Commentario abbreviato:

1Giovanni 1

1 Questa epistola è un discorso sui principi del cristianesimo, nella dottrina e nella pratica. Il suo scopo sembra essere quello di confutare e mettere al riparo da principi e pratiche erronee ed empie, in particolare quelle che abbasserebbero la divinità di Cristo e la realtà e la potenza delle sue sofferenze e della sua morte, come sacrificio espiatorio; e contro l'affermazione che i credenti, essendo salvati per grazia, non sono tenuti a osservare i comandamenti. L'epistola stimola anche tutti coloro che professano di conoscere Dio, di avere comunione con lui e di credere in lui, e che camminano in santità e non nel peccato, mostrando che una mera professione esteriore non è nulla, senza l'evidenza di una vita e di una condotta sante. Inoltre, aiuta e stimola i veri cristiani alla comunione con Dio e con il Signore Gesù Cristo, alla costanza nella vera fede e alla purezza di vita.

Capitolo 1

L'apostolo apre la sua epistola ai credenti in generale, con evidenti testimonianze di Cristo, per promuovere la loro felicità e la loro gioia 1G 1:1-4

La necessità di una vita di santità, al fine della comunione con Dio, è dimostrata 1G 1:5-10

Versetti 1-4

Quel Bene essenziale, quell'Eccellenza increata, che è stata fin dall'inizio, dall'eternità, uguale al Padre, e che alla fine è apparsa nella natura umana per la salvezza dei peccatori, era il grande argomento su cui l'apostolo scriveva ai suoi fratelli. Gli apostoli lo avevano visto, mentre erano testimoni della sua sapienza e santità, dei suoi miracoli, del suo amore e della sua misericordia, per alcuni anni, fino a vederlo crocifisso per i peccatori e poi risorto dai morti. Lo hanno toccato, per avere la piena prova della sua risurrezione. Questa Persona divina, il Verbo della vita, il Verbo di Dio, apparve nella natura umana, per essere l'Autore e il Datore della vita eterna agli uomini, attraverso la redenzione del suo sangue e l'influenza del suo Spirito creatore. Gli apostoli dichiararono ciò che avevano visto e udito, affinché i credenti potessero condividere i loro conforti e vantaggi eterni. Avevano libero accesso a Dio Padre. Avevano una felice esperienza della verità nelle loro anime e ne mostravano l'eccellenza nella loro vita. Questa comunione dei credenti con il Padre e il Figlio è iniziata e mantenuta dagli influssi dello Spirito Santo. I benefici che Cristo elargisce non sono come gli scarsi beni del mondo, che causano gelosie negli altri; ma la gioia e la felicità della comunione con Dio sono sufficienti, in modo che tutti possano parteciparvi; e tutti coloro che sono autorizzati a dire che la loro comunione è veramente con il Padre, desidereranno portare altri a partecipare alla stessa beatitudine.

5 Versetti 5-10

Un messaggio del Signore Gesù, la Parola di vita, la Parola eterna, che tutti dovremmo ricevere volentieri. Il grande Dio deve essere rappresentato a questo mondo oscuro, come luce pura e perfetta. Poiché questa è la natura di Dio, le sue dottrine e i suoi precetti devono essere tali. E poiché la sua perfetta felicità non può essere separata dalla sua perfetta santità, la nostra felicità sarà proporzionale alla nostra santità. Camminare nelle tenebre significa vivere e agire contro la religione. Dio non ha rapporti celesti con le anime non sante. Non c'è verità nella loro professione; la loro pratica ne dimostra la follia e la falsità. La Vita eterna, il Figlio eterno, si è rivestito di carne e sangue ed è morto per lavarci dai nostri peccati con il suo stesso sangue, procurandoci le sacre influenze con cui il peccato deve essere sottomesso sempre di più, finché non sarà del tutto eliminato. Mentre si insiste sulla necessità di un cammino santo, come effetto e prova della conoscenza di Dio in Cristo Gesù, l'errore opposto dell'orgoglio presuntuoso viene difeso con altrettanta cura. Tutti coloro che camminano vicino a Dio, in santità e giustizia, sono consapevoli che i loro giorni migliori e i loro doveri sono mescolati al peccato. Dio ha dato testimonianza della peccaminosità del mondo, fornendo un Sacrificio sufficiente ed efficace per il peccato, necessario in tutte le epoche; e la peccaminosità dei credenti stessi è dimostrata, richiedendo loro di confessare continuamente i propri peccati e di ricorrere per fede al sangue di quel Sacrificio. Dichiariamoci colpevoli davanti a Dio, siamo umili e disposti a conoscere il peggio del nostro caso. Confessiamo onestamente tutti i nostri peccati in tutta la loro portata, affidandoci completamente alla sua misericordia e alla sua verità attraverso la giustizia di Cristo, per un perdono libero e completo e per la nostra liberazione dal potere e dalla pratica del peccato.

