinagoga sdegnato che Gesù avesse fatta guarigione In giorno di sabato, prese a dire alla moltitudine (Per i titoli e le occupazioni dei ministri della sinagoga, vedi Luca 4:20). Vi son sei giorni nei quali convien lavorare; venite adunque in que' giorni, e siate guariti; e non nel giorno del sabato.

Come i Farisei alla casa di Levi Luca 5:30, così quest'uomo arde di rabbia contro a Gesù per il notevole miracolo che egli avea compiuto, eppure non ardisce attaccarlo in faccia, rivolgendo a lui i suoi rimproveri; è troppo codardo per questo, ma nell'iroso ammonimento che egli rivolge al popolo di rispettare il Sabato e di venire in cerca di guarigione nei sei giorni di lavoro, parla indirettamente a Gesù. Chiunque conosce il comandamento di Dio relativamente al Sabato, nel Esodo 20, deve riconoscere, in quanto al principio generale, che egli è nel vero. Dio ha dato all'uomo sei giorni per il suo lavoro e per le sue ricreazioni; ma proibisce nel modo più positivo ogni occupazione di questo genere nel giorno del Sabato, perché è il giorno che egli ha consecrato al proprio suo servizio. La Chiesa romana ha posto il giorno del Signore fra le sue feste ordinarie, e siccome esso ricorre 52 volte all'anno, mentre ogni altra festa non torna che una volta, ne viene che esso è tenuto in minor stima che qualunque altra solennità, in tutti quei paesi dove quella è la Chiesa dominante. Nel suo seno il «santificare il giorno del Signore» è cosa sconosciuta. Si smetterà fino ad un certo punto di lavorare, ma si stimerebbe pazzia il conservar quel giorno all'esercizio pubblico o privato del culto di Dio. Ma benché il capo della sinagoga avesse ragione nel principio, egli ne fa una applicazione affatto erronea. Quello che Cristo avea fatto era un'opera di misericordia, e non poteva in modo alcuno venir rinchiuso sotto il titolo di opera servile. Nessuno lo sapeva meglio del capo della sinagoga; ma la pretesa trasgressione di un comandamento era una occasione troppo favorevole di sfogare il suo odio contro a Gesù, perché egli non se ne approfittasse. Il suo scopo era evidentemente di eccitar gli astanti a metter la mano sopra Gesù. Stier nota la contradizione che v'ha nelle sue parole quando egli fa di che è un ricevere la grazia ed il soccorso divino una specie di opera.

PASSI PARALLELI

Luca 8:41; Atti 13:15; 18:8,17

Luca 6:11; Giovanni 5:15-16; Romani 10:2

Esodo 20:9; 23:12; Levitico 23:3; Ezechiele 20:12

Luca 6:7; 14:3-6; Matteo 12:10-12; Marco 3:2-6; Giovanni 9:14-16

15 15. Laonde il Signore gli rispose e disse: Ipocriti,

Quì Luca chiama enfaticamente Gesù «il Signore», perché egli parlò qual Signore del Sabato. Egli parlò al capo della sinagoga: ma il suo rimprovero colpiva tutti quelli lì presenti che erano animati dei medesimi suoi sentimenti, come lo prova, la parola ipocriti al plurale. Egli strappa senza alcun riguardo la maschera sotto la quale essi cercavano di nascondersi. Ipocriti erano veramente, perché a lui imputavano a delitto quello che essi stessi facevano ogni giorno.

ciascun di voi non scioglie egli dalla mangiatoia, in giorno di sabato il suo bue, o il suo asino, e li mena a bere? 16. E non conveniva egli scioglier da questo legame il giorno di sabato, costei, ch'è figliuola d'Abrahamo, la qual Satana avea tenuto legata lo spazio di diciott'anni?

Niente poteva esser più concludente ed inconfutabile di questa risposta. Gesù ricorda l'uso universale di sciogliere il bestiame dalla stalla per abbeverarlo in giorno di sabato, come in qualsiasi altro giorno, e lo trova giusto, perché è opera di misericordia che la legge di Dio non condanna ma se, così facendo, essi non trasgredivano la legge, come ardivano accusarlo di esser egli un violatore del comandamento, per quanto avea fatto in favore di questa donna? Notinsi i punti di contrasto che son tutti in suo favore. Quella donna era una «figliuola di Abrahamo», ed avea diritto a tutti i benefizii del patto fatto da Dio col Patriarca, mentre gli oggetti delle loro cure non eran che animali privi di ragione. Questi erano stati legati nelle loro stalle dai loro stessi padroni e per sole 24 ore; quella invece da 18 anni era tenuta in dura catena da Satana. I Giudei agivano per proprio interesse; Gesù era ispirato da compassione per una povera sofferente, e dal desiderio di dar gloria a Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 6:42; 12:1; Giobbe 34:30; Proverbi 11:9; Isaia 29:20; Matteo 7:5; 15:7,14; 23:13,28

Atti 8:20-23; 13:9-10

Luca 14:5; Giovanni 7:21-24

Luca 3:8; 16:24; 19:9; Atti 13:26; Romani 4:12-16

Luca 13:11; Giovanni 8:44; 2Timoteo 2:26

Luca 13:12; Marco 2:27

17 17. E mentre egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari eran confusi; ma tutta la moltitudine si rallegrava di tutte, l'opere gloriose che si facevan da lui.

