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Galati 6

1 Capitolo 6

Esortazioni alla mitezza, alla gentilezza e all'umiltà Gal 6:1-5

Alla gentilezza verso tutti gli uomini, in particolare verso i credenti Gal 6:6-11

I Galati avvertiti contro i maestri giudaizzanti Gal 6:12-15

Una benedizione solenne Gal 6:16-18

Versetti 1-5

Dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri. Così adempiremo alla legge di Cristo. Questo obbliga alla tolleranza e alla compassione reciproca, secondo il suo esempio. È doveroso portare i pesi gli uni degli altri, come compagni di viaggio. È molto comune che un uomo si consideri più saggio e migliore degli altri uomini e che sia in grado di dettare loro le regole. Un uomo del genere inganna se stesso; fingendo di avere ciò che non ha, inganna se stesso e prima o poi ne scoprirà i tristi effetti. In questo modo non si guadagnerà mai la stima, né di Dio né degli uomini. Si consiglia a ciascuno di provare il proprio lavoro. Quanto meglio conosciamo il nostro cuore e le nostre vie, tanto meno disprezzeremo gli altri e tanto più saremo disposti ad aiutarli nelle loro infermità e afflizioni. Per quanto leggeri possano sembrare i peccati degli uomini quando li commettono, si riveleranno un pesante fardello quando dovranno fare i conti con Dio. Nessun uomo può pagare un riscatto per il proprio fratello; e il peccato è un peso per l'anima. È un peso spirituale e quanto meno un uomo lo percepisce come tale, tanto più ha motivo di sospettare di se stesso. La maggior parte degli uomini è morta nei propri peccati e quindi non vede e non sente il peso spirituale del peccato. Sentendo il peso e il fardello dei nostri peccati, dobbiamo cercare di essere alleggeriti dal Salvatore e di essere messi in guardia da ogni peccato.

6 Versetti 6-11

Molti si sottraggono all'opera di religione, anche se possono darne prova e professarla. Possono imporsi agli altri, ma ingannano se stessi se pensano di imporsi a Dio, che conosce i loro cuori e le loro azioni; e come non può essere ingannato, così non sarà deriso. Il nostro tempo presente è il tempo del seme; nell'altro mondo raccoglieremo ciò che seminiamo ora. Come ci sono due tipi di semina, una per la carne e l'altra per lo Spirito, così la resa dei conti sarà nell'aldilà. Chi vive una vita carnale e sensuale non deve aspettarsi altro frutto che la miseria e la rovina. Ma coloro che, sotto la guida e le influenze dello Spirito Santo, vivono una vita di fede in Cristo e abbondano nelle grazie cristiane, raccoglieranno dallo Spirito la vita eterna. Siamo tutti molto inclini a stancarci nel dovere, in particolare nel fare il bene. Dobbiamo guardarci bene dal farlo. Solo alla perseveranza nel bene è promessa la ricompensa. Ecco un'esortazione a tutti a fare il bene al proprio posto. Dovremmo preoccuparci di fare il bene durante la nostra vita e fare di questo l'attività della nostra vita. Soprattutto quando si presentano nuove occasioni e per quanto è in nostro potere.

12 Versetti 12-15

I cuori orgogliosi, vanitosi e carnali si accontentano di tanta religione quanta ne serve per fare bella figura. Ma l'apostolo dichiara la sua fede, la sua speranza e la sua gioia, e che la sua principale gloria era nella croce di Cristo. Per croce si intendono le sue sofferenze e la sua morte in croce, la dottrina della salvezza attraverso un Redentore crocifisso. Per Cristo, o per la croce di Cristo, il mondo è crocifisso al credente, e lui al mondo. Quanto più consideriamo le sofferenze del Redentore dal mondo, tanto meno saremo propensi ad amare il mondo. L'apostolo era poco colpito dal suo fascino, come un osservatore sarebbe stato colpito da qualsiasi cosa che fosse stata graziosa nel volto di una persona crocifissa, quando la vedeva annerita nelle agonie della morte. Non fu colpito dagli oggetti che lo circondavano più di quanto uno che sta per morire sarebbe stato colpito da una qualsiasi prospettiva che i suoi occhi morenti avrebbero potuto vedere dalla croce a cui era appeso. E per coloro che hanno creduto veramente in Cristo Gesù, tutte le cose sono considerate del tutto prive di valore rispetto a lui. C'è una nuova creazione; le cose vecchie sono passate e sono state introdotte nuove idee e disposizioni sotto le influenze rigeneranti di Dio, lo Spirito Santo. I credenti sono portati in un mondo nuovo ed essendo creati in Cristo Gesù per le buone opere, sono formati a una vita di santità. Si tratta di un cambiamento di mente e di cuore, grazie al quale siamo in grado di credere nel Signore Gesù e di vivere per Dio; e dove manca questa religione interiore e pratica, le professioni o i nomi esteriori non saranno mai sufficienti.

16 Versetti 16-18

Una nuova creazione a immagine di Cristo, come dimostra la fede in Lui, è la più grande distinzione tra un uomo e l'altro, e una benedizione è dichiarata su tutti coloro che camminano secondo questa regola. Le benedizioni sono: pace e misericordia. Pace con Dio e con la nostra coscienza, e tutte le comodità di questa vita, per quanto necessarie. E la misericordia, un interesse nell'amore e nel favore gratuito di Dio in Cristo, sorgente e fonte di tutte le altre benedizioni. La Parola di Dio scritta è la regola che dobbiamo seguire, sia nelle sue dottrine che nei suoi precetti. Che la sua grazia sia sempre con il nostro spirito, per santificarci, rinvigorirci e rallegrarci, e che possiamo essere sempre pronti a mantenere l'onore di ciò che è davvero la nostra vita. L'apostolo aveva nel suo corpo i segni del Signore Gesù, le cicatrici delle ferite inferte dai nemici persecutori, per la sua adesione a Cristo e alla dottrina del Vangelo. L'apostolo chiama i Galati suoi fratelli, mostrando così la sua umiltà e il suo tenero affetto per loro; e si congeda con una preghiera molto seria, affinché possano godere del favore di Cristo Gesù, sia nei suoi effetti che nelle sue prove. Non dobbiamo desiderare altro per essere felici che la grazia di nostro Signore Gesù Cristo. L'apostolo non prega che la legge di Mosè o la giustizia delle opere, ma che la grazia di Cristo sia con loro, che sia nei loro cuori e nei loro spiriti, che li vivifichi, li conforti e li rafforzi: a tutto ciò egli pone il suo Amen, a significare il suo desiderio che così sia, e la sua fede che così sarà.

Commentario del Nuovo Testamento:

Galati 6

1 Fratelli, anche se un uomo sia stato colto in qualche fallo, voi che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. E veglia su te stesso, che talora anche tu non sii tentato.