Commentario del Nuovo Testamento:

1Giovanni 1

1 

L'ESORDIO

1Giovanni 1:1-4

Le Epistole degli altri scrittori del N.T. principiano, di solito, secondo l'uso antico, coll'indicazione del nome dell'autore, e col saluto rivolto ai, destinatari. Le due altre piccole lettere che abbiamo di Giovanni seguono l'uso comune, pur senza fare il nome dell'autore che si nasconde sotto un appellativo: «l'anziano». Qui invece manca anche quell'appellativo, come manca l'indicazione dei destinatari dello scritto. L'autore però si rivela subito come un testimone de visu et auditu della vita di Cristo; e col chiamar ripetutamente i lettori "figlioletti" dà a conoscere insiem coll'età sua avanzata, anche l'autorità di cui gode presso i cristiani cui si rivolge ed ai quali è ben noto.

L'esordio accenna al carattere della predicazione apostolica ch'è una testimonianza di cose vedute ed udite; accenna all'oggetto di quella testimonianza ch'è la "Parola della vita"; accenna allo scopo cui mira la predicazione apostolica: render cioè sempre più intima la comunione dei credenti col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo e, infine, allo scopo speciale dell'epistola ch'è di render completa l'allegrezza così dell'apostolo come dei suoi fratelli.

I tre primi versetti 1Giovanni 1:1-3 formano un solo periodo; ma tra il predicato 1Giovanni 1:1 e il verbo 1Giovanni 1:3 viene intercalata la parentesi di 1Giovanni 1:2 che, in poche parole, espone il fatto centrale al quale si riferisce la testimonianza apostolica: la manifestazione della vita nella persona di Cristo chiamato qui il Verbo o la Parola della vita. Il messaggio evangelico è chiamato talvolta la "parola della vita", per es. Filippesi 2:16 ove Paolo esorta i cristiani a risplendere «come luminari nel mondo tenendo alta la parola della vita». (Confr. Atti 5:20; Giovanni 6:68). Ma qui si tratta come nel Prologo del Vangelo di Giovanni, di Colui che forma il soggetto della predicazione apostolica. È chiamato il Logos, la Parola, perchè, come la parola umana rivela il pensiero intimo e segreto dell'uomo, così il Figlio di Dio, il Verbo divino rivela la invisibile ed inscrutabile essenza di Dio. «Nessuno ha mai veduto Iddio; l'unigenito Figliuolo, che è nel seno del Padre, è quel che l'ha fatto conoscere» Giovanni 1:18. Appunto perchè il Figlio è la manifestazione personale del Dio invisibile, Paolo lo chiama "l'immagine dell'Iddio invisibile" Colossesi 1:15, e l'autore dell'Ep. agli Ebrei: "lo splendore della gloria di Dio e l'impronta della sua essenza" Ebrei 1:3. Egli è la Parola della vita non solo perchè ha "la vita in se stesso" Giovanni 5:26, ma perchè Egli è il Datore della vita fisica e della vita spirituale. «Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei... In lei era la vita...» Giovanni 1:4. «Io sono, disse Gesù, la risurrezione e la vita... Io son la via, la verità e la vita... Io sono il pane della vita» Giovanni 11:25; 14:6; 6:35. Chi per fede entra in comunione con lui ha la vita eterna.

La predicazione apostolica è una testimonianza relativa alla persona, all'insegnamento e all'opera del Figliuol di Dio fatto uomo.

Quel che era da principio,

ossia l'eterna preesistenza presso a Dio, la gloria del Figlio nel seno del Padre prima della sua incarnazione nel tempo. Ricorrono alla mente le parole del Prologo di Giovanni: «Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio». Ai Giudei Gesù disse: «Prima che Abramo esistesse io sono» Giovanni 8:58; e nella preghiera sacerdotale egli esclama: «Padre, glorificami presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse Giovanni 17:5. Paolo scrive in Colossesi 1:16-17: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista, di lui; ed egli è avanti ogni cosa...». Della preesistenza e della gloria divina del Figlio, Giovanni non ha potuto esser testimone oculare come lo è stato della sua vita terrena, ma ne ha udita l'affermazione frequente dalla bocca stessa del Cristo e ne ha veduto la prova nella vita e nelle opere di lui. "La Parola è stata fatta carne ed è abitata per un tempo fra noi... e noi abbiam contemplata la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre" Giovanni 1:14.

quel che abbiamo udito,

cioè l'insegnamento di colui che parlò come nessuno mai ha parlato, le parole di vita eterna uscite dalle sue labbra, così in privato come in pubblico. Giovanni è fra i discepoli colui che meglio ritenne in cuor suo le parole del Cristo che poi, sotto l'influenza dello Spirito di verità Giovanni 14:26, fu chiamato più tardi a riprodurre oralmente e per iscritto. Il plurale qui usato e nei verbi che, seguono indicherebbe, secondo alcuni, che Giovanni si associa gli altri apostoli, come lui testimoni della vita di Cristo; ma siccome in 1Giovanni 1:4 adopera il plurale parlando di quel che sta scrivendo e fin da 1Giovanni 2:1, usa il singolare: "vi scrivo queste cose...", è più semplice interpretare questo plurale come espressione del senso di responsabilità e di autorità derivante dall'ufficio apostolico conferitogli da Cristo.

