Commentario abbreviato:

1Corinzi 15

1 Capitolo 15

L'apostolo prova la risurrezione di Cristo dai morti 1Cor 15:1-11

La risposta a chi nega la resurrezione del corpo 1Cor 15:12-19

La resurrezione dei credenti alla vita eterna 1Cor 15:20-34

Risposta alle obiezioni contro la risurrezione 1Cor 15:35-50

Il mistero del cambiamento che avverrà su coloro che sono in vita alla seconda venuta di Cristo 1Cor 15:51-54

Il trionfo del credente sulla morte e sulla tomba, Un'esortazione alla diligenza 1Cor 15:55-58

Versetti 1-11

La parola resurrezione, di solito, indica la nostra esistenza oltre la tomba. Della dottrina dell'apostolo non si trova traccia in tutti gli insegnamenti dei filosofi. La dottrina della morte e della risurrezione di Cristo è il fondamento del cristianesimo. Se la rimuoviamo, tutte le nostre speranze per l'eternità cadono nel vuoto. È tenendo salda questa verità che i cristiani resistono nel giorno della prova e si mantengono fedeli a Dio. Crediamo invano, se non manteniamo la fede del Vangelo. Questa verità è confermata dalle profezie dell'Antico Testamento; e molti hanno visto Cristo dopo la sua risurrezione. Questo apostolo fu molto favorito, ma ebbe sempre una bassa opinione di sé e la espresse. Quando i peccatori, per grazia divina, si trasformano in santi, Dio fa sì che il ricordo dei peccati precedenti li renda umili, diligenti e fedeli. Egli attribuisce alla grazia divina tutto ciò che di valido c'era in lui. I veri credenti, pur non ignorando ciò che il Signore ha fatto per, in e per mezzo di loro, quando guardano alla loro intera condotta e ai loro obblighi, sono portati a pensare che nessuno è così privo di valore come loro. Tutti i veri cristiani credono che Gesù Cristo, crocifisso e poi risorto dai morti, sia il sole e la sostanza del cristianesimo. Tutti gli apostoli erano d'accordo in questa testimonianza; con questa fede vivevano e in questa fede morivano.

12 Versetti 12-19

Dopo aver dimostrato che Cristo era risorto, l'apostolo risponde a coloro che dicevano che non ci sarebbe stata alcuna risurrezione. Non ci sarebbe stata giustificazione o salvezza se Cristo non fosse risorto. E la fede in Cristo non sarebbe forse vana e inutile, se egli fosse ancora tra i morti? La prova della risurrezione del corpo è la risurrezione di nostro Signore. Anche coloro che sono morti nella fede sarebbero periti nei loro peccati, se Cristo non fosse risorto. Tutti coloro che credono in Cristo sperano in lui come redentore, sperano nella sua redenzione e nella sua salvezza; ma se non c'è risurrezione o ricompensa futura, la loro speranza in lui può riguardare solo questa vita. E devono trovarsi in una condizione peggiore del resto dell'umanità, soprattutto all'epoca e nelle circostanze in cui gli apostoli scrissero, perché allora i cristiani erano odiati e perseguitati da tutti gli uomini. Ma non è così: essi, tra tutti gli uomini, godono di solide comodità in mezzo a tutte le loro difficoltà e prove, anche nei tempi della più aspra persecuzione.