Bastò questo a confondere ed a coprir di vergogna i suoi oppositori. Non solo furono ridotti al silenzio il capo della sinagoga e i suoi fautori; ma tutti gli astanti rimasero convinti che, senza un motivo nascosto ed indegno, un uomo non avrebbe mai condannato un'opera di misericordia, così ragionevole e conforme agli usi stabiliti. Perciò l'entusiasmo, che era stato per un momento arrestato dal rimprovero del loro capo spirituale, scoppiò in dimostrazioni più vivaci del solito in favore di Gesù. La parola del Signore colpì le loro coscienze, come il suo miracolo avea colpito il loro cuore. Queste lodi date a suo Padre, furon per il Figlio una prova che il suo soggiorno nella Perea, non era stato interamente vano.

PASSI PARALLELI

Luca 14:6; 20:40; Salmi 40:14; 109:29; 132:18; Isaia 45:24; 2Timoteo 3:9; 1Pietro 3:16

Luca 19:37-40,48; Esodo 15:11; Salmi 111:3; Isaia 4:2; Giovanni 12:17,18; Atti 3:9-11

Atti 4:21

RIFLESSIONI

1. Né in questo, né in alcun altro momento della sua vita, il Signore incoraggia ti rilassatezza nell'osservanza del quarto comandamento. Benché trasmutato dall'ultimo al primo giorno della settimana, il giorno del riposo è sempre obbligatorio, e continuerà ad esserlo, finché durerà il mondo. Non si può, senza colpa, fare in quel giorno qualsiasi lavoro non necessario. Non si può, senza colpa, distoglierne parte alcuna dai doveri che in esso si devon compiere, così nella famiglia, come nella casa di Dio. Ma opere di necessità e di misericordia, ben lungi dall'essere contrarie alla sua osservanza, vanno annoverate fra i doveri che a quel giorno si appartengono. Segua ognuno fedelmente la risposta della sua coscienza. Se questa o quell'opera è di così assoluta necessità che si possa rispondere affermativamente al giorno del giudizio, la si faccia pure senza timore, confidando in Dio che investiga i cuori. Ma stiamo in guardia contro le false pretese; lavori fatti di Domenica, che avrebbero potuto esser condotti a termine il Sabato, o rimandati al Lunedì, saran da Dio ritenuti come evidenti trasgressioni della sua legge.

2. Per derivare da questo miracolo tutti i benefizii che esso ci può dare, dobbiamo ricordarci che fu fatto affin di dare speranza e conforto alle anime rese inferme dal peccato. Niente è impossibile a Cristo, Egli può ammollire i cuori che sembrano duri come una macina; può ridirizzare la volontà che per «diciotto anni» è stata inclinata all'egoismo ed al peccato; e i peccatori i cui sguardi erano sempre abbassati sulle cose terrene ricevono da lui forza di alzarli al cielo e di scorgere il regno di Dio. Niente è troppo difficile per lui! Egli può creare e trasformare; soggiogare e liberare; vivificare e rialzare, con potere irresistibile. Facciamo tesoro di questa verità e non disperiamo mai, né della nostra salvezza, né di quella delle persone che ci son care. Per quanto grande sia quella parte della vostra vita che è stata spesa in follie, in mondanità ed in eccessi nocivi all'anima, v'è ancora speranza per voi, se solo andate a Cristo.

3. Com'è terribile per l'ipocrita la descrizione data della onniscienza di Dio in Salmi 139:1-12! Né inganni, né tenebre posson nascondergli i nostri pensieri. In questa occasione Gesù diede a vedere di possedere quella onniscienza. Mentre ascoltava le parole del capo della sinagoga, leggeva gli amari sentimenti che agitavano il suo cuore, poi confuse la sua ipocrisia, mostrando che le sue vere intenzioni dovean esser ben diverse dalle sue parole, poiché queste così poco si applicavano al caso presente. Così confonderà il Signore tutti i suoi nemici all'ultimo giudizio. Essi si «risveglieranno a vituperi, ed a infamia eterna» Daniele 12:2; Salmi 2:1-5.

18 Luca 13:18-30. PARABOLE DEL GRANEL DI SENAPE E DEL LIEVITO. RISPOSTA AD UNA DOMANDA SUL NUMERO DEI SALVATI Matteo 13:31-33; Marco 4:31-34

Parabole del granel di senape e del lievito, Luca 13:18-21

Per la esposizione di questa porzione vedi Matteo 13:31-33.

22 

Risposta ad una domanda sul numero dei salvati, Luca 13:22-30

22. Poi egli andava attorno per le città, e per le castella, insegnando, e facendo cammino verso Gerusalemme.

L'Evangelista ci dà così pochi dettagli di tempo e di luogo relativamente a, quest'ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme, che è impossibile discorrerne a lungo. Le parole di questo versetto sembrano indicare che dopo un breve soggiorno in qualche luogo, Gesù ne era ripartito per proseguire il suo viaggio, vedi nota Luca 9:51.