quel che abbiamo veduto con gli occhi nostri

cioè la vita umile e santa, le opere potenti e benefiche, la morte crudele, il corpo risorto; l'ascensione al cielo del Signor Gesù.

quel che abbiamo contemplato

Il contemplare è più che il vedere; implica un considerare a lungo e attentamente i fatti, con sensi di ammirazione, di meraviglia ed anche di adorazione nel caso dei discepoli. (Confr. Giovanni 1:14).

e che le nostre mani hanno toccato

si suol riferire all'invito, rivolto da Gesù risorto ai discepoli rimasti dubbiosi circa la realtà della sua risurrezione: «Guardate le mie mani ed i miei piedi, perchè son ben io; palpatemi e guardate, perchè uno spirito non ha carne e ossa come vedete che ho io» Luca 24:39 e particolarmente a Toma: "Porgi qua il dito e vedi le mie mani, e porgi la mano e mettila nel mio costato..." Giovanni 20:27; ma il toccar colle mani si applica a tutta la vita menata in comune da Cristo coi suoi discepoli più intimi, durante gli anni del suo ministerio. Fra gli intimi di Gesù è sempre annoverato «il discepolo che Gesù amava» e che, a tavola, gli stava vicino.

della Parola della vita.

Dice letteralmente: circa ( περι) la Parola. La preposizione generica si riferisce ai vari verbi adoperati ed esprime l'idea che tutti i sensi hanno contribuito colla riflessione a dare allo spirito degli apostoli una conoscenza, assolutamente certa di Cristo qual rivelatore del Padre, e fonte della vita eterna in chi crede. Quel che aveva imparato a conoscere in modo così certo, Giovanni stava per dire: noi ve l'annunziamo; ma prima di dirlo, apre una paretesi 1Giovanni 1:2 intesa a chiarire meglio l'espressione concisa Parola della Vita ed a spiegare com'essa Parola abbia potuto essere udita, veduta, toccata. "Dico: Parola della vita e parlo di averla udita, veduta, toccata, perchè la Parola è stata fatta carne e in Essa la vita è stata manifestata, talchè l'abbiam potuta vedere e diventarne i testimoni e gli annunziatori". Per quanto strettamente uniti e perfino inseparabili siano i due concetti della Parola e della Vita, tanto che Cristo ha potuto dire: "Io son la vita", pur tuttavia l'espressione stessa "Parola della vita" indica che sono concetti distinti. Nell'Evangelo, Giovanni dice infatti: "In lei era la vita". La creazione avvenuta per mezzo del Verbo di Dio è stata una manifestazione della vita, ma non è della vita fisica che l'autore vuol parlare. La vita nel senso più vero e profondo, la vita spirituale ed eterna, è stata manifestata nell'incarnazione della Parola. Il Verbo ha, nella sua Vita umana, manifestato in modo visibile l'ideale della vita umana penetrata dallo Spirito di Dio; Egli ha nel suo insegnamento manifestato il disegno misericordioso di Dio di dare la vita eterna agli uomini morti nei falli e nei peccati; Egli ha compiuto tutto ciò che era necessario per l'effettuazione del piano di Dio mediante il suo sacrifizio espiatorio 1Giovanni 2:2.

2 Poichè

la vita è stata manifestata

colla venuta. di Cristo, l'apostolo può dire:

e noi l'abbiam veduta e ne rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre,

in certo modo nascosta nel Verbo di Dio prima della sua incarnazione

e che vi fu manifestata

colla venuta e coll'opera del Cristo. "In questo s'è manifestato per noi l'amor di Dio: che Dio, ha mandato il suo unigenito Figliuolo nel mondo, affinchè per mezzo di lui vivessimo" 1Giovanni 4:9.

3 Col v. 3 l'Apostolo riprende la frase interrotta riassumendo in due parole 1Giovanni 1:1:

quello, dico che abbiam veduto ed udito noi l'annunziamo anche a voi

che non avete avuto il privilegio di vivere nella intimità col Cristo,

affinchè voi pure abbiate comunione con noi,

comunione di conoscenza precisa e sicura; comunione di fede, comunione di vita spirituale, comunione di speranza. La fede di quelli che non hanno veduto nè udito il Cristo si fonda sulla testimonianza di coloro che hanno avuto quel privilegio; ond'è che la comunione spirituale cogli apostoli è mezzo necessario per giungere alla comunione col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo. Per credere in Cristo bisogna conoscerlo e chi è in grado di farlo conoscere con certezza sono i testimoni della sua vita, della sua morte e risurrezione. Ma la comunione cogli apostoli non è che il mezzo; il fine ultimo del loro messaggio è di condurre le anime alla comunione col Padre ch'è fonte della vita e col Figlio che n'è il mediatore:

e la nostra comunione è col Padre e col suo Figliuolo, Gesù Cristo.