Paolo passa dalla 1a persona plur. alla 2a, quindi per meglio far giungere alla coscienza di ognuno la sua esortazione usa il tu. Dicendo: anche se uno sia stato colto in qualche fallo l'apostolo afferma implicitamente che la cosa produce sorpresa perchè non dovrebbe normalmente accadere nei cristiani condotti dallo Spirito, e quando accade, il fallo in cui è caduto un fratello, rende più difficile l'adempiere verso di lui la legge dell'amore e rende molto facile invece a chi è rimasto in piè il gloriarsi, almeno internamente, della propria superiorità morale. Eppure, il fratello caduto non dev'essere nè odiato, nè abbandonato, ma rialzato, rimesso in istato, diretto alla fonte del perdono e ristabilito nello stato suo di prima ( καταρτιζω) e ciò con ispirito di mansuetudine. Una siffatta disposizione è uno dei frutti dello Spirito Galati 5:23 ed è quella che meglio servirà a rialzare il fratello caduto. La boria orgogliosa, la durezza crudele lo irriterebbero e lo allontanerebbero; la mitezza umile e caritatevole lo rileverà. Nella 2Tessalonicesi 3:15 Paolo esorta a non considerare il fratello riprensibile come un nemico ma ad ammonirlo come fratello. La tentazione lo ha sorpreso quando non se l'aspettava, in un'ora di debolezza, ed egli è caduto; ma della sua caduta si vergogna e si pente; una mano pietosa lo aiuterà a riprendere la via. Coloro che sono spirituali cioè che hanno ricevuto lo Spirito di Dio e sono condotti e retti da Lui, devono mostrarsi mansueti e caritatevoli verso chi è caduto, e lo devono tanto più quando ricordino che anch'essi sono esposti alla tentazione, alle cadute, che anch'essi sono deboli ed hanno bisogno di sorvegliare attentamente se stessi, affin di non cadere come altri è caduto. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole.

2 Portate i pesi gli uni degli altri e così compirete appieno la legge di Cristo.

I manoscritti si dividono tra l'imperativo compiete (αναπληρωσατε ) portato dai codd. alef A C D, dal Receptus, e dalle edizioni critiche di Tregelles, Hort, Nestle prime ed., ed il futuro compirete (αναπληρωσετε ) portato dai Codd. B F G, dalla Vulg. e dalla Sir. adottato dalle edizioni Tischendorf, B. Weiss, Nestle ult. edd. La differenza del senso non è considerevole. I pesi che i cristiani devono aiutarsi a vicenda a portare possono essere senza dubbio di molti generi: le infermità fisiche, la povertà, le sollecitudini, le prove; ma il contesto accenna anzi tutto a dei pesi di natura morale quali ad es., i difetti del carattere, le infermità morali, le lacune nella vita religiosa, le imperfezioni nella conosce nza, ecc. In Romani 15:1 Paolo esorta i forti a «portare le infermità dei deboli». In che modo devono portar questi pesi? Certo non coll'assumere la responsabilità del male che altri possa aver fatto o fare, perchè non dobbiam «partecipare ai peccati altrui» 1Timoteo 5:22; ma possono portare i pesi dei fratelli colla loro pazienza, colla loro umiltà, colla loro simpatia, colla loro intercessione presso Dio, coi loro consigli ed incoraggiamenti, colla loro fraterna assistenza. Paolo esclama 2Corinzi 11:29: «Chi è debole che anch'io non sia debole? Chi è scandalizzato ch'io non arda?» Aiutando i lor fratelli a liberarsi da quel che ritarda il lor cammino, essi compiranno appieno la legge di Cristo cioè la legge dell'amore che Cristo ha prescritta quando diede «un nuovo comandamento» Giovanni 13:34 e di cui ha dato l'esempio perfetto portando i nostri languori e caricandosi delle nostre malattie. Il termine indica che se è abolita per il credente la legge mosaica egli non resta senza norma per la sua vita morale.

3 Perchè se alcuno stima d'esser qualcosa pur non essendo nulla, egli inganna se stesso.

«Il principale ostacolo al portar con simpatia i pesi degli altri è il sentire altamente di se» (Alford). Se alcuno stima d'esser qualcosa, s'intende qualcosa di speciale, di elevato, di superiore agli altri in fatto di vita morale, di spiritualità, di forza nel resistere alle tentazioni, mentre in realtà egli non è nulla di simile, nulla di speciale, egli inganna la propria mente - così letter. la parola greca - si figura d'esser quel che non è. Giacomo 1:26 dice: «Se alcuno crede d'esser religioso e non tiene a freno la propria lingua, anzi inganna il proprio cuore, la religione di quel tale è vana».

4 Ciascuno esamini invece l'opera propria ed allora avrà motivo di vanto rispetto a se stesso solamente e non rispetto ad altri.

È facile sentir altamente di se quando uno pone a confronto le sue virtù vere o supposte con i difetti altrui; ma se uno non vuol illudersi sul proprio conto deve sottoporre ad un serio esame l'opera propria, alla luce della legge di Cristo. L'opera e non le millanterie o i sentimenti orgogliosi: quel ch'ei fa realmente tenendo conto dei doni ricevuti, delle sfere di attività che gli sono aperte, delle responsabilità che posano su di lui. L'opera propria non quella degli altri che non tocca a lui di giudicare. E se fatto quell'esame gli resta qualche motivo legittimo di vanto, egli lo avrà rispetto a se solamente e non per via di confronto coll'opera del fratello. Di questo vanto ossia legittima e riconoscente soddisfazione, Paolo stesso offre più d'un esempio. «Il nostro vanto, dice egli 2Corinzi 1:12, è questo, cioè la testimonianza che la nostra coscienza ci rende d'esserci condotti nel mondo... con santità e sincerità di Dio». «La grazia di Dio verso di me non è stata vana, anzi ho faticato più di loro (degli altri apostoli)» 1Corinzi 15:10. Si confr. 2Corinzi 11; 12 ove Paolo espone qual sia il suo stato di servizio come apostolo di Cristo, e Romani 15:18-21.

5 Ciascuno infatti porterà il suo proprio carico.

Carico ( φορτιον) si applica a quel peso che un soldato, un viaggiatore portano con se nel loro cammino. Si riferisce quindi ai doveri ed alle responsabilità speciali che ciascun individuo ha dinanzi a Dio nel corso della vita terrena e di cui dovrà render conto a Lui nel giorno del giudizio. «Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo onde ciascuno riceva secondo quel che ha fatto quand'era nel corpo, sia bene sia male» 1Corinzi 2:10; Romani 14:4-12.

6 2. Galati 6:6-10. Il dovere di provvedere al sostentamento dei pastori e alla beneficenza

Colui ch'è ammaestrato nella Parola faccia parte di tutti i suoi beni a chi lo ammaestra.

