Commentario abbreviato:

Ebrei 6

1 Capitolo 6

Gli Ebrei vengono esortati ad andare avanti nella dottrina di Cristo e vengono descritte le conseguenze dell'apostasia o del ritorno indietro Ebr 6:1-8

L'apostolo esprime soddisfazione, per quanto riguarda la maggior parte di loro Ebr 6:9-10

E li incoraggia a perseverare nella fede e nella santità Ebr 6:11-20

Versetti 1-8

Ogni parte della verità e della volontà di Dio dovrebbe essere posta davanti a tutti coloro che professano il Vangelo ed essere sollecitata nei loro cuori e nelle loro coscienze. Non dovremmo parlare sempre di cose esteriori; queste hanno il loro posto e la loro utilità, ma spesso occupano troppa attenzione e tempo, che potrebbero essere impiegati meglio. Il peccatore umiliato che si dichiara colpevole e invoca misericordia non ha motivo di scoraggiarsi in questo passo, qualunque sia l'accusa della sua coscienza. Né dimostra che chi è diventato una nuova creatura in Cristo, diventa mai un apostata definitivo da Lui. L'apostolo non sta parlando della caduta di semplici professori, mai convinti o influenzati dal Vangelo. Costoro non hanno nulla da cui allontanarsi, se non un nome vuoto o una professione ipocrita. Né sta parlando di declini o ritorni parziali. Non si tratta neppure dei peccati in cui i cristiani cadono per la forza delle tentazioni o per il potere di qualche desiderio mondano o carnale. Ma l'allontanamento di cui si parla è un'aperta e dichiarata rinuncia a Cristo, un'inimicizia di cuore contro di lui, la sua causa e il suo popolo, da parte di uomini che approvano nella loro mente le azioni dei suoi assassini, e tutto questo dopo aver ricevuto la conoscenza della verità e averne assaporato alcuni dei comfort. Di questi si dice che è impossibile rinnovarli di nuovo al pentimento. Non perché il sangue di Cristo non sia sufficiente per ottenere il perdono di questo peccato; ma questo peccato, nella sua stessa natura, è contrario al pentimento e a tutto ciò che vi conduce. Se coloro che, a causa di una visione errata di questo passo e del proprio caso, temono che non ci sia misericordia per loro, prestassero attenzione al resoconto della natura di questo peccato, che è una rinuncia totale e volontaria a Cristo e alla sua causa e si unisce ai suoi nemici, li solleverebbe da timori sbagliati. Noi stessi dovremmo guardarci, e mettere in guardia gli altri, da ogni avvicinamento a un abisso così terribile come l'apostasia; tuttavia, nel farlo, dovremmo attenerci alla Parola di Dio, e fare attenzione a non ferire e terrorizzare i deboli, o scoraggiare i caduti e i penitenti. I credenti non solo gustano la Parola di Dio, ma la bevono. E questo campo o giardino fecondo riceve la benedizione. Ma il cristiano puramente nominale, che continua a non fruttare sotto i mezzi della grazia, o che non produce altro che inganno ed egoismo, è vicino alla terribile condizione sopra descritta; e la fine eterna della miseria è riservata a lui. Guardiamo con umile cautela e preghiera a noi stessi.

9 Versetti 9-10

Ci sono cose che non sono mai separate dalla salvezza; cose che mostrano che la persona è in uno stato di salvezza e che finiranno con la salvezza eterna. E le cose che accompagnano la salvezza sono migliori di quelle di cui abbia mai goduto un dissennatore o un apostata. Le opere d'amore, compiute per la gloria di Cristo, o fatte ai suoi santi per amore di Cristo, di volta in volta, come Dio ne dà occasione, sono segni evidenti della salvezza di un uomo; e segni più sicuri della grazia salvifica concessa, rispetto alle illuminazioni e agli assaggi di cui si è parlato prima. Non c'è amore che possa essere considerato tale, se non quello che opera; e non ci sono opere giuste che non derivino dall'amore per Cristo.

11 Versetti 11-20

La speranza qui intesa è la ricerca sicura delle cose buone promesse, attraverso quelle promesse, con amore, desiderio e stima di esse. La speranza ha i suoi gradi, come la fede. La promessa di beatitudine che Dio ha fatto ai credenti deriva dal proposito eterno di Dio, stabilito tra l'eterno Padre, Figlio e Spirito. Si può fare affidamento su queste promesse di Dio, perché qui abbiamo due cose che non possono cambiare, il consiglio e il giuramento di Dio, in cui non è possibile per Dio mentire; sarebbe contrario alla sua natura e alla sua volontà. E poiché non può mentire, la distruzione del miscredente e la salvezza del credente sono ugualmente certe. Osserviamo che coloro ai quali Dio ha dato piena sicurezza di felicità, hanno diritto alle promesse per eredità. Le consolazioni di Dio sono abbastanza forti da sostenere il suo popolo nelle prove più pesanti. C'è un rifugio per tutti i peccatori che si rifugiano nella misericordia di Dio, attraverso la redenzione di Cristo, secondo l'alleanza di grazia, mettendo da parte tutte le altre confidenze. Siamo in questo mondo come una nave in mare aperto, sballottata e in pericolo di essere gettata via. Abbiamo bisogno di un'ancora che ci mantenga sicuri e saldi. La speranza del Vangelo è la nostra ancora nelle tempeste di questo mondo. È sicura e salda, altrimenti non potrebbe mantenerci tali. La grazia gratuita di Dio, i meriti e la mediazione di Cristo e i potenti influssi del suo Spirito sono i fondamenti di questa speranza, e quindi è una speranza salda. Cristo è l'oggetto e il fondamento della speranza del credente. Poniamo dunque i nostri affetti nelle cose di lassù e attendiamo con pazienza la sua apparizione, quando certamente appariremo con lui nella gloria.

Commentario del Nuovo Testamento:

Ebrei 6

1 b. L'avvertimento Ebrei 6:1-8

Dopo il rimprovero per la loro pigrizia nel crescere in conoscenza e vita spirituale, viene un avvertimento solenne circa il pericolo che uno corre se, invece di progredire, indietreggia. «A chi ha sarà dato ed egli abbonderà; ma chi non ha, anche quel ch'egli ha gli verrà tolto» Matteo 13:12. «L'intelligenza delle più alte verità, dice Edwards, è la benedizione che Dio fa scendere sulla fedeltà; e la distruzione della facoltà di discernere le cose spirituali, è il di lui modo di punire la morale depravazione». Da queste leggi divine che reggono il mondo morale, viene per ciascuno il dovere di scuotersi e di progredire con risolutezza verso un grado superiore di vita e di intelligenza spirituale.