Questa è l'essenza della pietà cristiana che l'apostolo cerca di nutrire e di fortificare nei suoi lettori. L'ha fatto colla parola sua, lo fa ora colla sua lettera.

4 E noi vi scriviamo queste cose affinchè la nostra allegrezza sia compiuta.

Il queste cose si riferisce alla sostanza della lettera. I manoscritti e le versioni antiche si dividono, riguardo alla parola nostra ( ἡμων) che trovasi nel manoscritti Vaticano e nell'Angelico (9° sec.) nonchè nella copia più antica della Volgata (541), mentre il codice alessandrino ed il Mosquensis del 9° sec. colle versioni siriaca, coptica ecc. portano vostra ( ὑμων). Stando coi critici, al testo più difficile, il senso sarebbe: vi scrivo questa lettera affinchè la nostra comune allegrezza, vostra e mia, sia compiuta. Sono da confrontare due passi del Vangelo di Giovanni 15:11: "Queste cose vi ho dette affinchè la mia allegrezza dimori in voi, e la vostra allegrezza sia resa completa", e Giovanni 17:13: "Dico queste cose nel mondo affinchè abbiano compita in se stessi la mia allegrezza". L'allegrezza dell'apostolo, nel procurare il bene spirituale dei, suoi fratelli e quella dei lettori portati a una sempre più intima comunione col Padre, non ha nulla di comune colla sguaiata e rumorosa allegria, mondana che spesso nasconde la intima tristezza del cuore; ma scaturisce dall'esser la pace con Dio restaurata, dall'esser la vita del cristiano avviata verso il suo fine glorioso, dalla crescente sicurezza che quel fine sarà raggiunto. Cfr. 1Giovanni 3:1-2; 5:13.

AMMAESTRAMENTI

1. Il cristianesimo nella sua essenza non è una speculazione dottrinale o morale, ma è un fatto: la manifestazione, cioè, della vita vera, spirituale ed eterna nel mondo che giace nel peccato e nella morte. La vita ha la sua fonte in Dio, ed è stata manifestata nel Verbo eterno di Dio fatto carne, il quale ha vissuto tra gli uomini una vita umana perfetta e comunica la vita ai peccatori che a lui si uniscono per fede. Chi crede in me ha vita eterna.

2. La manifestazione della vita in Colui ch'è la Parola della vita essendo un fatto di suprema importanza per gli uomini, era necessario che fosse costatato ed attestato in modo assolutamente certo, onde la fede non poggiasse sulla rena ma sulla solida roccia. Perciò Gesù visse in mezzo ai suoi concittadini un 34 anni ed esercitò il suo ministerio pubblico in tutto il paese di Canaan. durante quattro anni. Perciò costituì fin dal principio un numero sufficiente di discepoli suoi che lo seguissero in modo costante per poter essere poi, dinanzi al mondo, i testimoni immediati della sua vita, dei suoi insegnamenti, della sua morte e risurrezione. Perciò la Provvidenza di Dio ha disposto che la testimonianza di quegli uomini sinceri, onesti, santi, esenti di fanatismo, disposti a confermare col martirio la verità di quanto attestavano, fosse resa non solo oralmente, mediante la predicazione, ma per iscritto, nei Vangeli e nelle Epistole che abbiamo nel N.T.. L'anima desiderosa di verità ha per tal modo il mezzo di conoscerla.

3. Per giungere alla comunione vitale col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo, il Verbo della Vita, dobbiamo aver comunione cogli apostoli del Signore che ci comunicano là conoscenza sicura di Colui ch'essi hanno udito, veduto, e toccato. La loro parola è il mezzo divinamente voluto per creare e per nutrir la fede e la vita spirituale. Perciò Gesù disse loro: "Voi mi sarete testimoni" e diede loro l'ordine: "Andate per tutto il mondo e predicate l'evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato..." Atti 1:8; Marco 16:15-16. Sulla predicazione apostolica fu fondata la Chiesa alla Pentecoste e Paolo ha potuto dire dei cristiani che "sono edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Gesù Cristo stesso la pietra angolare stilla quale l'edificio intero... si va innalzando..." Efesini 2:20-21. Per le generazioni che non hanno udita la testimonianza orale degli apostoli, i loro scritti sono il solo mezzo di aver comunione con loro e d'esser posti a contatto col Cristo di cui sono i testimoni autentici. Una chiesa cristiana dev'essere apostolica appunto perchè si fonda sull'insegnamento degli apostoli che resta la norma della fede e della vita per tutte le età. Da ciò l'importanza capitale della diffusione della lettura e della spiegazione delle Sacre Scritture, specialmente del N.T. Dove questa lettura viene negletta o, peggio, ostacolata, la conoscenza della verità si oscura e la vita religiosa langue e si spegne.