PASSI PARALLELI

Luca 4:43-44; Matteo 9:35; Marco 6:6; Atti 10:38

Luca 9:51; Marco 10:32-34

23 23. or alcuno gli disse: Signore, sono eglin pochi coloro che son salvati?

Se fosse questi uno della folla che seguiva Gesù, o qualcuno che a lui si accostasse per via, l'evangelista nol dice; nemmanco sappiamo in quali circostanze o con quali disposizioni venisse fatta una tal domanda. Può darsi che avesse udita o gli fosse stata riportata la parola di Gesù in sul Monte «che pochi sono coloro che trovano la via angusta che mena alla vita» Matteo 7:14, o quell'altra da lui anche più spesso ripetuta che «molti sono chiamati, ma pochi eletti» Matteo 20:16, epperciò desiderasse metterlo alla prova perché quelle sue parole erano contrarie alla credenza nazionale, secondo la quale tutti i Giudei, quali discendenti dei Patriarchi, erano fuori di pericolo. In questo caso, il senso della sua questione sarebbe, come lo indica Lutero: "Signore, vuoi tu dire proprio sul serio che pochi saranno salvati?" O può essere stata una di quelle quistioni speculative dettate da mera curiosità, le quali si presentano alla mente degli uomini, in tempi di eccitamento religioso, e li distolgono da verità assai più importanti. Così la donna di Samaria eludeva le domande colle quali Cristo scandagliava la sua coscienza, mettendo in questione i meriti comparativi delle religioni giudaica e samaritana Giovanni 4:20.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:14; 19:25; 20:16; 22:14

Luca 12:13-15; 21:7-8; Matteo 24:3-5; Marco 13:4-5; Giovanni 21:21-22; Atti 1:7-8

24 24. Ed egli disse loro: Sforzatevi d'entrar per la porta stretta; perciocché io vi dico che motti cercheranno d'entrare, e non potranno.

In quel che segue, il Signore, invece di parlare a chi lo avea interrogato, si rivolge alla folla. Distoglie l'attenzione dei suoi uditori dal lato curioso o speculativo di questo soggetto, e la chiama sul suo lato profondamente pratico, secondo il quale la felicità eterna dei peccatori che periscono dipende dalla ricerca immediata ed ardente, per parte loro, della salute. Benché Gesù non dica nulla del numero dei salvati, non esita a proclamare che grande sarà quello dei perduti. Notisi l'antitesi fra i pochi, del vers. 23, e i molti, del ver. 24. Un'altra più marcata ancora è nel ver. 24, quella fra sforzatevi, e cercheranno, poiché egli è dal differente modo di cercare, indicato da questi verbi, che dipende il successo o la ruina. La «porta stretta» deve intendersi dell'usciolino che trovasi accanto al portone e pel quale s'entrava nel cortile di un palazzo, o di qualsiasi pubblico edifizio. Per quest'usciolino si facevan passare nelle grandi feste i convitati, affin di esser certi che non entrava nessuno all'infuori di essi. Questa porticina rappresenta Cristo, mediante il quale solo noi possiamo entrare ad abitare in sicurtà, primieramente nella Chiesa spirituale in sulla terra, quindi nelle stanze gloriose del santuario celeste. Nel suo ministero terreno, Cristo ha dichiarato non solo di essere la porta», ma pure di esser venuto «per cercare e per salvare ciò ch'era perito» Luca 19:10; Matteo 9:13; 15:24; Giovanni 14:6. La stessa verità egli tuttora proclama a quanti vivono sotto la dispensazione del Nuovo Testamento. L'«entrare per la porta» deve intendersi del vero pentimento e della fede Salutare in Cristo, come per l'unico e sufficiente Salvatore, che costituiscono la conversione del peccatore, la sua riconciliazione con Dio, e la sua fuga dalla «via spaziosa che mena alla perdizione». Il vocabolo sforzatevi, letteralmente agonizzate, indica uno sforzo continuo, intenso, e doloroso, come quello dei concorrenti nei giuochi atletici della Grecia, o quello che uno farebbe per aprirsi il passo fra una gran calca di gente, fino a quella porticina, cui tutti tendevano ansiosamente. Non è difficile immaginarsi il pigio, la confusione, il caldo, la violenza, l'animosità di una tal scena; il Signore ci dice che da consimile lotta deve esser marcato pel peccatore il suo «passaggio dalla morte alla vita». Tutto il contesto mostra che non si tratta qui di salvezza temporale, bensì di «liberazione dall'ira avvenire», e dell'eredare la vita eterna ed il Signore stesso ce ne dà una prova indubitabile, dicendo altrove: «Il regno dei cieli è sforzato, ed i violenti lo rapiscono» Matteo 11:12. S'incontrano grandi difficoltà per entrare per «la porta stretta»; devonsi vincer nemici che la circondano e ci contendono a palmo a palmo il terreno; sacrificare abitudini oziose e fors'anche viziose; molto occorre abbandonare e lasciare indietro; imparare ed acquistar molte cose contro le quali il cuore carnale lungamente si ribella. Il subir questa disciplina, sotto l'insegnamento dello Spirito Santo, con ferma determinazione di non lasciarsi vincere o stancare, è cosa indispensabile per entrar nella vita. «Se adunque alcuno è in Cristo, egli è nuova creatura, le cose vecchie son passate; ecco, tutte le cose son fatte nuove» 2Corinzi 5:17. L'insegnamento speciale, però, di questo passo ci par essere il contrasto fra i due modi di cercar, l'entrata nella vita, contrasto che è espresso dai due verbi e il Signore ci comanda di «agonizzare», perché il semplice, «cercare» è uno sforzo troppo debole, ed intere moltitudini periscono per esserne accontentate. Alcuni cercano il favore di Dio e la felicità eterna, senza la conversione o la fede in un divino Salvatore; altri li cercano con indolenza, posponendoli alle attrazioni mondane; altri sperano ottenerli con mezzi che Dio non ha mai indicati; altri ancora li vorrebbero, ma facendo delle riserve per i loro interessi mondani, per certi piaceri peccaminosi, o per non perdere l'amicizia del mondo. In questi e in altri simili modi molti rimangono privi della salute, benché abbiano avuto chiare convinzioni, momenti di serietà e di zelo, cambiamenti parziali di condotta. In una parola, il «non potranno» col quale termina questo versetto indica impossibilità morale di entrare nel regno di Dio, per qualsiasi altra strada che per la porta stretta, cioè per l'unica ed appieno sufficiente giustizia di Cristo.