Non conosciamo le circostanze particolari che rendevano necessaria l'esortazione di provvedere generosamente al sostentamento dei conduttori delle chiese di Galazia. Si trattava forse soltanto di trascuranza carnale che permetteva ai cristiani, come dice Lutero, di «ben pascere e curare se stessi e di non dar nulla ai ministri della Parola». Fatto sta che avevano bisogno d'essere spinti a seguir gl'impulsi dello Spirito in questo, e in genere nella pratica della beneficenza. Alcuni interpreti tedeschi (Meyer, Lipsius Sieffert) hanno inteso l'espressione «comunicare in tutti i beni» come contenente l'esortazione a chi è ammaestrato di giungere a possedere la stessa conoscenza, la stessa spiritualità e vita cristiana di cui il conduttore gli da l'esempio. Ma il plurale «i beni» non è mai adoprato da Paolo per indicare i beni spirituali, mentre lo si trova applicato spesso da Luca ai beni materiali Luca 1:53; 12:18-19; 16:25. Si tratta dunque qui del dovere, per chi è istruito nella Parola del Vangelo da persone che vi consacrano tempo e, capacità, di far parte a quelle persone di tutti i loro beni, cioè di provvedere generosamente coi loro beni materiali al sostentamento di chi imparte loro, coll'insegnamento, i beni spirituali. Il greco ha: chi è catechizzato, parola che nel suo senso primo vale: "far risuonare" e quindi istruire a viva voce Atti 18:25. Così erano stati istruiti i Galati, prima da Paolo e dai suoi compagni, poi da uomini aventi il dono dell'insegnamento, e chiamati perciò dottori nel. N. T. Paolo dice nella 1Timoteo 5:17 che i presbiteri i quali «faticano nella parola e nell'insegnamento» meritano un doppio onorario. Cfr. Efesini 4:11; Romani 12:7.

Egli ha esposto largamente il dovere delle chiese riguardo al sostentamento dei ministri nella 1Corinzi 9:7-14 e ne tocca in altri luoghi come 2Corinzi 11:7-10; 12:13-18; 1Tessalonicesi 5:12. Gesù lo insegnò come risulta da Matteo 10:10 e parall.

7 Non v'ingannate, a Dio non si fanno beffe; perchè ciò che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà.

Nel non v'ingannate v'è un solenne avvertimento contro la tendenza dell'uomo ad illudersi per meglio mettere in tacere la propria coscienza. Una tale illusione, parte inconscia e parte volontaria, è interessata e, nel caso dei Galati, sta nel credere ch'essi possono mancare al loro dovere verso i loro conduttori senza che Dio domandi loro conto di quell'atto di avarizia e di sprezzo del ministerio della Parola. Il vocabolo greco che rendiamo «farsi beffe» vale propriamente: torcere il naso in su, quindi farsi beffe con delle smorfie. Non è cosa possibile all'uomo il farsi beffe di Dio, l'ingannarlo, il "fargliela" eludendo le grandi leggi secondo le quali Egli governa il mondo morale. Se l'uomo lo tenta, ne paga il fio. Fra quelle leggi infatti c'è quella secondo la quale la retribuzione che principia nel presente e si prolunga nel futuro risponde alla condotta tenuta dall'uomo, in quella guisa che nel mondo fisico la messe risponde alla seminagione. Quale è la natura e qualità di quel che si semina, tale è la natura e qualità di quel che si miete. Non si da il caso di una violazione delle leggi divine per cui si colgano fichi sui pruni o frumento dalla zizzania. Così nel Mondo morale non si raccoglie una messe di vita da una condotta avara ed egoista. Il paragone della messe e della seminagione è frequente nelle S. Scritture ed anche negli autori pagani Giobbe 4:8; Proverbi 22:8; Osea 8:7; 1Corinzi 9:6.

8 Poichè chi semina in vista della propria carne, dalla carne mieterà corruzione; mentre chi semina in vista dello Spirito, dallo Spirito mieterà vita eterna.

Galati 6:8 è una spiegazione ed applicazione della legge generale enunziata in Galati 6:7. Il seminare per la propria carne ( εις την σαρκα...) è stato tradotto da alcuni: «nella propria carne», quasi che la carne e similmente «lo Spirito» fossero i campi in cui è gettata la semenza. Quando però si tratta di esprimere quell'idea il greco usa le prepos. εν e επι (in e sopra) come si vede in Matteo 13 e parall. Piuttosto l'eis (in vista di) che abbiamo qui, indica il fine cui sono intesi gli atti dell'uomo, i quali sono un seme gettato nel terreno della vita governata dalle leggi di Dio. Il fine può essere egoistico e terreno (la propria carne) quando si mira a soddisfare le proprie passioni, i propri piaceri, comodi, ambizioni ecc; o può essere elevato, spirituale, conforme alla norma della carità e agli impulsi dello Spirito, mirante agli interessi permanenti ed eterni della vita superiore dell'uomo. Lo spirito è inteso dagli uni dello spirito umano, sede ed organo della vita spirituale creata dallo Spirito, da altri dello Spirito di Dio abitante nel credente quale guida e forza della sua vita nuova. Chi agiva con egoistica, grettezza e taccagneria verso i conduttori mostrava di preoccuparsi molto poco degli interessi spirituali suoi e della chiesa, troppo pensando ai proprii comodi ed interessi terreni: seminava in questo caso in vista della carne. Invece chi spendeva tempo e fatiche e denaro per accrescere in se e negli altri i frutti benedetti dello Spirito, seminava in vista dello Spirito. Quando si mira nella propria attività a soddisfare la carine, si miete corruzione, poichè il corpo ch'è lo strumento delle passioni carnali va soggetto a disfacimento: «Il ventre è per le vivande e le vivande per il ventre, e Dio distruggerà e questo e quelle» 1Corinzi 6:13. La vita psichica stessa è fugace: «Il mondo e la sua figura passa» e così gli affetti terreni. Il seminare per la carne è fatale anche alla vita morale e spirituale. Invece chi semina in vista dello Spirito miete ora accrescimento di vita, e mieterà in avvenire, per giusto giudicio di Dio, vita eterna. «Se lo Spirito... abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito, che abita in voi» Romani 8:11.

9 Non ci scoraggiamo nel fare il bene, poichè, a suo tempo, mieteremo, ne non ci stanchiamo.

Il provvedere generosamente ai bisogni dei conduttori è uno dei modi di seminare in vista dello Spirito; ma non è il solo. Fare il bene in modo generale è anche un seminare per lo Spirito. Due termini sono da Paolo usati in Galati 6:9-10 per significare idee affini ma non identiche come apparirebbe dalle versioni Diodati, Martini ed altre. Il primo ( καλον ποιειν) risponde al nostro: "fare il bene"; il secondo ( αγαθων εργαζεσθαι) al nostro: "far del bene". Il primo è più comprensivo e include l'altro, il secondo è più specifico; il primo presenta il bene in genere come moralmente bello (Cfr. Filippesi 4:8), il secondo accenna all'aspetto benefico, moralmente e fisicamente, dell'azione buona. Molto ragioni possono tentare il cristiano a venir meno, a scoraggirsi nella pratica del bene: il non vederlo apprezzato, coronato di successo, il vederlo travisato e compensato di ingratitudine. ecc. Si tratta perciò di perseverare con fede come l'agricoltore che aspetta con pazienza la stagione del raccolto. Non è perduto il seme che gettiamo, mieteremo a suo tempo cioè nel tempo fissato da Dio pelle sue retribuzioni. Nella 1Corinzi 15:58 dopo aver parlato della gloriosa risurrezione, Paolo conclude così: «State saldi, incrollabili, abbondanti del continuo nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non sarà vana nel Signore». La ricompensa di cui Dio si compiace coronare lo zelo e l'abnegazione dei suoi servi, è raffigurata come una ricca messe che li aspetta ed in cui ogni seme di bene gettato si troverà aver fruttato cento cotanti.