4. Le tenebre dell'errore e dell'ignoranza, l'anemia della vita spirituale, il peccato, sono fonte di tristezza; ma il crescere nella conoscenza della verità, il vivere in comunione sempre più intima e vitale col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo, è fonte perenne di allegrezza. Più la vita si avvicina all'ideale voluto da Dio, più è vicina alla perfetta allegrezza. Certo la gioia cristiana non è rumorosa come l'allegria mondana. È un'acqua profonda che scorre calma e, tranquilla, ma non teme siccità. Come non sarebbe allegro il cristiano che conosce la verità, che possiede la pace con Dio, la cui vita è orientata verso la perfezione, che ha la sicura speranza d'esser un giorno reso simile al suo Salvatore? Il ministro che inculca fedelmente la verità e gli uditori o lettori che la mettono in pratica, contribuiscono ad accrescer la loro comune allegrezza.

5 

PARTE PRIMA

LE CONDIZIONI DELLA COMUNIONE COL PADRE E COL SUO FIGLIUOLO GESÙ CRISTO

1Giovanni 1:5-2:28.

L'apostolo ha indicato, quale scopo della sua lettera, il render più salda e più intensa la comunione dei lettori col Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo, e ciò coll'annunziare o col ricordar loro quanto egli stesso aveva udito dal Verbo di Dio fatto carne. La prima Parte della lettera muove infatti da una grande verità udita da Gesù circa il carattere di Dio, per dedurne le condizioni alle quali è possibile avere una reale comunione col Padre 1Giovanni 1:5-10. Muove quindi da, quel che Cristo è per noi, per esporre a quali condizioni possa il credente aver comunione vera col Figlio 1Giovanni 2:1-6. E poichè la condizione essenziale sta nell'osservanza dei comandamenti di Cristo, l'autore ricorda che il gran comandamento è quello dell'amore; ma ricorda pure che l'amor di Dio esclude l'amore del mondo 1Giovanni 2:7-17. Per dimorar nel Padre e nel Figlio i cristiani devono perseverar nella verità evangelica ricevuta dagli apostoli e quindi guardarsi, coll'assistenza dello Spirito, dalle seduzioni degli apostati che sono i precursori dell'anticristo 1Giovanni 2:18-28. Possiamo per tal modo distinguere quattro sezioni nello svolgimento del pensiero di Giovanni in questa parte della lettera.

Sezione prima. 1Giovanni 1:5-10. DIO È LUCE. PER AVER COMUNIONE CON LUI BISOGNA CAMMINAR NELLA LUCE E CONDANNARE IL PECCATO CH'È IN NOI, CONFESSANDOLO, PER ESSERNE PURIFICATI DA CRISTO.

Comunione tra due esseri morali implica affinità di vedute, di sentimenti, di condotta pratica. La comunione dell'uomo con Dio non è possibile finchè tra Dio e l'uomo vi è opposizione di sentimenti è di azione; finchè l'uomo non uniforma la sua vita al carattere di Dio.

Or questo è il messaggio,

o l'annunzio,

che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo

letteralmente: che vi riannunziamo, che, a nostra volta, quali fedeli ambasciatori, vi trasmettiamo

che Dio è luce, e che in lui non vi son tenebre alcune.

Non ci è stata conservata nei Vangeli una parola di Cristo che risponda alla lettera al messaggio che Giovanni dice aver udito da Cristo; ma i Vangeli sono lungi dal riprodurre testualmente l'insegnamento dato dal Signore negli anni del suo ministerio; non ce ne danno che il sunto. Giovanni che ha ritenuto nel suo cuore tante altre parole caratteristiche di Cristo, ha potuto udire e tramandare anche questa che risponde, d'altronde, all'insegnamento generale di Gesù sulla santità di Dio. Se il Cristo ha potuto chiamar se stesso "la luce del mondo", od anche "la luce" Giovanni 9:5; 8:12; 12:35-36, e se ha potuto dire: "Io ed il Padre siamo uno" Giovanni 10:30 ed ancora: "Chi mi ha veduto ha veduto il Padre" Giovanni 14:9, ben può il suo discepolo, dato che Cristo non l'abbia fatto, riassumere l'insegnamento udito nella parola - profonda quanto semplice - Dio è luce. Di queste parole scultorie gli scritti dì Giovanni ne contengono parecchie; basti ricordarne due: "Dio è spirito" Giovanni 4:24 e: "Dio è amore" 1Giovanni 4:8. La luce colla sua purezza immacolata, col suo splendore abbagliante, colla sua diffusione universale è, tra le cose create, quella che meglio si presta ad esser l'emblema della verità, della santità perfetta, della conoscenza e sapienza di Dio nonchè della sua assoluta avversione per tutto quel ch'è menzogna, ipocrisia, iniquità di pensieri, di sentimenti e di azioni; cose tutte che sono simboleggiate dalle tenebre. Il contrasto fra le tenebre e la luce è quindi frequente negli scritti del N.T., specialmente in quelli di S. Giovanni. Cfr. Giovanni 1:5; 3:19-21; 8:12; 1Giovanni 2:9-11; Romani 13:12-13; Efesini 5:8-14; 1Tessalonicesi 5:4-8.