25 25. ora, da che il padron della casa si sarà levato, ed avrà serrato l'uscio, voi allora, stando di fuori, comincerete a picchiare alla porta, Dicendo: Signore, Signore, aprici.

Il più grande di tutti gli ostacoli per entrar per la porta stretta è la procrastinazione. Gli uomini indugiano di cercare, finché non è troppo tardi, ed il momento opportuno è passato per sempre. Cristo qui ci mette soprattutto in guardia contro la procrastinazione. La similitudine usata qui è la continuazione di quella del versetto precedente. Il padrone di casa aspetta con pazienza che tutti giungano, finché non sia scoccata l'ora fissata, ed allora va in persona a chiudere la porticina, per la quale gl'invitati sono stati ammessi. Quando poi quelli che per tutto quel tempo si erano pigramente cullati coll'idea che sarebbe sempre tempo di entrare, si trovano l'uscio in faccia, la loro energia si risveglia; essi allora cominciano ad «agonizzare», a picchiare, a supplicare il padron di casa di aprire e di riceverli; ma oimè! egli è troppo tardi! Il padrone di casa è il Signor Gesù stesso, come lo si vede dall'allusione che a lui vien fatta al ver. 26 e il giorno in cui «l'uscio sarà serrato», può esser quello della morte di un uomo, quando cioè cessano per sempre le occasioni e i mezzi di grazia, dei quali egli era circondato o ancora l'ultimo giudizio, quando i malvagi verranno precipitati nell'eterna perdizione. In un senso generale, tutto il passo può esser preso come indicante figurativamente la risoluzione di Cristo di escludere dalla sua presenza tutti gl'increduli, nonché il disinganno e la disperazione di quanti si vedranno all'ultimo inclusi in quella categoria.

Ed egli, rispondendo, vi dirà io non so d'onde voi siate.

Il Signore, dice questo non già delle loro persone, bensì delle loro professioni religiose. Sono essi Israeliti per, nascita? egli li dichiara affatto alieni dalla fede e dalla pietà di Abrahamo. Sono essi Cristiani? non hanno quella fede e quell'amore cui si riconoscono i veri discepoli; egli li tratta, come se provenissero da un paese a lui affatto ignoto; sieno essi quel che vogliono, egli sa e proclama che non sono membri della sua famiglia, non sono tralci della «vera vite», e questo egli ripete anche più enfaticamente al ver. 27, conchiudendo col respingerli per sempre.

PASSI PARALLELI

Salmi 32:6; Isaia 55:6; 2Corinzi 6:2; Ebrei 3:7-8; 12:17

Genesi 7:16; Matteo 25:10

Luca 6:46; Matteo 7:21-22; 25:11-12

Luca 13:27; Matteo 7:23; 25:41

26 26. Allora prenderete a dire: Noi abbiam mangiato e bevuto in tua presenza; e tu hai insegnato nelle nostre piazze. 27. Ma egli dirà: io vi dico che non so d'onde voi siate; dipartitevi da me, voi tutti gli operatori d'iniquità.