10 Mentre dunque ne abbiamo l'opportunità, facciamo del bene a tutti, ma soprattutto a quelli che appartengono alla fede.

Data la certezza della messe, si tratta di seminar largamente. Diodati ha tradotto: «Mentre abbiam tempo»; ma il termine greco (καιρος ) indica un tempo speciale, il tempo opportuno, cioè l'occasione, l'opportunità di fare una data cosa. Così Colossesi 4:5; Efesini 5:16 si tratta di «ricomperare le occasioni favorevoli». Resta vero però che le opportunità di cui parla Paolo sono offerte al cristiano nelle dodici ore della sua giornata terrestre.

Il "far del bene" non va limitato al bene materiale, alla beneficenza, sebbene sia questo il concetto che predomina nel versetto. Cfr. 1Timoteo 6:18. Oggetto della beneficenza cristiana devono esser tutti gli uomini, poichè sono nostri simili, nostri prossimi. Cfr. la parabola del buon samaritano Luca 10. Principalmente però devono esserlo coloro che appartengono alla fede cioè che fanno parte della famiglia dei credenti nel Cristo. Parecchie versioni portano: «i domestici della fede» e infatti la parola usata (οικειος ) vale: 'quelli della casa' e si applica ai membri della famiglia e a tutte le persone di servizio appartenenti ad una gran casa Efesini 2:19; 1Timoteo 5:8. Ma è usata pure negli autori greci, a significare l'idea più generica di speciale appartenenza per es. ad una scienza (filosofia, geografia) o ad una credenza. Quest'ultimo senso è da alcuni preferito qui, perchè la "fede" non è mai raffigurata, come lo è la chiesa, quale casa abitata dai credenti. Il primo dovere dunque è quello di provvedere ai bisogni dei fratelli in fede, abbandonati dai loro antichi correligionari, spesso perseguitati, erranti lungi dal loro nido ed ai quali ci unisce un potente vincolo spirituale. Il fuoco, nota il Curci, riscalda maggiormente gli oggetti che gli stanno più vicino. È così che deve fare la, beneficenza cristiana, specialmente se i suoi mezzi sono limitati.

AMMAESTRAMENTI

1. La legge suprema dell'amore e gl'impulsi dello Spirito devono esser seguiti anche quando si tratta dei fratelli caduti in qualche fallo. Il cristiano, è vero, non vive più abitualmente nel peccato; ma vi ricade ancora spintovi dalla carne, sorpreso e sopraffatte, dalla tentazione. «Le cupidigie della carne non sono spente, nota Lutero, ma ripigliano sempre vigore... Non v'è carne di fedele che sia tanto buona da non omettere qualche parte del comandamento della carità. Ella non può frenare il primo impulso e brama vendetta e odia, o almeno non ama come dovrebbe». Lo spirito, anche in un apostolo, è pronto ma la carne è debole e lo fa cadere quando meno se l'aspettava e dove si credeva sicuro di non cadere. Insegnino Davide e Pietro.

Or di fronte al fratello caduto in fallo lo ispirito di vanagloria e d'invidia ci porterebbe ad esultare perchè i falli altrui mettono in maggior risalto la superiorità di chi non è caduto; lo spirito farisaico ci porterebbe a trattarlo con alterigia e durezza; l'egoismo ad abbandonarlo alla sua sorte; ma chi è «spirituale», chi si lascia guidare e governare dallo Spirito ha il dovere di curvarsi come un buon samaritano, verso il fratello caduto per rialzarlo, per trarlo a ravvedimento e ricondurlo sull a retta via.

Un tal dovere spetta ai conduttori, senza dubbio; e, specialmente se si trattasse di grave scandalo, la chiesa deve usare misure più energiche a garanzia della propria preservazione morale e dell'onor del Vangelo; ma trattandosi di falli meno gravi il dovere di rialzare il caduto spetta a tutti in virtù della solidarietà della famiglia cristiana e in virtù dell'amor fraterno. Più un cristiano è spirituale e più deve sentire un tal dovere.

Quell'opera pietosa ha da compiersi con ispirito di mansuetudine. Il riprendere chi è caduto con alterigia e con durezza non servirebbe che ad allontanarlo sempre più; solo la mitezza che viene dall'amore e dall'umiltà di chi sente i pericoli da cui è circondato e la propria debolezza, può guadagnare il fratello. Gesù riguardò Pietro in silenzio, poi gli apparve risorto, e infine gli chiese: Simon di Giona mi ami tu più che costoro? «Ama, e poi di' quel che tu vuoi», esclama Agostino.

2. Portate i pesi gli uni degli altri. Ci sono dunque, nel viaggio della vita, dei pesi che noi, possiamo e dobbiamo aiutare gli altri a portare e che gli altri, a loro volta, possono aiutarci a portare. Quali sono questi pesi?

Ve ne sono di materiali. Un fratello si troverà in circostanze economiche penose per mancanza di lavoro. per persecuzioni, per disastri subiti, perchè carico di famiglia. Chi ha dei beni di questo mondo è tenuto di aiutarlo. Così porterà una parte del peso del fratello.

Vi son dei pesi morali: il dolore, il lutto, la solitudine, le mille tristezze della vita. Colla simpatia cristiana nelle sue svariate e delicate forme, possiamo portare una parte del peso che grava sopra un'anima sorella e spandere in un cuore qualche raggio di consolazione, di speranza e di gioia.

Vi sono dei pesi spirituali e sono l'ignoranza della verità, i pregiudizi, gli scrupoli infondati, le grettezze dei deboli, i difetti e le lacune della vita cristiana, i vizi, e le debolezze morali dei fratelli, esposti ciascuno a speciali tentazioni, a seconda dell'ambiente in cui vivono e del loro stesso temperamento. Colla simpatia, colla carità, colla pazienza, colla preghiera, coi fraterni consigli ed anche cogli avvertimenti e colle riprensioni, possiamo aiutare i fratelli a portare i loro pesi con maggior lena e coraggio.

È questa la legge di Cristo che spinto dall'amore infinito ha portato le nostre malattie e si è anche caricato dei nostri peccati per espiarli sul legno. È la legge data da Cristo ai suoi, perchè, come v'è una solidarietà dei mondi gli uni cogli altri, dei popoli gli uni cogli altri, dei cittadini di una nazione, dei membri. di una famiglia, così vi è una solidarietà tra i membri della famiglia di Dio. E se un membro soffre tutti soffrono con esso, e se un membro è malato tutte le altre membra se ne ris entono.