Perciò, lasciata la parola del principio di Cristo, portiamoci innanzi verso la perfezione, non gettando di bel nuovo il fondamento del ravvedimento dalle opere morte e della fede in Dio, della dottrina dei battesimi e dell'imposizione delle mani e della risurrezione dei morti e del giudicio eterno.

Il perciò si connette col rimprovero rivolto agli Ebrei nei versetti precedenti Ebrei 5:11-14. È vergognosa e colpevole questa loro perpetua infanzia spirituale; è tempo che ne escano, che si svezzino dal latte ed imparino a nutrirsi di cibo sodo. Per questo bisogna lasciare la parola del principio di Cristo, cioè cessare dal contentarsi delle verità cristiane più elementari per spingersi innanzi verso la perfezione ossia la maturità, nella intelligenza della verità nel suo vasto complesso. Il passivo φερωμεθα (facciamo d'esser portati) implica, l'abbandonarsi con tutto il cuore alla corrente divina che ci spinge innanzi, come fa il vento la nave. L'autore si mette insieme coi lettori onde incoraggirli e trascinarli con sè. È come se dicesse: Perciò, tutti insieme, voi che leggete ed io che scrivo, spingiamoci innanzi verso la maturità spirituale. Fate di vincer la vostra pigrizia d'intelletto ed io mi applicherò ad esporvi la superiorità del sacerdozio di Cristo. Mutando poi l'immagine e paragonando la vita nuova ad un edificio in costruzione, l'autore insiste sulla necessità di non stare sempre a porre il fondamento. Sta bene porlo una volta e saldo; ma poi bisogna su quella base tirar sull'edificio fino al suo compimento. Ora, nelle menti e nei cuori degli Ebrei, il fondamento era stato posto da gran tempo cioè quando erano state loro insegnate le verità fondamentali del Vangelo. Quelle non si tratta di abbandonarle, ma bisogna completarle man mano, innalzandosi a quelle meno elementari.

Fra i punti che costituiscono l'insegnamento iniziale, ne sono indicati sei che formano tre paia. I due primi: il ravvedimento e la fede si riferiscono alle interne disposizioni di chi diventa cristiano; i due seguenti: la dottrina dei battesimi e dell'imposizione delle mani si riferiscono ai riti simbolici che accompagnavano la professione di fede dei neofiti; i due ultimi: la risurrezione ed il giudicio si riferiscono alle cose ultime, oggetto della speranza cristiana. Per ravvedimento s'intende un mutamento radicale nel modo di considerare la nostra vita passata. Ma che cosa sono le opere morte che il ravvedimento porta ad abbandonare ( απο=lungi da)? Sono le manifestazioni varie di una esistenza che si svolge all'infuori della vita vera derivante dalla comunione con Dio. Sono l'attività di chi è spiritualmente morto, separato da Dio Efesini 2:1. Come il contatto con un cadavere contaminava ritualmente l'Israelita, le «opere morte» che, in ultima analisi, scaturiscono dall'egoismo, «contaminano la coscienza» Ebrei 9:14. Potranno parer belle agli occhi degli uomini e illudere chi non è ancora risvegliato, ma agli occhi di Dio e della coscienza illuminata sono macchiate di sozzura. Si aspetterebbe invece della fede in Dio, la fede in Cristo; ma è manifesto che la fede in Dio non indica una semplice professione di monoteismo per opposizione agli errori pagani, ma la fede nel Dio che, dopo aver fatto le promesse, le ha adempiute in Cristo, la fede nel Dio della salvazione, nel «Padre del nostro Signore G. C.». Ravvedimento e fede sono i due grandi temi della predicazione di Giovanni Battista e di Gesù nei primi tempi del suo ministerio: «Ravvedetevi e credete all'Evangelo» Marco 1:4; 7:15; e si confr. Atti 20:21, la predicazione di Pietro; e Atti 20:21, quella di Paolo.

2 La dottrina dei battesimi è l'insegnamento che trattava del significato simbolico delle abluzioni prescritte ai Giudei, del battesimo di Giovanni, del battesimo cristiano e in relazione con esso del battesimo dello Spirito. Cose tutte che andavano spiegate al giudeo che intendeva confessare la sua fede in Gesù. Il vedervi un'allusione a tre maniere di battesimo: d'acqua, di desiderio e di sangue, è un importare negli scritti apostolici distinzioni scolastiche medievali. L'imposizione delle mani seguiva di regola il battesimo ed era il simbolo del conferimento dello Spirito che s'implorava da Dio a favore del neofito. Cf. Atti 8:14-17; 19:5-6. La dottrina della risurrezione dei morti era di già insegnata dai Farisei, ma in quel modo incompleto in cui vi accenna l'A.T. Cristo che «ha posto in luce la vita e l'immortalità per mezzo del Vangelo» ne fa il centro della speranza di chi crede in lui: «Io lo risusciterò nell'ultimo giorno» Giovanni 6. Il giudicio eterno è il giudicio definitivo, finale, le cui conseguenze si estendono fino nell'eternità.

3 E questo noi lo faremo, se pure lo permette Iddio. Perocché coloro che sono stati una volta illuminati ed hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo ed hanno gustata la buona parola di Dio e le potenze del secolo avvenire, e sono caduti, è impossibile di rinnovarli un'altra volta a ravvedimento, crocifiggendo essi di nuovo, per proprio conto, il Figliuol di Dio ed esponendolo ad infamia.

Questo: che cosa? Manifestamente: questo spingerci innanzi e in alto verso la maturità spirituale, lasciando stare gli elementi dell'infanzia. Lo faremo, vogliamo farlo, io coll'aprirvi nuovi orizzonti della verità cristiana, voi collo scuotere la vostra inerzia e coll'aprir la mente ed il cuore ad una più completa conoscenza di Cristo. Senonchè, questo ridestarsi per portarsi più avanti, non è possibile sempre ed in tutti i casi; non può avverarsi che in conformità colla volontà di Dio, cioè colle leggi ch'egli ha stabilite nel mondo morale. Donde la esplicita riserva: se pure lo permette Iddio. Ci sono infatti dei casi in cui, per un giusto giudicio di Dio, ogni sforzo per rialzare chi è caduto, è vano, perchè non c'è più alcuna morale possibilità di pentimento.