6 Se diciamo che abbiam comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità;

Si potrebbe tradurre: Se dicessimo... e camminassimo, perchè l'apostolo fa una supposizione; ma il caso pur troppo si presenta spesso nella realtà sotto forma più o meno grave. L'ipocrita può proclamare che ha comunione col Dio ch'è luce è menare una vita di peccato in assoluta opposizione col carattere e colla volontà santa di Dio; e parimenti il cristiano che s'illude sul suo stato morale può figurarsi di essere in comunione con Dio mentre i suoi sentimenti o i suoi atti escludono la possibilità di una tale relazione intima con Lui. Tanto l'ipocrita quanto chi s'illude mentono a se stessi od agli altri e non mettono in pratica la verità evangelica da loro conosciuta; non procedono con rettitudine e sincerità.

7 ma se camminiamo nella luce,

cioè se teniamo una condotta santa,

com'Egli è nella luce

In 1Timoteo 6:16 è detto che Dio "abita una, luce inaccessibile", la quale espressione contiene l'idea che Dio è troppo alto perchè la nostra mente lo possa, comprendere, ma ci fa pure intendere che Dio è santo e abita in un'atmosfera di santità; e questo è il senso delle parole usate qui da Giovanni.

abbiam comunione l'uno con l'altro

o: gli uni cogli altri. È questo il primo risultato dello sforzo sincero di camminar nella luce. Ma che intende dire l'autore? A prima vista parrebbe che volesse accennare alla comunione tra l'Iddio ch'è, nella luce e il credente che cammina nella luce. Dio dimora in lui e il cristiano dimora in Dio. Così il Diodati: Abbiam comunione Egli e noi insieme. Bisogna riconoscere che questo senso delle parole è ad un tempo il più semplice, e quello che meglio risponde al contesto. La maggior parte, però, degli interpreti l'intende della comunione tra I credenti che camminano nella luce. Mentre il peccato che ha per essenza l'egoismo divide e aliena gli uomini gli uni dagli altri, il loro camminar nella luce della verità, della sincerità, della purezza, della santità, in una parola, nella luce del loro Dio e del loro Salvatore ch'è la luce del mondo, li riavvicina, li affratella, li unisce con vincoli di fede, di simpatia, di solidarietà, di speranza, di amore; ricostituisce la famiglia umana quale Iddio la volle allorchè creò l'uomo. Si potrebbero forse unire i due sensi e, tenendo conto di 1Giovanni 1:3 ove la comunione tra i credenti va unita alla comunione con Dio e col suo Figliuolo Gesù Cristo, parafrasare cosa: "abbiamo comunione fraterna gli uni cogli altri e tutti insieme col Padre e col Signore Gesù Cristo".

ed il sangue di Gesù, suo Figliuolo, vi purifica da ogni peccato.

Ecco un altro beneficio assicurato a chi cammina nella luce. L'apostolo non dimentica che, per quanto possa esser sincero lo sforzo del cristiano verso la santità, egli resta pur sempre soggetto a cadere nel peccato. per l'infermità in, cui si trova, o per gli assalti e le astuzie di Satana. Gesù avea detto ai suoi discepoli alludendo al perdono dei peccati passati: «voi siete netti»; ma, alludendo alle quotidiane infermità anche dei più sinceri, aveva soggiunto; «Chi è lavato tutto, non ha bisogno che d'aver lavati i piedi» che quotidianamente si ricopron di polvere per le vie del mondo in cui viviamo Giovanni 13:10-11. «Tutti falliamo in molte cose», esclama Giacomo, che fu soprannominato il Giusto Giacomo 3:2. Di questi peccati d'infermità il sangue di Gesù Cristo purifica giorno per giorno il cristiano sincero che li riconosce e li confessa. Il che torna a dire che in virtù dell'espiazione dei peccati compiuta col sacrificio di colui ch'è «la propiziazione per i nostri peccati» 1Giovanni 2:2, è assicurato al credente il perdono delle sue colpe e in pari tempo la graduale sua liberazione dalla contaminazione del peccato.

8 Se diciamo d'esser senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.

Col parlare di purificazione dal peccato e col parlarne in prima persona, mettendo se stesso coi cristiani ai quali scrive, Giovanni riconosceva implicitamente l'esistenza del peccato, in gradi diversi, in tutti i credenti, anche dopo la loro conversione; ma non ignorava che vi erano fin d'allora - e vi sono stati in tutte le età posteriori - dei cristiani che han professato d'esser giunti a non aver più alcun peccato. A quei tali l'apostolo dichiara, senza ambagi, non solo che sono in errore, ma che ingannano se stessi e si mettono per una via di perdizione. La verità non è in loro; non conoscono veramente l'Iddio santo nè se stessi, altrimenti riconoscerebbero il bisogno quotidiano d'esser purificati da quanto v'è ancora di peccaminoso nei loro pensieri ed affetti, nelle loro parole e nelle loro azioni; e dopo aver chiesto a Dio il pane quotidiano, implorerebbero il perdono dei falli quotidiani e la liberazione dal maligno, secondo l'insegnamento di Gesù.