Ciascuno porterà il suo proprio carico. V'è dunque un carico che non possiam portare per gli altri nè altri può portar per noi. Un carico che non siam liberi di rifiutare, perchè posto sulle spalle di ciascun individuo da Dio stesso quando ci ha fatti creature morali dotate di ragione e di coscienza. Un carico che non possiam gettar sulle spalle degli altri perchè spetta esclusivamente a noi. Un altro non può pentirai al mio posto, nè credere in Cristo in vece mia. Così un altro non può assumere il carico dei doveri che sono imposti a me nella mia speciale situazione. Di questo carico di responsabilità individuale non mi esentano nè l'eredità, nè le sollecitazioni di amici, nè la pressione della folla. Ciascuno renderà conto di se stesso davanti al tribunal di Dio e ciascuno riceverà la sua propria retribuzione.

3. Il Signor Gesù ha istituito il ministerio della Parola in seno alla sua Chiesa, ministerio affidato a coloro ch'egli vi chiama e ch'egli rende atti ad esercitarlo coi doni del suo Spirito.

I ministri devono consacrare il tempo e le forze a pascere il gregge a loro affidato. Ufficio loro non è di compier riti e cerimonie, ma è di istruire nella Parola di Dio i giovani ed i vecchi, i colti e gl'incolti. Essi devono «faticare nella Parola e nell'insegnamento».

Quelli che sono da loro istruiti hanno, fra gli altri, il dovere di provvedere, al loro sostentamento materiale. Cristo ha ordinato che quelli che annunziano l'evangelo vivano dell'evangelo. Se essi seminano nei cuori i beni spirituali è cosa giusta che mietano almeno il necessario in beni materiali. Così ordinava la legge mosaica e così comanda anche la legge naturale (Vedi 1Corinzi 9). Ma si è notato in tutti i tempi una colpevole trascuranza da parte dei fedeli nell'adempiere a questo dovere. I ministri sono in una situazione delicata per inculcarlo e molte volte soffrono in silenzio. Tocca a chi non è direttamente interessato a richiamar, come fa qui l'apostolo l'attenzione dei cristiani su questo dovere, ricordando loro che «a Dio non si possono far beffe» e che, come dice Calvino. «è una delle astuzie di Satana il far mancare ai ministri pii il sostentamento affinchè la Chiesa sia privata dei loro servizi».

Non è lo Stato, società civile, che ha la missione di provvedere al sostentamento dei ministri, non sono soltanto le persone facoltose sebbene a loro spetti il compiere questo dovere in più larga misura; non sono i fedeli delle altre chiese; ma sono tutti «quelli che sono istruiti nella Parola». E lo devono compiere in modo generoso come lo indica l'espressione: «faccia parte di tutti i suoi beni a chi lo ammaestra».

4. Il mondo fisico è retto da grandi leggi che l'uomo va scoprendo gradatamente e di cui si vale nelle mille applicazioni che ne fa. Il mondo morale è retto del pari, non dal caso, ma da leggi che l'uomo non crea e che non è in poter suo di abolire e di eludere. Esse sono l'espressione della natura e della volontà del Dio di perfezione sotto al governo del quale viviamo ed al quale dobbiam render conto.

È in virtù di una di queste grandi leggi morali che l'uomo mieterà ciò che ha seminato. Lo miete già in parte in questa stessa esistenza terrena. L'infanzia semina per la gioventù e la gioventù per l'età matura e la vecchiaia. Il male corrompe vie più la natura e degrada l'uomo, il vizio lo abbrutisce, lo rovina in tutti i sensi e l'uccide. La virtù invece lo eleva, lo nobilita, gli procura l'approvazione interna della coscienza e gli rende la vita più felice. «La pietà ha le promesse della vita presente» nonchè della vita avvenire. Ma la messe della presente seminagione si avrà nella vita futura di cui l'attuale non è che il breve vestibolo. L'uomo può troncar la vita sua corporale, ma non è in poter suo di troncar l'esistenza dell'anima sua per sottrarsi al giudicio di Dio.

L'uomo può «seminare in vista della carne», camminar secondo la carne, ed aver l'animo alle cose d'ella carne per soddisfarne le concupiscenze; può dare l'anima sua all'odio, all'orgoglio, alla menzogna, all'egoismo, all'empietà e le sue membra ad essere stromenti d'ingiustizia e di sensualità; ma dalla natura corrotta cui si abbandona mieterà corruzione: corruzione della propria natura morale, rovina del proprio corpo e perdizione. Ma può seminare pure «in vista dello Spirito», semi di ravvedimento sincero, di fede nel Salvatore, di supplicazioni allo Spirito santificatore; semi di rinunzia al male, di ubbidienza alle leggi della santità e dell'amore, e da quella seminagione mieterà quaggiù lo sviluppo del proprio carattere cristiano, e di poi la vita eterna.

Qual concetto serio e alto della vita ci da questo passo! Ogni giorno che spunta è giorno di seminagione per il tempo e per l'eternità. Quale invito a collocare la nostra vita interna ed esteriore sotto la guida e sotto il governo dello Spirito di santità e di amore!

5. Galati 6:9-10 contengono preziosi insegnamenti sulla beneficenza cristiana. Essa consiste non nel distribuire senza discernimento a chiunque mendica, dei soccorsi, ma nel far del bene senza cessar perciò di «fare il bene». V'è tal sistema di beneficenza che nutre la pigrizia, e incoraggia la menzogna e la frode.

Il campo di essa è vasto quanto il mondo poichè il cristiano è chiamato a far del bene morale e materiale a tutti gli uomini, senza distinzione. Però il dovere generale non sopprime il dovere speciale e immediato verso quelli che sono a noi congiunti da vincoli di sangue 1Timoteo 5:4,8 o di fede.

Le opportunità che si offrono all'esercizio del dovere saranno più o meno estese a seconda dell'ambiente in cui viviamo, delle circostanze in cui si trovano i nostri simili, delle risorse di cui possiamo disporre, ed anche della libertà, delle forze e del tempo che ci sono concessi. Tocca ad ognuno il saperle discernere, il non lasciarle passare quando la Provvidenza ce le presenta.

Le cause di scoramento non mancano anche nella sfera della beneficenza cristiana dove tutto sembra dovrebbe esser fonte di soddisfazione e di gioia. Il mondo empio ed egoista può scoraggiare lo slancio dei cuori generosi. L'ingratitudine e l'indegnità dei beneficati può raffreddare l'entusiasmo e la fiducia. La quantità delle miserie da alleviare può spaventare e dar l'impressione che la nostra modesta opera sia una goccia d'acqua in un incendio. La fatica fisica e morale può snervare la volontà.