4 Ebrei 6:4-8 sono stati torturati in varie guise. I Montanisti e i Novaziani se ne valsero a scopo disciplinare per giustificare il rifiuto di riammettere alla comunione ecclesiastica i lapsi, cioè coloro che, in tempi di persecuzione, avevano rinnegato Cristo, od erano altrimenti caduti in peccati gravi. D'altra parte, la chiesa antica, per via dell'appellativo di φωτισμος (illuminazione) dato al battesimo fin dalla metà del secondo secolo, e del termine di «rinnovamento» adoprato ad indicare l'efficacia di quel sacramento, ha fondato su questo passo il principio che il battesimo, anche se amministrato da eretici, non si deve rinnovare. Dalla Riforma in poi, si tratta piuttosto di sapere se il passo insegni o no la possibilità pei rigenerati di ricadere nella perdizione. Quel che non va dimenticato, ad ogni modo, è il fine pratico cui mira l'autore, intento com'è ad allontanare i lettori dal pericolo di apostatare dal Vangelo dopo averne gustato i privilegii. Non afferma che una parte qualsiasi dei cristiani Ebrei si trovino nel caso qui descritto, anzi spera meglio di loro Ebrei 6:9; ma afferma che chi ha fatto le esperienze qui enumerate e diventa apostata, non può più esser richiamato sulla via del ravvedimento. Ed in questa legge morale, sta l'avvertimento di cui hanno bisogno gli Ebrei rilassati, nei quali il quadro delle vive e sante emozioni di una vita nuova, doveva evocare il ricordo dei bei tempi del «primo amore». Cfr. l'esortazione Ebrei 10:26-39.

Il quadro consta di cinque pennellate:

1) Sono stati una volta illuminati. C'è stata nella loro vita un'epoca unica in cui la luce della verità, prima ignorata o non compresa, ha inondato la loro mente e il loro cuore. Hanno veduto il loro peccato ed hanno contemplato in Gesù il Salvatore. Quella esperienza che fu come una rivelazione decisiva, è avvenuta una volta sola ( ἁπαξ) e non si ripeterà. In Ebrei 10:32,26 l'autore allude ai tempi della conversione degli Ebrei come ai giorni in cui erano stati «illuminati» ovvero «avevano ricevuto la conoscenza della verità». (Cf. Efesini 1:18; 2Corinzi 4:6).

2) Hanno gustato il dono celeste. Se non fosse mentovata subito dopo la partecipazione allo Spirito Santo, si potrebbe credere che il dono celeste sia quello dello Spirito. Ma, dato il contesto, bisogna pensare piuttosto che si tratta del dono del perdono accordato a chiunque crede in Cristo (cf. Atti 2:38). È dono gratuito, ed è celeste perchè viene da Dio. Il gustare il perdono, e la riconciliazione con Dio è la, prima dolcissima esperienza del credente. Il battesimo n'era il simbolico suggello.

3) Sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo, quando hanno, dopo il loro battesimo, sperimentato in ore di estasi divina, la potenza dello Spirito e goduto dei doni straordinarii da esso comunicati. Cfr. Atti 8; 10:47; Galati 3:5; Ebrei 2:4.

5 4) Hanno gustato la buona parola di Dio. Le rivelazioni dell'A.T. sono apparse irradiate da nuova luce, e le parole di vita eterna di Gesù, essi ne hanno assaporato con delizie la dolcezza, la bellezza, la potenza consolatrice. Le dichiarazioni divine le hanno allora trovate «più dolci che miele». È detto dei primi discepoli che «seguivano con assiduità l'insegnamento degli apostoli».

5) Hanno gustato anche le potenze del secolo avvenire. Si tratta egli di una partecipazione ai doni miracolosi svariati che dovevano caratterizzare l'avvento del Messia? In tal caso si ritornerebbe all'idea espressa coll'esser «fatti partecipi dello Spirito Santo». Ci pare preferibile il veder qui una esperienza sia pure imperfetta e fugace delle meravigliose energie che caratterizzano la vita nuova, energie spirituali trasformatrici che sono all'opera durante l'era messianica e preparano l'avvento dello stato perfetto, in cui «Dio sarà ogni cosa in tutti».

6 Coloro che, dopo aver fatto una tale esperienza della grazia in Cristo, sono caduti, è impossibile rinnovarli un'altra volta a ravvedimento. Il verbo παραπιπτειν, che trovasi qui soltanto, significa letteralmente «cadere accanto», cioè fuor della retta via. Sono stati innalzati dalle grazie ricevute fino al cielo, perciò la lor caduta è tanto più profonda. Non si tratta qui di cadere occasionalmente per difetto di vigilanza in qualche peccato, anche grave, come lo fu, ad es. il rinnegamento di Pietro; ma, come risulta anche dal passo parallelo Ebrei 10:26 e segg., si tratta di cadere nell'apostasia, nell'alienazione completa da Cristo e dalla verità: di rinnegarlo qual Messia unendosi a coloro che lo maledirono come impostore 1Corinzi 12:3. Non si giunge al fondo di un tale abisso d'un colpo; anzi, come la conversione è un atto risultante da, una lenta preparazione anteriore, così una deliberata e cosciente apostasia è il risultato d'una serie di atti morali aventi per carattere «il ritrarsi dall'Iddio vivente» Ebrei 3:12, per ritornare nelle tenebre. La dichiarazione: è impossibile rinnovarli a pentimento, non si può attenuare in un «è difficile», o in un «è impossibile senza la grazia di Dio». Essa esprime una impossibilità morale risultante appunto da una legge e da un giudicio di Dio. Il verbo ανακαινιζειν è attivo e vale rinnovarli. L'idea è che, in questi casi, riesce vano ogni sforzo spiegato dagli istrumenti umani di cui Dio vuole servirsi per produrre nei cuori quel rinnovamento interno che mena al ravvedimento.