Continuando la stessa similitudine, Gesù mette in bocca degli esclusi dalla festa, parole che saranno letteralmente applicabili ai Giudei quando verranno esclusi dal regno messianico. In questi versetti, li vediamo divenire importuni; asseriscono che il Maestro ha cattiva memoria quando dice di non conoscerli, e citano varii fatti destinati a svegliar le sue ricordanze. Notiamo che per venir diversamente trattati da lui, non si fondano che sui privilegi esterni di cui hanno già goduto; non dicono che il loro cuore sia mutato non professano amore o gratitudine per lui, né pretendono che sia cambiato il loro tenor di vita, ma solo gli ricordano che avean mangiato e bevuto nella sua presenza, e perciò credono di aver diritto alla Sua ospitalità; che egli avea predicato nelle loro piazze; che essi avean goduto il privilegio del suo pubblico insegnamento, epperciò non gli erano estranei. Queste ragioni non valsero loro nulla; perché il solo attendere alle cerimonie esterne della religione non può far entrare nell'alleanza di Cristo chi vi è stato fino allora estraneo. Gesù novamente dichiara che non li conosce affatto, che essi non han diritto alcuno alla sua compassione ed alla sua bontà, e li scaccia dalla sua presenza. Negli argomenti messi avanti dagli esclusi. vediamo illustrata e svelata la vanità delle ragioni colle quali molti inconvertiti si illudono che verranno finalmente ricevuti nei cieli. Alcuni si fondano sull'aver mangiato e bevuto la, santa Cena in presenza di Cristo, benché abbiano unicamente «mangiato e bevuto giudizio a se stessi, non discernendo il corpo del Signore». Altri si fondano sull'aver avuto migliori occasioni di venire istruiti nella parola, da pii genitori o da fedeli ministri e maestri, nonché sulla loro esterna professione di religione, dimenticando che i privilegi dei quali non abbiam fatto buon uso accrescono la nostra responsabilità, e che le false professioni sono un insulto solenne a Dio. Nessun tale argomento sarà tenuto per valido.

PASSI PARALLELI

Isaia 58:2; 2Timoteo 3:5; Tito 1:16

Luca 13:25; Salmi 1:6; Matteo 7:22-23; 25:12,41; 1Corinzi 8:3; Galati 4:9; 2Timoteo 2:19

Salmi 5:6; 6:8; 28:3; 101:8; 119:115; 125:5; Osea 9:12; Matteo 25:41

28 28. quivi sarà Il pianto e lo stridor de' denti; quando vedrete Abrahamo, Isacco, e Giacobbe, e tutti i profeti, nel regno di Dio; e che voi ne sarete cacciata fuori; 29. E che ne verranno d'Oriente, e d'Occidente, e di Settentrione, e di Mezzodì, i quali sederanno a tavola nel regno di Dio.

Questi versetti son paralleli a Matteo 8:11-12, su cui vedi le note.

Il vocabolo «quivi», designando in questo passo il luogo di esclusione dalla presenza di Dio, corrisponde alle «tenebre di fuori» di Matteo, ed in entrambi l'effetto prodotto sugli esclusi è figurato dal «pianto e dallo stridor dei denti», pianto per quel che han perduto, rabbia per la propria loro follia nel non aver approfittato dell'occasione loro offerta di salvarsi, ed invidia di quelli che hanno avuto la fortuna di entrare. Non v'ha dubbio che questi versetti aveano la loro applicazione immediata nello stato in cui si troverebbero i Giudei, se lasciavano trascorrere senza pentirsi il tempo di grazia loro benignamente accordato da Dio. L'insegnamento figurativo della Parabola dei malvagi vignaiuoli Luca 21:9-16, secondo la quale essi saranno cacciati dalla vigna, per far posto ad altri che sapranno fare un uso migliore dei loro privilegi, si trova pur qui, ma con maggiore enfasi e chiarezza; i Patriarchi ed i Profeti rappresentando la chiesa o il regno di Dio, dal quale i Giudei rimarranno all'infuori; e quei venuti da ogni parte del mondo per sedere a mensa con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, i Gentili, il cui posto (a giudizio dei Farisei), doveva essere nelle «tenebre di fuori» per sempre. Questo cambiamento nella posizione, rispettiva dei Gentili e dei Giudei, dopo che Cristo sarebbe stato «innalzato», e Gerusalemme ridotta un mucchio di rovine, getta ampia luce sul significato delle parole colle quali Gesù chiude questo suo discorso: «Ve ne sono degli ultimi, che saranno i primi, e dei primi che saranno gli ultimi», Confr. Romani 11:15-25. Ma il significato spirituale di questi versetti, e la loro applicazione ad ogni individuo ci trasportano al giudizio finale, fors'anche più in là di quello (come nel caso dell'uomo ricco della parabola Luca 16): vale a dire nel luogo dell'eterno castigo. Queste stesse terribili parole colle quali Gesù scaccia da sé gli impenitenti, le vediamo da lui ripetute in Matteo 25, dove si tratta evidentemente dell'ultimo giudizio; è dunque probabile che Gesù avesse in vista anche qui la medesima scena. In quel giorno, quando sarà stata pronunziata dal Giudice supremo la terribile sentenza, quanti rimarranno sorpresi e disillusi fra quelli che si stimavano sicuri delle gioie dei cieli, e si vedranno invece gittati nelle tenebre di fuori, preparate per il diavolo e i suoi angeli! In questi versetti abbiamo una risposta indiretta alla domanda del ver. 23. Molti saranno salvati, ma essi no; i loro profeti, ma essi no; gli stranieri, i pubblicani, i Gentili entreranno, ma mi saranno cacciati fuori!

PASSI PARALLELI

Salmi 112:10; Matteo 8:12; 13:42,50; 22:13; 24:51; 25:30

Luca 16:23; Matteo 8:11

Luca 14:15; 23:42-43; 2Tessalonicesi 1:5; 2Pietro 1:11

Luca 10:15; Apocalisse 21:8; 22:15

Genesi 28:14; Isaia 43:6; 49:6; 54:2-3; 66:18-20; Malachia 1:11; Marco 13:27

Atti 28:28; Efesini 3:6-8; Colossesi 1:6,23; Apocalisse 7:9-10

30 30. Ed ecco, ve ne sono degli ultimi che saranno i primi, e de' primi che saran gli ultimi.