Ma se esistono cause di stanchezza, sono più potenti gl'incoraggiamenti che la Parola di Dio offre al credente, Se non subito, certo «a suo tempo» mieteremo. Chi dona al povero presta all'Eterno che gli renderà la sua retribuzione.. Chi saviamente amministra le ricchezze terrene si fa con esse degli amici che lo accoglieranno con allegrezza nelle tende eterne Luca 16. Gesù considera come fatto a se, il bene fatto a uno dei suoi minimi fratelli Matteo 25. Fin da ora v'è una felicità interna nel "far del bene per amor di Cristo, e se vi sono degli ingrati e degli indegni, ci sono pure quelli che sono riconoscenti e invocano benedizioni e si rialzano consolati e sono strappati alla rovina. E chi conosco tutto il bene che un atto pietoso può fare anche come esempio ed incitamento ad altri a far del bene?" due centesimi della vedova osservata da Gesù hanno provocato il dono di milioni e l'atto di Maria di Betania che fece quanto per lei si poteva per onorar il suo Salvatore, ha edificato tutte le generazioni dei cristiani e lo farà fino alla fine.

11 

CHIUSA DELLA LETTERA

Galati 6:11-18

«A questo punto, scrive il Lightfoot e con lui concordano non pochi esegeti tedeschi, l'apostolo prende la penna dalla mano dell'amanuense per scrivere la chiusa della lettera di proprio pugno. Fin da quando 22Tessalonicesi 2:2; 3:17 si era cominciato a fabbricar lettere in nome suo, egli pare aver adottato come precauzione contro tali falsificazioni l'uso di chiuder le sue lettere con alcune frasi scritte colla sua calligrafia». Un tal modo di vedere però non rende ragione dell'aoristo: «vi ho scritto», nè del «vedete». Se ancor non avea scritto verbo, come poteva dire: Vedete con che grossa scrittura vi ho iscritto? Ciò non può riferirsi che alle pagine della epistola ch'egli ha finora, con fatica degli occhi suoi, vergate di sua mano. Altri (Godet, Zöckler) intendono: Vedete che lunga lettera vi ho scritto! Ora è vero che il plurale greco lettere ( γραμματα) significa talvolta una lettera Luca 16:6-7; Atti 28:21, ma Paolo per conto suo usa sempre 17 volte il termine epistola; poi la lettera ai Galati non si può dire lunga. Quella agli Ebrei che è due volte più lunga è chiamata Ebrei 13:22 una "breve" lettera. Infine Paolo non avrebbe detto: Vedete con che lunga lettera vi ho scritto. Resta dunque solo possibile il senso della Diodatina accettato nelle versioni moderne.

Vedete con che grossa scrittura vi ho scritto di mia propria mano.

È implicato in questa esclamazione l'uso adottato da Paolo di dettare le sue lettere o di farle trascrivere da un amanuense. Per quali ragioni o circostanze egli non abbia fatto così nel caso dei Galati, non sappiamo. Non ebbe egli sotto mano un amanuense fidato, o volle egli recidere ogni possibilità di mettere in dubbio l'autenticità della sua lettera, ovvero dare ai Galati uno speciale attestato del suo vivo interesse per loro? Non potremmo dirlo con certezza. Ad ogni modo, mentre si scusa per il grosso carattere della sua calligrafia, egli attesta la piena autenticità del suo iscritto. Non c'è in questo nulla di puerile come parve al Godet; anzi l'apostolo è così poco in vena di puerilità che da questa stessa familiare osservazione egli prende le mosso per tornare ancora al grande argomento ch'egli ha trattato e per denunziare terminando i moventi egoistici e carnali dei giudaizzanti, moventi ai quali contrappone i proprii che sono quelli d'un servo interamente consacrato al suo Signore.

12 Sono tutti quelli che vogliono far bella figura nella carne che vi costringono a farvi circoncidere e ciò al solo fine di non essere perseguitati per la croce di Cristo.

La calligrafia della lettera che ha scritto sarà poco bella, ma ciò non importa se la sostanza è verità spirituale. Paolo non è di quelli che mirano a far bella figura in cose meramente esterne e carnali. Chi mira a questo sono i giudaizzati che costringono, non colla forza ma coll'insistenza del loro fanatismo, i cristiani etnici a farsi circoncidere. I veri moventi della loro fanatica propaganda in seno alle chiese non sono lo zelo per una scrupolosa e completa osservanza della legge mosaica. Essi si contentano di ottenere che gli etnici accettino il rito corporale della circoncisione, sul resto sono molto transigenti. Vogliono far bella figura di fronte alla ricca colonia giudaica di Galazia e di fronte ai loro correligionari di Palestina e d'altrove mettendo in mostra i bei risultati del loro proselitismo. Ora, se è sempre degna di rispetto una propaganda dettata da una convinzione, sia pure erronea, ma sincera, la propaganda diretta a sovvertir l'evangelo, a turbar le chiese, la propaganda poco scrupolosa nei mezzi, e per giunta ispirata da moventi di ordine inferiore e carnale, merita la recisa e sdegnosa condanna che l'apostolo le infligge in questa lettera. Vogliono far bella figura non per vanità soltanto, ma soprattutto per evitare la persecuzione che colpiva i cristiani conseguenti. Per la croce di Cristo s'intende a motivo della professione franca della dottrina della salvazione per fede nel Cristo crocifisso, senza alcuna condizione di osservanze legali. Chi perseguitava i cristiani per quel motivo erano principalmente i Giudei increduli e invidiosi che vediamo essere i nemici di Paolo dovunque egli predica l'evangelo della grazia e della libertà.

13 Poichè, neppure quelli stessi che sono circoncisi osservano la legge; ma vogliono che vi facciate circoncidere per avere un motivo di vanto nella vostra carne.

La prova che lo zelo dei giudaizzanti per ottenere che gli etnici si facciano circoncidere, non viene da un attaccamento sincero alla legge nel suo insieme, sta nel fatto che essi stessi non osservano la legge. Il loro zelo fanatico ha per movente il desiderio di gloriarsi nella carne dei cristiani etnici, cioè di vantarsi d'averne indotti tanti ad accettare quel rito corporale. «Non cercano il vostro utile, ma la loro propria gloria in voi, e la cercano non nel vostro uomo interno ma nella vostra carne» (Sieffert).

14 Quant'è a me, non sia mai che io mi glorii in altro che nella croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale, per me il mondo è crocifisso ed io lo sono pel mondo.