La ragione di questa impossibilità di ricondurre gli apostati a ravvedimento sta nella natura e gravità del loro peccato. Essi crocifiggono di bel nuovo per proprio conto, il Figliuol di Dio e lo espongono ad infamia. I verbi al presente non accennano a degli atti isolati, ma caratterizzano la linea di condotta, lo stato morale in cui vivono i «caduti». Il primo termine ( ανασταυρουντας; crocifiggendo essi di nuovo) descrive i sentimenti da cui sono ora animati riguardo al Cristo già da loro adorato. Non possono rinnovare materialmente la crocifissione di Gesù, ma la rinnovano moralmente, per conto proprio, ed a loro danno, unendosi col cuore al «crocifiggi» di quelli che lo fecero inchiodare alla croce, come impostore e bestemmiatore. Il secondo termine accenna all'effetto prodotto su di altri dalla notoria apostasia di costoro: lo espongono ad infamia dinanzi ai non credenti, lo additano al pubblico vituperio, rinnovando gli oltraggi e le beffe di coloro che resero amara l'agonia del Crocifisso. A meglio rilevare la gravità del lor peccato Cristo è designato qual Figliuol di Dio. In Ebrei 10:29 il peccato dell'apostata è descritto come un calpestare il Figliuol di Dio, un tener per profano il sangue del patto col quale uno è stato santificato, un oltraggiare lo Spirito della grazia. Dalla quale ultima espressione, come dall'insieme dei due passi, si può dedurre che il «cadere» di Ebrei 6:6, il «peccar volontariamente» di Ebrei 10:26, designano la stessa attitudine morale che Gesù chiamò la «bestemmia contro lo Spirito S.» (Matteo 12:31-32 e parall.), consistente in un malvagio e cosciente rinnegamento della luce e della grazia di Dio. Anche 1Giovanni 5:16-17 parla di un «peccato ch'è a morte» e per il quale dice di non pregare.

7 Infatti, la terra che beve la pioggia che viene spesse volte sopra essa e produce erba utile a coloro per i quali altresì è coltivata, riceve una benedizione da Dio; ma se porta spine e triboli è riprovata e vicina a maledizione; e la sua fine è d'essere arsa.

Con questa similitudine tolta dalla natura, l'autore illustra e corrobora la legge morale dianzi esposta. La terra che beve le frequenti pioggie che le vengon dal cielo ed anche i sudori di chi la coltiva, è l'immagine di coloro che sono fatti partecipi di grandi e svariate grazie spirituali quali sono quelle enumerate in Ebrei 5:4-5, e sono oggetto di cure per parte dei servitori di Dio. Quei favori implicano però una grave responsabilità. Come dalla terra coltivata ed adacquata si aspetta un prodotto utile al coltivatore, così da coloro che hanno sentito le influenza benefiche dello Spirito, si aspettano i «frutti dello Spirito». E chi li produce, è benedetto di nuove grazie che lo rendon capace di portar frutti sempre più abbondanti, così come la terra fertile ha parte ad una benedizione da parte di Dio coll'essere resa viepiù ferace di buoni frutti.

8 Se invece, dopo tante pioggie e dopo le cure prodigatele, butta fuori spine e triboli, roba inutile e nociva, essa è «riprovata» ( αδοκιμος) perchè risultata dalla «prova» fattane, refrattaria alla coltura. Nelle espressioni vicina a maledizione, la cui fine è d'essere arsa ci può essere un'allusione all'uso di appiccare il fuoco ai terreni coperti di vegetazione nociva o più probabilmente a giudicii come quello minacciato Deuteronomio 29:22-28 e che avea colpito Sodoma e Gomorra. «Alla vista; dello zolfo, del sale, dell'arsura di tutto il paese, ove non sarà nè seminagione, nè prodotto, nè erba alcuna che cresca, come avvenne nel sovvertimento di Sodoma ecc... tutte le nazioni diranno...». Le immagini qui sono così trasparenti che, per poco, le stesse parole della similitudine servono a descrivere anche il giudicio che colpisce coloro i quali rispondono alle grazie divine coll'apostasia. Riprovato, vicino a maledizione, arso, cioè reso per sempre sterile, ecco i gradi successivi in cui si esplica il giudicio di Dio su di essi. E questo triste quadro, l'autore l'ha voluto porre dinanzi agli occhi dei lettori suoi, affinchè servisse di avvertimento a chi fosse avviato a ritirarsi dalla verità conosciuta.

Ammaestramenti

1. «Il capitolo Ebrei 6 risponde mirabilmente a dei bisogni diversi dell'anima nostra. La via che mena al cielo è fiancheggiata di precipizii; a destra i pericoli del dubbio, della stanchezza, dello scoramento, il timor di venir meno per via: a sinistra, i pericoli della pigrizia spirituale, dell'ignoranza, della rilassatezza, della presunzione, ciel ritorno al mondo e dell'incredulità. Ma il Signore ha posto dovunque delle barriere. Qui, la parola del salutare avvertimento Ebrei 6:1-8, là quella dell'incoraggiamento Ebrei 6:9-20. Nulla egli ha, tralasciato per assicurare la nostra perseveranza finale e la nostra eterna salute... Invece di discutere senza fine sulle barriere poste dal Signore dai due lati della via che conduce al cielo e sulle varie iscrizioni che vi si leggono; invece di trarre da quelle delle conseguenze esagerate (tanto più false che ci paiono più rigorosamente logiche) e di opporle le une alle altre, accettiamole piuttosto quali Dio le ha date ed allora le difficoltà svaniranno. La conciliazione dei termini estremi (sovranità di Dio e libertà dell'uomo) sfugge alla speculazione, ma si rivela alla pratica. Se la S. Scrittura fa appello, secondo i casi, a tutti i sentimenti del nostro cuore, se ne fa vibrar tutte le corde: il timore come la speranza, nulla vi è in questo che turbi il cuore retto e semplice, l'uomo veramente spirituale. I passi che, secondo altri, sono contrarii alla perseveranza dei santi, gli appaiono come altrettanti mezzi per assicurarla. E dove il teologo inconvertito non scorge che delle contradizioni, egli invece non scorge che motivi di ammirazione, di ringraziamento e di adorazione» (E. Guers).