In unione ai versetti precedenti, questo ci insegna che all'ultimo giorno si vedrà che l'essere ammessi nella gloria od esclusi da essa, non corrisponderà a quelle apparenze esterne dietro alle quali gli uomini giudicano di queste cose, imperocché molti che il mondo e la chiesa tenevan certi di entrare verranno lasciati fuori; molti invece che davano quaggiù a vista umana pochissima promessa, entreranno. Più di uno che avrà fatto tutta la vita professione di religione, all'ultimo sarà «salvato come per lo fuoco», mentre ad altri, i quali come il ladrone in sulla croce, avranno abbracciato il Salvatore all'ultimo momento della vita, sarà concessa l'entrata all'eterno regno del Signor nostro Gesù Cristo. Questa espressione proverbiale ammette una applicazione molto più generale; come, per esempio, per quel che riguarda la prosperità mondana, i privilegi religiosi, il tempo della conversione, lo zelo nell'opere di Cristo; ma Gesù l'usa qui per indurre ognuno ad esaminare il proprio cuore, e ad accertarsi della sua vera posizione. Ci accordi il Signore di farne uso a questo scopo.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:9-10; 8:11-12; 19:30; 20:16; 21:28-31; Marco 10:31

RIFLESSIONI

1. In questo passo Gesù c'insegna che v'ha una grande opera dinanzi a noi; che la porta per la quale conviene entrare nel regno è stretta; che molti sono i nemici i quali ci impediscono di arrivarvi; e che siamo responsabili per l'adempimento o la trascuranza di questo dovere. Non dobbiamo rimanercene neghittosi nel peccato e nella mondanità, aspettando che agisca la grazia di Dio; non dobbiamo continuare nel male, sotto la vana scusa che non possiamo far nulla, finché Dio non ci attira a sé. Dobbiamo avvicinarci a lui, mediante i mezzi di grazia; se ne facciamo uso, Dio opererà efficacemente su noi per lo santo suo Spirito. Pecchiamo contro le anime nostre trascurando di servirci ogni giorno di quei mezzi che egli ci ha dati, e dei quali ci ha ordinato di servirci come di gradini per salire a lui.

2. V'ha qualcosa di specialmente notevole nel linguaggio del Signore in questa profezia. Essa ci rivela questo terribile fatto che cioè egli è possibile all'uomo di conoscere la verità, e di non esser più in tempo per venir salvato. Miriadi di uomini si sveglieranno nel mondo avvenire, per esser convinti di verità che non hanno voluto credere in questo. La terra è la sola parte della creazione di Dio, dove si trovi qualche incredulità; nell'inferno stesso, «i demoni credono e temono».

3. Quel che dà all'insegnamento del Signore in questo passo la sua più alta importanza per tutti i secoli avvenire è la grave sua dichiarazione, che nessuna mera partecipazione esterna nelle benedizioni del regno del Messia, può darci un diritto alla eredità della gloria, se non abbiamo avuto in cuore quella vera penitenza e fede che Dio domanda.

4. Bengel suggerisce l'idea che nel ver. 29; I quattro punti cardinali sieno con intenzione disposti nell'ordine nel quale i Gentili verrebbero chiamati in tutto il mondo nella Chiesa di Cristo. Senza dar troppa importanza a questa idea, è però una curiosa coincidenza che il vangelo prima prese radice nella Siria e nell'Asia Minore, per spargersi quindi lungo le sponde del Mediterraneo nell'Occidente dell'Europa, poi nella Brettagna e fra le nazioni scandinave, e finalmente nell'Africa meridionale e nelle isole dell'Oceano Pacifico. La storia individuale di non poche fra quelle chiese potrebbe di più suggerire al lettore un commento istruttivo sul proverbio col quale si chiude questo discorso.

31 Luca 13:31-35. MESSAGGIO AD ERODE, E LAMENTAZIONE SU GERUSALEMME SUGGERITA DA QUELLO

Messaggio ad Erode Luca 13:31-33

31. in quell'istesso giorno vennero alcuni Farisei, dicendogli: Partiti e vattene di qui; perciocché Erode ti vuoi far morire.