Ben diverso da quello ambito dai giudaizzanti è il vanto dell'apostolo e ben diversi dai loro sono i moventi che ispirano la sua attività missionaria. Egli non mena vanto della sua discendenza da Israele, nè della sua circoncisione, non mena vanto delle sue opere legali. Le cose ch'eran per lui dei guadagni le reputa ora un danno; quelle ch'egli pregiava altamente le reputa ora tanta spazzatura perchè ha trovato in Cristo la perla che cercava (Cfr. Filippesi 3). Si gloria e si glorierà sempre unicamente nella croce, del Signor Gesù Cristo. Ai Galati avea posto dinanzi agli occhi Cristo crocifisso. Presso ai Corinzi non avea voluto sapere altro che Cristo ed esso crocifisso, quantunque sapesse ch'era scandalo per i Giudei e pazzia per i Greci, perchè Cristo crocifisso è per i chiamati potenza di Dio e sapienza di Dio. Nel sacrificio della croce è stata compiuta l'espiazione dei peccati; ivi il giusto ha sofferto per gli ingiusti ed ha portata la maledizione da essi meritata affinchè su loro potesse scendere la benedizione del perdono e della pace. Col sangue della croce è suggellato il Nuovo patto, il patto della grazia per chiunque si ravvede e crede. Chi crede nel Cristo crocifisso si unisce a lui e non ha più da temere la condanna della legge, anzi è morto alla legge ed affrancato dal suo pesante giogo. È morto anche al mondo ed il mondo è morto per lui. Cristo è la sua vita, il suo tutto. «Sono stato, dice Galati 2:19, crocifisso con Cristo e non son più io che vivo, è Cristo che vive in me». Il sacrificio del Figliuol di Dio, accettato colla fede del cuore, ha prodotto in Paolo un completo rivolgimento morale: il mondo alieno da Dio colle sue massime, le sue idee, i suoi criterii, le sue aspirazioni, i suoi allettamenti, le sue gioie, i suoi terrori, le sue glorie vane, tutto questo è come cosa crocifissa e morta per lui; le «cose vecchie son passate». Egli pensa ora e giudica ed ama ed agisce e spera sotto le ispirazioni nuove e potenti che emanano dal Cristo per mezzo del suo Spirito. «Ecco ogni cosa è fatta nuova». D'altra parte egli non ignora che, per il mondo, egli stesso è diventato un pazzo, un perturbatore, un essere crocifisso e morto.

15 Giacchè, tanto la circoncisione che l'incirconcisione non sono nulla; quel che importa è l'essere una nuova creatura.

Il testo erasmiano con la quasi totalità dei Mss. porta qui: «Giacchè in Cristo Gesù nè la circoncisione nè l'incirconsione sono alcun che...» L'inciso «in Cristo Gesù» si ritiene importato da Galati 5:6 e la lezione più breve e di senso anche più generale del Cod. vaticano, della Siriaca, Armena ecc., è preferito dalla maggior parte dei critici. Di fronte alla croce di Cristo, che valore può avere, per la salvazione dell'uomo, il fatto del portare o no una piccola mutilazione corporale? Nessuno assolutamente. È una delle cose del mondo che sono morte per il credente. La cosa essenziale è l'essere una nuova creatura, e «chi è in Cristo è una nuova creatura» 2Corinzi 5:17, una creatura riconciliata con Dio mediante il sangue della croce, morta al mondo ed al peccato, vivente per il suo Redentore e Signore.

16 E sopra quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e sopra l'Israele di Dio.

La parola cànone ( κανων) vale una canna da misurare, poi una regola, una norma. La regola cui allude qui è quella espressa in Galati 6:14-15, la regola seguita dall'apostolo e consistente nel porre ogni speranza di salvazione sul sacrificio di Cristo e nel riguardare alla vita nuova come alla cosa essenziale, anzichè dare importanza a cose esterne, rituali. Sui Galati che seguiranno una tal norma nella loro vita, Paolo invoca pace cioè un profondo senso della loro riconciliazione con Dio e misericordia che cancelli i lor falli, colmi le lor lacune, li conforti nelle loro afflizioni e necessità. Nè solo sopra i cristiani genuini della Galazia invoca. quella benedizione, ma sopra l'Israele di Dio cioè sul vero popolo di Dio del Nuovo Patto, sui figli spirituali d'Abramo che son gli eredi delle promesse divine. E lo chiama l'Israele di Dio per distinguerlo dall'Israele carnale che si palesava sempre più avverso al Vangelo e nemico della croce di Cristo. Altrove dirà: «Non i figli della carne son figli di Dio, ma i figliuoli della promessa sono considerati progenie d'Abramo» Romani 9:8. «Noi siamo i veri circoncisi, noi che serviamo a Dio in ispirito e ci gloriamo in Cristo Gesù e non ci confidiamo nella carne» (Filippesi 3:3; Cfr. Efesini 2:12).

17 Da ora innanzi niuno mi rechi molestia, poichè io porto nel mio corpo le stimmate di Gesù.

È questa ad un tempo una preghiera ed una ingiunzione finale diretta tanto ai Galati quanto ai giudaizzanti. Agli uni ed agli altri egli ricorda che seguitando a calunniar lui, sovvertendo l'opera sua, revocando in dubbio la sua missione apostolica, cagionandogli ansietà e dolori o con attacchi malevoli o con ingiusti abbandoni, essi recano molestia ad un vecchio e provato servitore di Gesù Cristo, ch'essi hanno il dovere di rispettare se non di aiutare. Le stimmate ( στιγματα) erano dei segni fatti sulla pelle con una punta o con un ferro rovente. Il verbo ( στιζω) significa: fare delle incisioni. Si solevano segnare in tal modo sulla fronte o sulle braccia gli schiavi che aveano mostrato delle velleità di fuggire dalla casa dei lor padroni o erano realmente fuggiti; e ciò affin di farli riconoscere e restituire più facilmente. Gli addetti al culto di certe divinità si facevano dei tatuaggi di quel genere per indicare che appartenevano a quella divinità. Perfino dei soldati incidevano sulle lor braccia lo stemma o il nome di un duce glorioso. Paolo vuol dunque dire ch'egli porta sul suo corpo, non già le piaghe stesse che furon fatto a Gesù sulla croce, ma i segni esterni che lo fanno riconoscere come servo di Cristo nell'apostolato evangelico. Quali sono questi segni? Senza dubbio sono le traccie visibili, le cicatrici lasciategli dai molti mali trattamenti subiti nella sua carriera missionaria. Nella 2Corinzi 11 egli ricorda d'esser stato lapidato una volta, tre volte battuto colle verghe, d'aver ricevuto cinque volte dai Giudei quaranta colpi meno uno, d'esser stato spesso nelle prigioni, d'aver fatto tre volte, naufragio ecc. Tutte quelle sofferenze dovevano aver lasciato sul suo corpo delle traccie visibili e fors'anche dolorose che lasciavano intendere qual fosse il glorioso stato di servizio di quel soldato di Cristo.

18 La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia col vostro spirito, fratelli. Amen.

Una simil forma più breve della benedizione apostolica s'incontra in Filemone 1:25; Filippesi 4:23; 2Timoteo 4:22. Implora la grazia di Cristo che assicura il perdono, che rinnova, che fortifica e conforta, e chiede che sia col loro spirito, coll'io più profondo di ciascun di loro, collo spirito ch'è l'organo della vita superiore, atto a ricevere e gustare la grazia. Il Curci ha, caratterizzato questo saluto finale come «un santo ma secco augurio di commiato e basta». Il Godet è più nel vero quando dice: «Paolo augura che la grazia divina penetri fino a quel che v'ha di più intimo nell'anima dei lettori: lo spirito; e li saluta con questa parola di addio e di amore: fratelli. È questo come il balsamo che la sua mano amorevole versa terminando su tutte le ferite che la sua franchezza avea potuto fare». Ed egli suggella l'augurio coll'Amen del cuore.