2. Il rimprovero rivolto ai lettori non è sterile sfogo di malumore, ma mira allo scopo pratico di scuoterli dalla loro spirituale inerzia, di spingerli innanzi verso una più completa intelligenza della verità e verso una vita più vigorosa e piena. Devono lasciare i principii fondamentali, ma non per dimenticarli o sprezzarli, bensì per fondare su di essi l'edificio di una vita nuova costantemente progressiva. «Il procedere innanzi sulla base di una verità è un più alto omaggio alla certezza di essa che non sia lo stare sempre a provarla» (Chalmers). Le verità elementari sono le radici, ma da queste deve crescere l'albero coi suoi frutti. La potenza del Vangelo si rivela nel chiamare alla vita chi era nella, morte: ma la pienezza della vita non si manifesta nel bambino, bensì nell'uomo maturo. Paolo dimentica le cose che sono dietro e tende verso quelle che sono dinanzi, verso la perfezione; e Cristo ordina: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro. Il progredire del continuo verso la maturità è l'unico modo di non indietreggiare.

3. Riguardo ai rudimenti della dottrina cristiana qui enumerati è fin troppo vera l'osservazione del P. Curci che, cioè, «per questo capo, anche i bambini allora doveano stare assai più innanzi di molti nostri adulti». Ad ogni modo possiamo concludere che non c'è inizio di vita cristiana senza pentimento dal peccato e fede nel Dio delle promesse, nel Dio del Vangelo. E queste non sono cose esterne, rituali, ma implicano un rivolgimento nelle idee, nei sentimenti, nella condotta dell'individuo, tale da mutare l'asse della vita. La fede poi non può rimaner nascosta, ma va confessata esternamente, e questo avviene, fra gli altri modi, nell'atto del battesimo d'acqua col quale i credenti adulti si arruolano al servizio di Cristo; atto ch'è simbolo e suggello ad un tempo della grazia divina. Esso era, accompagnato dall'imposizione delle mani per implorare sui neofiti l'effusione dello Spirito Santo. I riti cristiani in cui la fede ha la sua espressione simbolica vanno spiegati accuratamente ai catecumeni e anche ad altri, poiché ai riti cristiani si sono avviticchiati nel corso dei secoli tali e tanti errori e superstizioni da renderli affatto irriconoscibili. La vita cristiana guarda ad una mèta finale ch'è al di là del presente: alla risurrezione ed al giudicio eterno, ch'è quanto dire al compimento nell'individuo e nella umanità del disegno della Redenzione. Il tener presente la mèta determina in larga misura il corso della vita e le imprime il suo speciale carattere.

4. Il pericolo di cadere nell'apostasia e nella finale impenitenza deve ravvivare in tutti la vigilanza e lo zelo nel prendere sul serio la nostra santificazione. Non possiamo pretendere che la pazienza di Dio non abbia il suo termine, né che sia sospesa l'azione delle leggi morali a nostro piacimento. «Oggi», dice egli., «se udite... non indurate il cuore»: «Compite la vostra salute con timore e tremore, poiché Dio è quegli che opera in voi il volere e l'operare secondo il suo beneplacito». Quando il vento celeste spira, apriamo la vele, chè se stiamo neghittosi, può cessare l'aiuto divino e la nostra nave restar lontana dal porto.

Il pericolo sussiste anche per chi, come gli Ebrei, ha già fatto esperienze religiose svariate e soavi, e dato prova di zelo e di spirito di sacrificio. Sussiste per chi professa da molti anni la fede come per il neofito.

C'è il pericolo non che Dio non voglia più ricevere chi si pente: ma che noi gradualmente ci riduciamo a non essere più capaci o suscettibili di pentimento.

5. Grande è il peccato di chi giunge ad apostatare dal Vangelo. Dopo aver conosciuto Cristo, essere stato illuminato dalla verità ed aver gustato la dolcezza del perdono e la potenza della vita spirituale, e fatta professione di appartenere al Signore, egli «cade» a poco per volta da tanta altezza, e giunge a non provar più alcun amore per Cristo, anzi ad odiarlo, a maledirlo, a crocifiggerlo per conto suo e ad esporlo al vituperio del mondo. Invece di dare i frutti rispondenti alle molte benedizioni ricevute, è terra ingrata che produce spine e triboli. Come non andrebbe incontro a maledizione finale? Le leggi stesse della natura ne sono come la muta profezia perchè tra esse e le leggi del mondo morale vi è un'armonia stabilita da Dio a gloria della sua sapienza ed a nostro ammaestramento.

9 c. L'Incoraggiamento. Ebrei 6:9-20.

L'autore ha condotto i suoi lettori sull'orlo di un abisso e ne ha fatto loro vedere il tetro fondo, affine di portarli a fuggire il pericolo dell'apostasia. Ma subito dopo, egli li prende affettuosamente per la mano e con parole d'incoraggiamento addita loro come immutabili e sicure, come garantite da Gesù stesso, le promesse divine che sono l'oggetto della speranza cristiana.

Però, riguardo a voi, diletti, abbiamo fondata speranza di come migliori ed attinenti alla salvazione, sebbene parliamo in questa guisa.

Non ha taciuto della triste sorte riservata a chi, dopo gustata la verità, la calpesta e rinnega; ma ciò non vuol dire che ponga gli Ebrei nella categoria di coloro che non si possono più rinnovare a ravvedimento né spingere in alto verso la perfezione. Egli nutre al contrario ( δε) a lor riguardo una persuasione ben diversa. Siano, dice egli, coprendosi del plurale degli autori, persuasi del meglio a vostro riguardo, cioè abbiamo l'intima e fondata persuasione che, invece di finire nella maledizione del terreno sterile ed ingrato, voi giungerete ad eredare la benedizione; invece di scendere verso la perdizione, salirete a maturità di vita e di intelligenza cristiana per arrivare in fine alla compiuta salvazione. «Le cose migliori» sono intatti «quelle attinenti a salvazione», connesse inseparabilmente con essa. Nell'enunziare questa dolce speranza, l'autore adopera una parola che non torna più sotto la sua penna, e chiama affettuosamente i lettori: diletti ( αγαπητοι). Il motivo a bene sperare lo trova nelle prove da loro fornite di una vita cristiana genuina.

10 Perocché Dio non è ingiusto per dimenticare l'opera vostra e l'amore (testo emend.) che avete dimostrato verso il suo nome, avendo ministrato ai santi e [tuttora] ministrando.