9 Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità.

Il negare il peccato, il chiuder gli occhi per non vederlo, lo scusarlo o l'attenuarlo, non ci libera dal male che ancora rimane in noi; a chi si pone dinanzi alla santità di Dio nella luce della verità, non resta che una via aperta: riconoscere con umiliazione e pentimento i propri peccati per implorarne da Dio il perdono e l'affrancamento. Il confessare include il riconoscere sinceramente le nostre colpe, e l'umiliarsene davanti a Dio, anzichè con frasi generiche, con una particolareggiata confessione dei peccati concreti nei quali siamo caduti. Da ciò il plurale i nostri peccati. Il confessare i falli "gli uni agli altri" Giacomo 5:16, in ispecie a chi ci può dare consiglio, conforto ed aiuto colle sue preghiere per noi, è cosa consigliabile, ma che deve restare interamente libera. Ad ogni modo non è di quella confessione che Giovanni intende parlare, bensì della confessione a Dio, il quale, dice egli, è fedele e giusto da rimetterei i peccati... Fedele, perchè, perdonando a chi si pente, Egli adempie le promesse fatte per mezzo dei suoi servitori e per mezzo del suo Figliuolo. "Io ho detto: Confesserò le mie trasgressioni all'Eterno; e tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato". Così Davide in Salmi 32:5. Del pubblicano che confessa il suo peccato e implora grazia, Gesù dice che se ne tornò a casa sua giustificato "perchè chi si abbassa sarà innalzato". "Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia" Proverbi 28:13. Le svariate promesse di perdono fanno parte, d'altronde, del grande piano divino della salvazione. Perdonando a, chi si pente e crede in Cristo, Dio traduce in atto il piano suo misericordioso che lo ha portato a dare il suo Figliuolo per rendere possibile la remissione dei peccati. Perdonando i falli quotidiani dei credenti ai quali già concesse il perdono dei peccati commessi prima della lor conversione, e purificandoli coll'opera santificatrice del suo Spirito da ogni iniquità, Dio prosegue fedelmente l'opera della grazia, incominciata in loro. A questa fedeltà di Dio l'apostolo Paolo dirige spesso lo sguardo dei, fedeli, onde accrescere la loro fiducia ed il loro coraggio. "Colui che ha cominciato in voi un'opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" Filippesi 1:6. "Vi confermerà sino alla fine... Fedele è Iddio dal quale siete stati chiamati alla comunione del suo Figliuolo Gesù Cristo" (1Corinzi 1:9. Cfr. 2Tessalonicesi 3:3; 1Tessalonicesi 5:24). Può sorprendere che l'apostolo mentovi anche la giustizia di Dio in relazione col perdono dei peccati e colla purificazione da ogni iniquità: Dio è fedele e giusto da rimetterci i peccati. Si è cercato di rimuovere la difficoltà dando alla parola il senso di "buono e misericordioso", ma questa è esegesi arbitraria. Altri spiega: Dio è giusto nel perdonare in quanto che Cristo ha col suo sacrificio soddisfatto la legge portando la pena dovuta al peccatore. Paolo infatti dice, in Romani 3:25-26, che Dio "ha prestabilito Cristo come propiziazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrar la sua giustizia... ond'Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù". Ma, in questi versetti, non si tratta soltanto della giustificazione, ma anche della santificazione dei credenti. Il concetto della giustizia di Dio è quindi più generale. Di fronte a chi confessa i propri peccati e implora grazia nel nome di Gesù, Dio è giusto concedendogli il perdono che ha promesso a chi si trova in tali condizioni; è giusto, cioè moralmente perfetto, e perciò guarda con simpatia chi riconosce onestamente e condanna i propri peccati; è giusto e perciò viene incontro con bontà e porge l'aiuto del suo Spirito a chi sospira dietro la giustizia morale e lotta contro ogni iniquità nei suoi sentimenti, nelle sue parole e nei suoi atti. Non si tratta di riconoscere e ricompensare dei meriti che non esistono; ma il rispondere all'intercessione di Cristo ed al pentimento del colpevole colla remissione dei peccati e colla grazia santificatrice che purifica il cuore da ogni iniquità, è cosa degna della perfezione morale di Dio.