AMMAESTRAMENTI

1. Le note caratteristiche dei propagandisti giudaizzanti denunziati e combattuti da Paolo devono servire di avvertimento ai propagandisti cristiani di tutti i tempi.

a) I giudaizzanti vogliono far bella figura davanti al mondo, in ispecie davanti al loro mondo giudaico tenerselo amico o per lo meno non inimicarselo e così evitare lo sprezzo e la persecuzione. A tal fine sacrificano del cristianesimo quello che al mondo è più ostico e conservano quello che al mondo piace. Lasciano nell'ombra la croce di Cristo e insistono sulla circoncisione perchè i Giudei ci tengono. V'è in loro una mancanza di sincerità e di coraggio. Coloro che tengono, nel corso della storia, a chiamarsi modernisti lo fanno talvolta per mostrare che non sono retrivi, che accettano quanto di buono offre il loro tempo; ma più spesso lo fanno per la premura di adattarsi alle dottrine ed alle tendenze anche se anticristiane che dominano nell'attimo fuggente in cui vivono.

b) I giudaizzanti sono fanatici per certi riti o forme particolari che per loro son come dei Scibbolet senza i quali non si è veri cristiani: e «costringono» i loro adepti ad accettarli come se fossero cosa essenziale, mentre poi tralascieranno le cose che sono essenziali: il ravvedimento, la fede e la vita nuova. Quanti esempi offre la storia di propagandisti fanatici di nomi, di riti, di forme ecclesiastiche o di forme dottrinali che non sono la cosa essenziale!

c) In ultima analisi, il fine dei giudaizzanti non è tanto il bene spirituale vero dei loro simili, quanto la egoistica e carnale vanità di poter vantare il gran numero dei proseliti fatti alla circoncisione. Troppe volte i propagandisti cristiani dei tempi posteriori non esclusi i nostri hanno avuto per movente principale il desiderio di poter vantare il numero dei proseliti fatti a certe idee particolari, a certi riti o forme speciali: abbiamo battezzato tanti neofiti, abbiamo iscritto tanti adepti sui cataloghi della nostra denominazione, contiamo tanti milioni, di professanti. Che poi quei neofiti e quei professanti siano realmente convertiti al Signore, rinunzino al male e menino vita cristiana, importa assai meno.

La propaganda cristiana quale la praticava Paolo mirava invece a convertir le anime al Dio vivente e alla fede nel Cristo Salvatore, mirava a farle passare dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù del male al regno del Figliuol di Dio.

2. Paolo non solo non si vergogna della croce di Cristo ma si gloria in essa. Se ne gloria nell'intimo del suo cuore poichè davanti all'ineffabile sacrificio compiuto su di essa dal Cristo egli esulta nella, sua fede, adora e benedice. Se ne gloria consacrando la parola e la vita a predicarla nel mondo. Non egli cerca di nasconderla, o di diminuirne il valore, anzi ne esalta i benefici e li vuole esaltare finche vivrà.

Si gloria nella croce e in nient'altro. Non nella sua discendenza dal patriarca Abramo; non nelle opere sue legali sebbene potesse dirsi esternamente irreprensibile; non nelle proprie forze morali come se fosse capace di redimersi; non nella circoncisione o in alcun rito esterno. Quel che una volta reputava guadagno lo reputa ora una perdita. Si gloria nella croce. Perchè? Perchè su di essa Cristo ha portata la maledizione meritata dai trasgressori ed ha espiato i lor peccati. Perchè nel mistero del sacrificio volontario del Giusto per gl'ingiusti si rivela ad un tempo la profondità dell'amor di Dio che non ha risparmiato il suo Figliuolo e la santità e giustizia di Dio. In grazia della croce Dio può esser giusto e giustificare il peccatore che crede. Si gloria nella croce perchè da essa fluisce la pace del perdono e della riconciliazione con Dio nell'anima angosciata. Il sangue di Cristo è stato versato per la remissione dei peccati e suggella il patto della grazia.

Si gloria nella croce di Cristo checchè di essa pensi o contro di essa faccia il mondo alieno da Dio. Il giudeo carnale si scandalizzi pure del Cristo crocifisso; il filosofo pagano tenga pure per pazzia la salvazione per la fede in un crocifisso. Il razionalista diriga pur contro la dottrina dell'espiazione i suoi sofismi. Per le anime assetate di salvezza che hanno trovato pace nel sacrificio del Figliuol di Dio, che sono state attratte dall'infinito amor del Cristo, che importa io sprezzo o l'odio del mondo? Il vincolo di fede e di amore che unisce l'anima al suo Salvatore morto per i peccati, ma vivente in eterno, è più forte di ogni altro vincolo e li ha spezzati tutti. Il mondo è morto per il credente come il credente è morto per il mondo. La croce di Cristo ha prodotto nel cuore del cristiano una rivoluzione nei suoi pensieri, negli affetti, nelle speranze, nell'attività sua. Le cose vecchie sono passate, tutto è divenuto nuovo. "Non più io vivo, dice Paolo, ma Cristo vive in me... A me il vivere è Cristo ed il morire guadagno".

3. Nel Galati 5:6 l'apostolo ha insegnato che in Cristo quel che ha valore non è la circoncisione o l'incirconcisione, ma è la fede operante per mezzo della carità e nel Galati 6:15 torna ad inculcar la stessa verità sotto altra forma (Cfr. 1Corinzi 7:19) mostrando quel ch'è essenziale nella religione.

Quel che importa non sono i riti esterni che uno ha ricevuto o ch'egli pratica, non è il nome che porta, l'abito che veste, la denominazione cui appartiene, la professione che fa, la forma ecclesiastica cui si riannoda ed altre cose simili.

Quel che importa è d'essere una nuova creatura, il riconoscere il proprio peccato e la necessità d'esser rigenerato a vita nuova, l'unione con Cristo fonte di vita; l'esser dallo Spirito trasformati nella mente e nei sentimenti, ed il camminare in novità di vita. Questo è il suggello solo autentico del cristianesimo genuino. Quelli che son «nati da Dio» formano l'Israele di Dio e su di loro scende la pace e la misericordia del Padre ch'è nei cieli.

4. «La prova dell'apostolato cristiano è il lavoro compiuto per Cristo. Non gli studi, non le visioni o le estasi, e neppure la conversione, poichè non è detto che tutti i convertiti debbano essere apostoli. Ma l'attività nell'ambasciata di Cristo, ecco la prova! Un'attività vibrante di amore e che incede senza smarrirsi tra le difficoltà e le sofferenze d'ogni sorta... Ogni creatura umana porta impresse nella carne le stimmate eloquenti delle sue opere, della sua vita, del suo carattere, del padrone a cui serve. E siccome i padroni si riducono a due soli, non vi sono in fondo che le stimmate del peccato e le stimmate di Cristo» (Alfr. Taglialatela nel vol. La Guardia del Cuore).

Ai servitori sinceri, zelanti, provati di Cristo sono dovuti da parte delle chiese dei riguardi pieni di rispetto, di stima e di affetto. Hanno da essere apprezzati, confortati, consolati, aiutati in vita, e la loro memoria ha da essere benedetta e venerata.

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