L'amore per Dio dimostrato nei servizii prestati ai suoi santi sulla terra è la prova più sicura dell'opera dello Spirito nell'uomo. Senza l'amore i doni più brillanti e le opere più lodate sono senza valore morale 1Corinzi 13:1. Ora questa prova di vita nuova gli Ebrei l'avevano fornita nei bei tempi del loro zelo e continuavano a fornirla, in qualche misura, anche nel presente. Secondo il criterio enunziato da Cristo Matteo 25:40: «In quanto l'avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me», l'amore dimostrato verso i santi di Dio, che sono i membri del suo popolo e gli appartengono, è qui considerato come dimostrato al nome di Dio stesso, cioè a Dio quale si è rivelato in Cristo. Ora un'opera come quella, ch'è quanto dire un'attività di quel genere, ispirata all'amore per Dio, Dio non è ingiusto per dimenticarla. Non già che vi sia in essa alcun merito, poiché essa è un frutto della grazia divina; ma essa è la prova che la grazia ha trovato un terreno ben disposto. E Dio ch'è il retto apprezzatone degli atti morali, non dimenticherà queste prime prove di fedeltà e le ricompenserà col dare vie maggior grazia onde possano raggiunger la perfezione. Da Ebrei 10:32 e segg. possiamo vedere in qual modo questi giudeo-cristiani avessero ministrato ai santi. Avevano soccorso di simpatia e di beni materiali coloro d'infra i loro fratelli ch'erano stati carcerati, o spogliati dei loro averi o vituperati per la loro fede. Coloro che dimostrano affezione ai servi di Cristo non sono ancora da contare fra quelli che lo crocifiggono una seconda volta; gli apostati di solito sono fra i più crudeli persecutori.

11 Ma bramiamo che ciascuno di voi dimostri fino alla fine lo stesso zelo per la piena certezza della speranza; acciocchè non diveniate indolenti, ma siate imitatori di quelli che mediante la fede e la pazienza credano le promesse.

L'autore ha buona speranza di loro; ma ci sono accanto ai motivi di fiducia dei sintomi di rilassamento che lo preoccupano. Li vede tardi nell'intelligenza della verità Ebrei 5:11, non abbastanza saldi nella, fede né sicuri nella loro speranza; per cui il suo amore di padre lo porta a desiderare ardentemente ( επιθυμουμεν) ch'essi pongano maggior studio nel conservare ed accrescere la piena certezza della loro speranza imitando l'esempio degli eroi della fede. E desidera che ciascuno di loro lo faccia, non solo perchè al bene di tutti, piccoli e grandi, senza eccezione, prende interesse, ma perchè, se ve ne sono fra loro di bene avviati, ve ne sono pure di quelli che sono pericolanti. Come si hanno da intendere le parole: dimostri lo stesso zelo per...? La maggior parte dei moderni le spiega così: bramiamo che ciascun di voi dimostri per arrivare alla piena certezza della sua speranza quello stesso zelo che avete dimostrato nel soccorrere caritatevolmente i fratelli; facendo così nel campo della speranza, quel che avete fatto nel campo della carità. Ma è egli possibile separare in campi così distinti la vita spirituale? Inoltre le parole fino alla fine poste in fondo alla frase, perdono ogni enfasi: eppure l'esortazione a perseverare fino alla fine e una di quelle che tornano più spesso sotto la penna dell'autore. Cfr. Ebrei 3:6,14; 10:32-39; 12:3-5,12. Gli antichi vedono qui un eccitamento a dimostrare fino alla fine, per conservare ed accrescere la certezza della loro speranza, lo stesso zelo religioso che avevano mostrato nel passato, specie nei primi tempi dopo la loro conversione. Sono infatti ora in un periodo di rilassamento pericoloso. Il termine πληροφορια vale propriamente pienezza ed è tolto dall'immagine d'un recipiente. In senso traslato si applica alla piena certezza dell'intelligenza Colossesi 2:2, della fede Ebrei 10:22; 1Tessalonicesi 1:5 e della speranza cristiana. Il crescere assiduamente nella conoscenza e nella pratica della verità, è condizione necessaria per conservare e render completa la certezza interna e trionfante della speranza. Se vacilla in loro la speranza, ove troveranno l'ispirazione alle opere caritatevoli e la forza di perduranza in mezzo alle tribolazioni?

12 Se non riaccendono la fiamma dello zelo, in tutti i modi, diventeranno vie più indolenti e pigri in tutto, mentre hanno bisogno di essere imitatori di coloro che per fede (lett. mediante fede) e pazienza credano le promesse. Sono questi particolarmente gli antichi modelli di fede di cui darà un elenco in Ebrei 11 ma senza esclusione dei credenti del nuovo Patto. In Ebrei 13:7 egli esorterà i lettori ad «imitare la fede» dei loro conduttori giunti di già al riposo. Rendiamo con la parola pazienza il greco che significa propriamente longanimità. Ma non si tratta qui di longanimità dimostrata verso le persone quando le loro offese, i loro difetti, la loro malevolenza provocano ad impazienza o ad ira (cf. Romani 2:4; 1Corinzi 13:4; 2Timoteo 4:2). bensì di paziente aspettazione di fronte ad una promessa il cui adempimento è differito. La fede, in quei casi, deve andar congiunta alla perduranza nell'attendere, senza stancarsi o lasciarsi vincere dal dubbio, o dall'impazienza. Abramo aspettò per 25 anni la nascita d'Isacco che segnava un primo passo nell'adempimento delle promesse fattegli. Eredar le promesse, è qui l'entrare in possesso effettivo delle cose promesse.

13 Coloro che aspettano con perseveranza la realizzazione delle promesse di Dio non sono mai confusi, poiché il consiglio di Dio è immutabile. E questa immutabilità Dio stesso ha preso cura di inculcarla nei cuori con ogni mezzo.

Infatti, quando Iddio ebbe fatto la promessa ad Abramo, poiché non aveva modo di giurare per uno maggiore di lui, giurò per se stesso dicendo: «Per certo io ti benedirò e per certo ti farò moltiplicare». E così [Abramo], avendo aspettato con pazienza, conseguì la promessa.