Conoscendo l'odio di tutta la setta Farisaica verso Cristo, non è possibile credere che questo consiglio fosse dettato dall'amicizia. Alcuni vi ravvisano una pura e semplice invenzione dei Farisei, per ridurre Gesù al silenzio; Erode non vi sarebbe entrato per nulla; ma Gesù, che leggeva nei cuori e conosceva i pensieri degli uomini, avrebbe subito svelato la ipocrisia dei suoi interlocutori, se questo fosse stato un semplice loro tranello. La risposta che, per mezzo loro, egli manda ad Erode rende una tal teoria insostenibile. Il fatto che l'assassinio di Giovanni Battista pesava sulla coscienza di Erode c'impedisce però di credere che egli volesse accrescere quel peso, uccidendo un altro profeta, la cui fama tanto superava quella di Giovanni. Dall'altra parte il sapere che ora in Perea, e vicino a quel castello di Macheronte dal quale egli dirigeva la guerra contro l'Arabia, quel Gesù che aveva pubblicamente proclamato Giovanni il più grande di tutti i profeti, e la cui influenza egli tanto temeva doveva essere per Erode causa di grande ansietà, e fargli desiderare di potersi liberare dalla sua presenza. Formò adunque un piano che ben si accorda colla sua nota ed astuta poltroneria. Indusse certi Farisei ad aiutarlo a liberare il Suo territorio della presenza di uno che temeva, sapendo bene che sarebbe cascato nelle mani di nemici meno scrupolosi ancora dall'altra parte del Giordano. Questo piano doveva piacere ai Farisei, e non li esponeva a pericolo alcuno. Sotto il velo dell'amicizia, essi doveano avvisare Gesù che la sua vita era in imminente pericolo, perché Erode cercava di farlo morire, e consigliargli una fuga immediata. Non è questa la sola occasione in cui Farisei ed Erodiani si unirono per complottare insieme contro Gesù.

PASSI PARALLELI

Nehemia 6:9-11; Salmi 11:1-2; Amos 7:12-13

32 32. Ed egli disse loro: Andate, e dite a quella volpe:

Gesù non si perde ti cercar migliori informazioni o prove più sicure riguardo alla comunicazione che gli vien fatta. Scuopre subito l'intrigo e indovina la parte che ciascuno vi avea preso. Trattando questi uomini come agenti di Erode, a lui personalmente manda la sua risposta. Deve essere stato per Erode causa di grande rabbia il vedere la sua astuzia mutata in follia. Il nome che Gesù gli dà: «quella volpe», mentre descrive molto accuratamente l'ipocrita sua astuzia, la sua codardia e la sua crudeltà, era pure inteso a far conoscere a quelli che gli avean portato quel messaggio, che Gesù conosceva che da Erode originava quello stratagemma, non essendo essi se non ispregevoli strumenti nelle sue mani Si è rimproverato a, Gesù di aver parlato con così poco rispetto del capo dello Stato, poiché così facendo egli avrebbe violato il precetto: «Non dir male dei rettori; e non maledire colui che è principe del tuo popolo» Esodo 22:28; ma quelli che parlano così, dimenticano che in questo luogo Gesù parla come profeta, ed è in virtù di questo suo ufficio che egli dà a quel tiranno il nome che le sue azioni si meritano Geremia 1:10. Di più, come nota Godet, dobbiamo ricordare! che Erode era la creatura di Cesare, e non già l'erede legittimo del trono di Davide. Quello che il Signore disse con autorità uffiziale come profeta non potrà mai scusare i sudditi che parlano con disprezzo o con amarezza dei loro governanti, né permette ai cristiani di usare un linguaggio violento e spregiativo nel parlare dei malvagi.

Ecco, io caccio i demoni, e compio di far guarigione oggi. e domane; e nel terzo giorno perverrò al mio fine.

La prima parte di questa risposta è una sfida all'odio di Erode, cui Gesù risponde che, senza lasciarsi impaurire dalle sue minaccie, egli proseguirà fino alla fine la sua grande e benefica opera. Ma v'ha pure in essa qualche cosa che dovea calmare i timori del re; l'opera di Gesù consisteva nel cacciare i demoni e nel guarire gli ammalati; egli non minacciava in modo alcuno la sovranità di Erode; di più, il suo soggiorno in Perea dovea esser di breve durata. «Oggi e domani e il terzo giorno», era una espressione proverbiale per indicare un tempo assai breve, e questo senso pare preferibile qui a quello voluto da Meyer ed altri, i quali la prendono come indicante letteralmente tre giorni, in capo ai quali la sua partenza toglierebbe ogni motivo ai timori di Erode. Col verbo perverrò al mio fine, Cristo non parla solamente della fine del suo ministero pubblico in Giudea, Galilea e Perea, poiché quello ebbe termine quando egli varcò il Giordano (il suo tempo in Gerusalemme essendo impiegato sia a dare istruzioni ai suoi discepoli, sia a confutar le accuse dei suoi nemici), ma pure della sua morte, che avvenne una settimana dopo la sua partenza dalla Perea, colla quale fu compiuta l'opera sua mediatrice in sulla terra, ed egli entrò in pieno possesso della sua gloria come Mediatore celeste.

PASSI PARALLELI

Luca 3:19-20; 9:7-9; 23:8-11; Ezechiele 13:4; Michea 3:1-3; Sofonia 3:3; Marco 6:26-28

Luca 9:7; Marco 6:14; Giovanni 10:32; 11:8-10

Giovanni 17:4-5; 19:30

Ebrei 2:10; 5:9

33 33. Ma pure, mi convien camminare oggi, domane, e posdomane; conciossiaché non accada che alcun profeta muoia fuor di Gerusalemme.