10 Se diciamo di non aver peccato lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi.

Se invece di riconoscere e confessare i nostri peccati, noi diciamo di non aver commesso peccato (letteralmente: che non peccammo), non tanto prima della conversione, ma dopo che abbiamo creduto, facciamo Dio bugiardo. Col dichiararci innocenti facciam Dio colpevole. Tanto nell'Antico quanto nel N.T., per mezzo dei profeti, di Cristo stesso e dei suoi apostoli ispirati, Dio ha dichiarato l'universalità del peccato umano che non è completamente estirpato quaggiù, neppure nei fedeli più maturi. Lo dimostra largamente la storia. «Non ch'io sia arrivato alla perfezione, scrive S. Paolo; ma proseguo il corso...» Filippesi 3:12. Per liberar l'umanità dal peccato Dio non ha risparmiato il suo Figliuolo ed al medesimo fine è diretta l'opera interna incessante dello Spirito. Il cristiano che neghi di aver commesso dei peccati viene a smentire con diabolica audacia le affermazioni fatte da Dio colle parole e coi fatti, viene a dichiarar Dio bugiardo. Giovanni suole esprimere le cose senza pietose circonlocuzioni, nella loro cruda realtà, affin di destar le coscienze addormentate. Ha detto in 1Giovanni 1:6: "noi mentiamo"; in 1Giovanni 1:8: "inganniamo noi stessi" e qui: "facciamo Dio bugiardo, e la sua parola non è in noi" non è nella nostra mente per darle la conoscenza vera del nostro stato morale; non è nel nostro cuore per produrvi sentimenti di umiltà e di pentimento. Chi suole esaminar se stesso dinanzi allo specchio della Parola di Dio imparerà a conoscere sempre meglio la santità di Dio ed i propri falli ed imperfezioni.

AMMAESTRAMENTI

1. Dio è luce di verità, di santità, di gloria; in lui non vi sono tenebre di ignoranza, di errore, di malvagità, di corruzione. La nozione di Dio e delle sue perfezioni morali quale ci è presentata nella rivelazione dell'antico e più ancora del N.T. è di gran lunga superiore a quelle che sono state concesse agli uomini più cospicui del mondo pagano e non è paragonabile colle nozioni corrotte e talvolta mostruose che hanno dominato e tuttora dominano tra i popoli estranei alla rivelazione cristiana, riguardo alla divinità.

2. L'essenza della religione non consiste in riti o in pratiche esterne, e neppure in nozioni astratte della verità; consiste invece nella vivente comunione dell'uomo con Dio. Perciò la nozione della perfezione morale di Dio ha somma importanza pratica; perchè quale è il Dio che adorano, tali debbono diventar gli adoratori. "Siate santi, poichè io sono santo". Chi vuol vivere in comunione con Dio deve orientar la sua vita, le sue interne disposizioni, gli sforzi della sua volontà, verso la perfezione morale di Dio; deve camminar nella luce della sincerità, della verità, della purezza, dell'onestà, della giustizia; tender strenuamente verso la luce, ripudiando tutto quel ch'è tenebre e che Dio abomina. Non v'è tra gli uomini vera amicizia senza simpatia morale; a fortiori non vi può esser comunione vera tra Dio e l'uomo senza l'affinità delle disposizioni morali. Finchè l'uomo si compiace nelle tenebre del male e non è risoluto a uscirne, v'è incompatibilità assoluta tra Dio e lui, foss'egli pure un cristiano di professione.

3. «Se diciamo che abbiam comunione con lui e camminiamo nelle tenebre...» È dunque possibile una siffatta aberrazione del cuore. È, possibile il credersi in comunione con Dio, e l'essere nei sentimenti, nelle parole e nella vita pratica opposti a Dio; è possibile l'avere una conoscenza intellettuale della verità, e il non mettere in pratica la verità; è possibile cotesta menzogna in atto, questo ingannar se stessi. Il farisaismo, il formalismo, l'ortodossia morta, la storia della cristianità tutta confermano la possibilità di un tale pericolosissimo stato morale. Da ciò la necessità per chiunque professa il cristianesimo di un serio, onesto e non superficiale esame di se stesso alla luce della verità, alla presenza del Dio di santità che scruta i cuori e le loro più segrete inclinazioni.

4. Il cristiano che pone la propria vita e i più remoti recessi del suo cuore dinanzi alla viva luce della verità non può non riconoscere le colpe, le lacune, le cadute sue quotidiane: non può non riconoscere la propria debolezza nella lotta contro il peccato che, se non domina più su di lui, ha ancora troppe radici vivaci in lui. L'uomo nuovo che tende verso la luce si trova inceppato, combattuto dall'uomo vecchio che lo trae verso le tenebre. Due sospiri salgono dal suo cuore; il sospiro verso il perdono delle proprie colpe e il sospiro verso la purificazione completa del proprio cuore. A quei due bisogni risponde la fedeltà del Dio che ha promesso il perdono a chi si fonda pentito sull'opera redentrice di Cristo, del Dio che, giusto in se stesso, vuole render moralmente giusti e perfetti coloro per cui Cristo versò il suo sangue e nei quali lo Spirito ha principiato la sua opera di rinnovamento.

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