14 Quando Iddio elesse Abramo e gli ordinò di venire in Canaan, gli fece la promessa riferita in Genesi 12:2 e segg. «Ti farò divenire una grande nazione, ti benedirò, renderò il tuo nome grande, e tu sarai benedizione... e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te». Una tale promessa ripetuta ed amplificata, a varie riprese, dopo l'arrivo del patriarca in Canaan (Genesi 15:5 e segg.; Genesi 17:5...) conteneva elementi diversi di natura materiale gli uni, di natura religiosa gli altri e nella clausola più volte ripetuta ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe: «nella tua progenie tutte le famiglie della terra saranno benedette», si racchiudeva in germe la promessa della salvazione del mondo per mezzo del Cristo. Ma nelle sue varie parti la promessa fatta al patriarca non era di quelle che si possono svolgere nel breve corso di una vita d'uomo, poiché ella abbracciava tutte le famiglie della terra e tutte le epoche della storia. Richiedeva dunque fede paziente: ma ad alimentare cotesta fede Dio prese cura, non solo di ripetere speso la promessa, ma di presentarla come un patto ch'e li stabiliva con Abramo e coi suoi discendenti Genesi 15:17 più che questo: quando Abramo si mostrò ubbidiente fino al sacrificio del suo erede, Dio accondiscese a confermar la sua promessa con un giuramento solenne riferito Genesi 22:16-18. E poichè non poteva invocare come testimone e vindice un essere superiore a sè, giurò per sè stesso pronunziando le parole qui riferite ed altre non meno importanti. Il principio della promessa è citato secondo la Settanta, salvo che il testo della Genesi dice «moltiplicherò la tua progenie».

15 Abramo, il padre dei credenti, così sostenuto e confermato da Dio aspettò pazientemente, prima la nascita d'Isacco che segnava il principio dell'adempimento, poi la nascita dei figli d'Isacco: e prima di morire potè vedere, se non l'adempimento dell'intera promessa; per lo meno un principio tale di realizzazione che gli permise di salutarne in fede il glorioso, per quanto lontano, compimento Ebrei 11:13,39. Le parole ottenne o conseguì ( επετυχεν) la promessa non possono qui significare che ottenne il rinnovamento della promessa, bensì l'adempimento di essa, limitato a quel tanto che poteva effettuarsi prima della di lui morte.

16 A questo punto; l'autore stima opportuno spiegare quale fosse la ragione per cui Dio confermò col giuramento la promessa fatta. La ragione sta tutta nella divina condiscendenza che volle piegarsi agli usi umani.

Perciocchè gli uomini giurano per Colui ch'è maggiore (di essi), ed il giuramento, nel caso loro, pone fine ad ogni contraddizione, servendo di conferma.

Quando un uomo ha chiamato solennemente Dio a testimone della verità di quanto afferma, e a vindice della verità offesa, non c'è più luogo a contestare la, sua affermazione a meno che lo si possa convincere di spergiuro. Il giuramento è fra gli uomini la conferma più solenne che uno possa dare alla propria parola. La legge mosaica al pari delle altre o riguardava come tale prescrivendo che vi si avesse ricorso in date circostanze. Ad una tale usanza umana volle Iddio piegarsi.

17 Per cui ( εν ὡ=stando così le cose) volendo Iddio (essendo suo intento di) mostrare viemaggiormente agli eredi della promessa,

cioè ad Abramo e a tutti i suoi discendenti, l'immutabilità del suo consiglio, intervenne con giuramento.

La parola εμεσιτευσεν significa propriamente intervenne qual mediatore o garante. Allo scopo di dare agli uomini ogni maggiore garanzia del carattere immutabile di quel consiglio divino il cui punto culminante era la salvazione per opera del Messia, l'Iddio della promessa si piegò agli usi umani fino ad ammettere, in certo modo che la sua parola avesse bisogno di conferma e si fece innanzi qual mediatore e garante presso l'uomo della sua propria parola. Il giuramento divino era destinato a fortificare la fede non del solo Abramo ma di tutti coloro che dovevano aver parte con lui ai privilegi del popolo di Dio, di tutti gli eredi della promessa - perciò il giuramento fu ripetuto più tardi, anche quando, nel Salmi 110, Dio rivolto al Messia gli dice: «L'Eterno l'ha giurato, tu sei sacerdote in eterno...».

18 Acciocchè per mezzo di due cose immutabili, nelle duali è impossibile che Dio abbia mentito, abbiamo valido conforto noi che abbiam cercato [il nostro] rifugio nell'atterrare saldamente la speranza che ci era posta dinanzi.

Le due cose immutabili sono la promessa ed il giuramento di Dio, due cose che ne formano in realtà una sola, poiché, trattandosi di Dio, tanto è ferma la promessa come il giuramento che conferma solennemente la promessa. Dio essendo per sua natura stessa il verace ed il fedele non può mancare mai né alla promessa né al giuramento suo. Perciò i credenti hanno quanto basta per dar loro un valido contorto ( ισχυραν παρακλησιν), un forte incoraggiamento a ritenere saldamente e con perseveranza la speranza. «Ferma consolazione» della Diodatina appare qui troppo passivo e debole. I credenti nelle promesse di Dio sono qui paragonati ad una nave pericolante che, per non essere inghiottita dalle onde, cerca il suo rifugio in qualche seno di mare ove può gittar l'àncora ed ormeggiarsi sicuramente. L'anima è minacciata d'esser travolta in perdizione dalle onde del giudicio divino e non ha alcun altro mezzo di scampare che di cercar rifugio in Cristo ed afferrare la salvazione che le è offerta. Questa salvazione è goduta in parte nel presente; ma siccome non avrà il suo compimento che nel futuro è chiamata la speranza postaci dinanzi nelle promesse di Dio,

19 la quale noi abbiamo a guisa di ancora dell'anima, sicura e ferma, e penetrante al didentro della cortina dove è entrato per noi, qual precursore, Gesù, divenuto sommo sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec.

La speranza considerata non come un sentimento subiettivo, ma come salvazione compiuta promessa da Dio e da noi sperata, è paragonata ad un'àncora sicura e ferma dell'anima. Nell'ordine delle cose materiali ogni nave porta con sè diverse àncore (Cf. Atti 27:13,29-30,40) fra cui l'àncora di salvezza da calarsi solo in caso di pericolo. Nell'ordine delle cose spirituali l'àncora procurata da Dio è fissata non al fondo invisibile del mare, ma è fissata nel mondo invisibile, alle immutabili promesse di Dio, a Dio stesso ch'è fedele ed onnipotente. Perciò l'anima che si affida alle promesse di Dio è assicurata ad un'àncora sicura e ferma che nessuna forza potrà mai smuovere. Al didentro della cortina è un'allusione al luogo santissimo del tabernacolo o del tempio, separato dal luogo santo da una pesante cortina detta Parochet. il luogo santissimo è figura del cielo, della immediata presenza dell'Eterno.