Questo par che sia il senso: "Ma quantunque il fine sia così prossimo, è dovere mio, in adempimento della volontà di mio Padre, perseverare oggi, domane ed il giorno dopo, nell'insegnare e nel guarire come prima, senza mutar nulla ai miei piani, poiché, minacci pure Erode quanto vuole, egli non ha potere alcuno sulla mia vita; della morte mia devono rendersi colpevoli i rettori della mia nazione perché un profeta non può morire fuori di Gerusalemme". Era questa una regola generale, ma che ebbe pure le sue eccezioni. Giovanni Battista non fu messo a morte in Gerusalemme. Le parole non si ritrovano altrove in tutto il Nuovo Testamento: significano letteralmente «non è possibile», ma qui il loro senso evidente è: non e sarebbe conveniente sarebbe contrario all'uso; i rettori non si acconcerebbero a vedere un profeta morire altrove che in Gerusalemme. V'è in quest'ultime parole una ironia severa. Ben poteva esser crudele Erode, ma la sua crudeltà non s'agguaglia a quella della «Santa Città», rossa del sangue dei profeti! Son parole che abbracciano il passato, il presente e l'avvenire della storia di quella città. Oltre al caso di Zaccaria figliuolo di Gioiada 2Cronache 24:20,22, o di Barachia, come lo chiama Gesù Matteo 23:35, e di Uria Geremia 26:23, dei quali è detto espressamente che furono uccisi in Gerusalemme, Geremia rende contro a Giuda questa solenne testimonianza: «La vostra spada ha divorato i vostri profeti, a guisa d'un leone guastatore»; e l'abituale crudeltà con cui venivan trattati i profeti è indicata come una delle ragioni per cui i Giudei vennero trasportati in cattività a Babilonia 2Cronache 36:15-16. Il Signore dichiara che lo stesso odio contro i messaggeri di Dio tuttor viveva nel cuore dei rettori giudaici del suo tempo (benché pretendessero di onorarne la memoria, adornando le tombe degli antichi martiri Matteo 23:29-35), e la sua morte e quella di Stefano presto ne doveano dare la prova. I Farisei, ai quali Gesù avea affidato il suo messaggio, potevano ora giudicare quanta poca importanza egli dava alle minaccie di Erode.

34 

Lamentazione sopra Gerusalemme. Luca 13:34-35

34. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti, e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto l'ale, e voi non avete voluto: 35. Ecco, la vostra casa vi è lanciata deserta. Or io vi dico, che voi non mi vedrete più, finché venga il tempo che diciate: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore.

La menzione della sua morte a Gerusalemme richiama alla memoria di Gesù il destino tremendo che egli sapeva impendere sopra i suoi abitanti, dopoché essi avrebbero con quel fatto «empiuta la misura dei loro padri», e alle ultime ironiche sue parole presto tennero dietro altre in cui si uniscono in modo commovente la sua compassione per aver essi trascurata la grazia, ed il suo dolore per la calamità che li minacciava. Egli era venuto espressamente per «le pecore perdute della casa d'Israele», ed era sempre stato ansioso di salvarlo, e pronto a coprirlo ed a proteggerle, come la gallina la sua nidiata senza difesa, ma essi «non vollero venire a lui, acciocché avessero vita». Ed ora era troppo tardi! La «casa desolata», indica senza dubbio la loro città devastata dai Romani; ma i Giudei chiamavano enfaticamente il tempio la loro casa («La casa della nostra santità, e della nostra gloria dove già ti lodarono i nostri padri, è stata arsa col fuoco» ecc. Isaia 64:11), e questo pure è qui indicato, forse in modo tutto speciale. «Desolato» davvero sarebbe il tempio, quando la presenza del Signore se ne sarebbe ritirata per sempre, quella presenza di cui era stato predetto che per essa «maggiore sarà la gloria di questa seconda casa che la gloria della primiera» Aggeo 2:9. Alcuni scrittori credono che questa sia, la stessa lamentazione che quella riportata in Matteo 23:37-39, da Luca messa in un altro posto; ma essi appartengono generalmente a quella classe di scrittori, i quali non ammetton che Cristo abbia mai ripetuto i suoi insegnamenti. Per quanto si rassomiglino molto, vi sono però, nel greco, differenze che indicano esser esso stato pronunziato in occasioni differenti, e la, perfetta consonanza di questa colla cieca crudeltà colla quale i rettori del popolo desideravano la morte di Cristo, grandemente conferma l'ordine in cui la riferisce Luca. Tre sono le lamentazioni di Gesù sopra Gerusalemme Luca 23:34; 19:41-44; Matteo 23:37-39, e chi le considera seriamente deve convincersi che ciascuna fu perfettamente appropriata al tempo ed al luogo in cui venne pronunziata. Abbiam notato più sopra che questa era una dichiarazione profetica, e per ogni maniera opportuna, di quello che seguirebbe a Gerusalemme dopo che i suoi abitanti avrebbero ucciso il Signor della gloria: la seconda, pronunziata quando Gesù, nel mezzo del suo trionfo, contemplava dall'alto del Monte degli Ulivi la magnificenza del tempio e piangeva su di esso, colpisce la mente di ogni viaggiatore per la sua perfetta convenienza in quel luogo ed in quel momento: mentre l'ultima, come l'immediata conseguenza del suo ritiro definitivo dal tempio, è il degno e solenne culmine di tutte le tre, il canto di morte di Gerusalemme nella desolazione del suo tempio. Per la esposizione vedi Matteo 23:37-39; e le riflessioni 5,6,7.

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