20 Ivi, al trono di Dio stesso, è assicurata fermamente l'ancora della speranza cristiana, per queste ragioni: Il Dio che siede sul trono mantiene quello che ha promesso, il suo consiglio è immutabile; poi, su quel trono, «coronato di gloria e d'onore», siede Gesù, il Figliuol dell'uomo, entrato nel cielo qual «Duce della salvazione», «quale precursore» nostro, quale «primogenito tra molti fratelli», «primizie» d'una gran messe. L'entrata sua apre la strada ai suoi redenti ed è garanzia di fatto che là dove egli è saranno essi pure introdotti Giovanni 14:3. Gesù glorificato è la speranza di gloria dei suoi. Ma c'è di più. Gesù e entrato per noi nel luogo santissimo, non solo come precursore ( προδρομος), ma come sommo sacerdote per far valere a nostro beneficio l'efficacia espiatoria del sangue del suo sacrificio insieme a quella della di lui potente intercessione. (Cf. Ebrei 7:25; 10:19-21; 8:34). Egli infatti è entrato nel santuario celeste riconosciuto da Dio qual sommo sacerdote eterno, secondo il tipo melchisedechiano. Nell'opera sacerdotale di Cristo, alla presenza di Dio, come nella sua entrata in gloria quale precursore dei salvati sta una duplice garanzia, da aggiungere alle altre, della sicurezza della speranza cristiana. Talchè i credenti hanno ogni ragione di radicarsi e di perseverare fino alla fine nella «piena certezza della speranza». A tal fine contribuirà il considerare più attentamente la superiorità del sommo sacerdote della nostra professione, Gesù. L'autore, infatti, con arte somma, dopo l'esortazione preparatoria rivolta ai lettori, li riconduce all'argomento che ha in animo di trattare, col riprendere la dichiarazione importante del Salmi 110 ove il Messia è proclamato «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec».

Ammaestramenti

1. L'amor cristiano porta a sperare sempre il meglio dei nostri fratelli; a tener largo conto dei motivi che portano a bene sperare. Tuttavia l'amor cristiano non può esser cieco e non avvertire i pericoli cui vanno incontro, le lacune della loro fede o della loro vita, e cerca con ogni mezzo di premunirli contro le conseguenze cui mena il rilassamento.

2. Il dimenticare i benefici ricevuti, i sentimenti di cui siamo stati l'oggetto per parte dei nostri simili o per parte di Dio stesso e un'ingiustizia che spesso noi commettiamo. Dio non dimentica nulla di ciò ch'è fatto per amor di lui ed a beneficio dei suoi, e non lo lascia senza generosa retribuzione. Dio non è ingiusto verso alcuna delle sue creature né lo sarà mai. Possiamo non comprendere talune sue dispensazioni, ed essere perplessi riguardo all'avvenire di milioni di creature; ma resta salda questa roccia: Dio non è ingiusto; ogni coscienza riconoscerà le sue perfezioni.

3. Non è presunzione mirare a possedere la piena certezza della speranza cristiana. È anzi dovere. La si raggiunge sulla via della diligenza coscienziosa e perseverante, camminando sulle traccie degli uomini di Dio il cui esempio ci è proposto nelle Scritture, ed attenendosi saldamente alle promesse immutabili di Dio.

4. Gesù condannò l'abuso del giuramento quando proibì di condire la conversazione ordinaria col giurare per il cielo, per la terra, per il tempio, per il proprio capo, ecc. Coteste sono parodie del giuramento, il quale consiste nel prender solennemente l'Iddio vivente a testimone e vindice della verità di una nostra affermazione. Il vero giuramento racchiude dunque un omaggio alla onniscienza, alla giustizia, alla potenza di Dio e come tale venne ordinato nella legge, usato dal Signor Gesù davanti al sinedrio, adoprato dagli angeli di Dio, e dagli Apostoli nelle loro lettere. Il fatto che Dio stesso accondiscende a servirsene, per incitarci alla fede in lui, basta di per sè a stabilirne la legittimità per il cristiano. Ma la natura solenne di esso di necessità ne deve render l'uso raro fra gli uomini.

5. Molte cose, a seconda che le abbiamo o no, fanno una differenza tra gli uomini. Nessuna costituisce una differenza interna più profonda di quella che separa chi ha da chi non ha la speranza cristiana. Senza di essa l'anima è come nave sospinta qua e là dai venti e dalle onde, destinata a sfasciarsi contro agli scogli e a sparire nei gorghi dell'ignoto. L'anima che ha afferrata saldamente l'àncora della speranza propostaci dalle promesse di Dio in Cristo non è più preda dell'incertezza, del cieco fato; ed è al sicuro dal giudicio di Dio. Non si smarrisce nelle prove, perchè sa che sono disciplina educatrice in vista della perfezione; le privazioni non la sconvolgono, perchè sa che «ha in serbo dei beni migliori e permanenti»; la morte stessa non ha più terrori per lei, perchè sa che è meglio partire dal corpo per esser col Signore, nella patria migliore, nel riposo di Dio, insieme cogli spiriti dei giusti resi compiuti. Nel possesso della speranza cristiana si acquetano la mente, il cuore e la coscienza del credente, mentre è triste la sorte di chi è «senza Dio e senza speranza nel mondo». Faticar senza speranza, soffrir senza speranza, navigare senza speranza del porto, morir senza speranza, quale esistenza per una creatura intelligente e morale come l'uomo! E si noti: la speranza cristiana non è di quelle che lasciano confusi. Essa è sicura e ferma, perchè garantita dalle promesse, anzi dal giuramento dell'Eterno, «due cose immutabili» come Dio; garantita, ancora dal fatto stesso che Cristo il nostro rappresentante e precursore è di già entrato nel cielo, alla immediata presenza di Dio, ed ivi intercede per noi, e ci «prepara un posto, affinchè là dove egli è siamo ancor noi». L'avere una speranza così alta e così certa è la massima delle consolazioni per chi naviga ancora sul mare agitato della vita presente.

Dimensione testo:


Visualizzare un brano della Bibbia

Aiuto Aiuto per visualizzare la Bibbia

Ricercare nella Bibbia

Aiuto Aiuto per ricercare la Bibbia

Ricerca avanzata