20 Versetti 20-34

Tutti coloro che sono uniti a Cristo per fede, sono assicurati dalla sua risurrezione. Come a causa del peccato del primo Adamo tutti gli uomini divennero mortali, perché tutti avevano da lui la stessa natura peccaminosa, così, grazie alla risurrezione di Cristo, tutti coloro che sono resi partecipi dello Spirito e della natura spirituale, rivivranno e vivranno in eterno. Ci sarà un ordine nella risurrezione. Cristo stesso è stato la primizia; alla sua venuta, il suo popolo redento risorgerà prima degli altri; all'ultimo risorgeranno anche gli empi. Allora sarà la fine di questo stato di cose. Se vogliamo trionfare in quella stagione solenne e importante, dobbiamo ora sottometterci al suo governo, accettare la sua salvezza e vivere per la sua gloria. Allora ci rallegreremo per il compimento della sua impresa, affinché Dio riceva l'intera gloria della nostra salvezza, affinché possiamo servirlo per sempre e godere del suo favore. Cosa faranno coloro che sono battezzati per i morti, se i morti non risorgono affatto? Forse il battesimo è usato qui in figura, per le afflizioni, le sofferenze e il martirio, come in Mt 20:22-23. Che ne è o ne sarà di coloro che hanno sofferto molte e grandi ferite, e hanno persino perso la vita, per questa dottrina della risurrezione, se i morti non risorgono affatto? Qualunque sia il significato, senza dubbio l'argomento dell'apostolo fu compreso dai Corinzi. Ed è altrettanto chiaro per noi che il cristianesimo sarebbe una professione sciocca, se proponesse a se stessi un vantaggio per la loro fedeltà a Dio; e di avere il nostro frutto per la santità, affinché il nostro fine sia la vita eterna. Ma non dobbiamo vivere come le bestie, come non dobbiamo morire come loro. Deve essere l'ignoranza di Dio che porta a non credere alla risurrezione e alla vita futura. Chi possiede un Dio e una provvidenza, e osserva come le cose siano ineguali nella vita presente, come spesso gli uomini migliori se la passino peggio, non può dubitare di uno stato successivo, in cui ogni cosa sarà sistemata. Non uniamoci agli empi, ma avvertiamo tutti coloro che ci circondano, specialmente i bambini e i giovani, di evitarli come una pestilenza. Risvegliamo la rettitudine e non il peccato.

35 Versetti 35-50

1. Come risorgono i morti? Cioè, con quali mezzi? Come possono essere risuscitati? 2. Per quanto riguarda i corpi che risorgeranno. Avranno la stessa forma, la stessa statura, le stesse membra e le stesse qualità? La prima obiezione è quella di coloro che si oppongono alla dottrina, la seconda dei curiosi dubbiosi. Alla prima la risposta è: "Questo doveva avvenire per opera della potenza divina; quella potenza che tutti possono vedere fare qualcosa di simile, anno dopo anno, nella morte e nella rinascita del grano". È sciocco mettere in dubbio l'onnipotenza di Dio nel resuscitare i morti, quando la vediamo ogni giorno ridare vita a cose morte. Per quanto riguarda la seconda domanda, il chicco subisce un grande cambiamento, e così anche i morti, quando risorgono e rivivono. Il seme muore, anche se una parte di esso germoglia in una nuova vita, anche se non possiamo capire come. Le opere della creazione e della provvidenza ci insegnano ogni giorno a essere umili e ad ammirare la saggezza e la bontà del Creatore. C'è una grande varietà tra gli altri corpi, come tra le piante. C'è una varietà di gloria tra i corpi celesti. I corpi dei morti, quando risorgeranno, saranno adatti ai corpi celesti. I corpi dei morti, quando risorgeranno, saranno adatti allo stato celeste; e ci sarà una varietà di gloria tra di loro. Seppellire i morti è come mettere il seme sulla terra, affinché possa spuntare di nuovo. Niente è più disgustoso di un corpo morto. Ma i credenti, alla risurrezione, avranno corpi adatti a essere uniti per sempre a spiriti resi perfetti. A Dio tutto è possibile. Egli è l'autore e la fonte della vita spirituale e della santità per tutto il suo popolo, mediante l'apporto del suo Spirito Santo all'anima; e anche il corpo sarà vivificato e cambiato dal suo Spirito. I morti in Cristo non solo risorgeranno, ma risorgeranno gloriosamente cambiati. I corpi dei santi, quando risorgeranno, saranno cambiati. Saranno allora corpi gloriosi e spirituali, adatti al mondo e allo stato celeste, dove dovranno sempre abitare. Il corpo umano nella sua forma attuale, con i suoi difetti e le sue debolezze, non può entrare o godere del regno di Dio. Non seminiamo quindi la carne, di cui possiamo solo raccogliere la corruzione. E il corpo segue lo stato dell'anima. Pertanto, chi trascura la vita dell'anima, getta via il suo bene presente; chi rifiuta di vivere per Dio, sperpera tutto ciò che ha.

51 Versetti 51-58

Tutti i santi non sarebbero morti, ma tutti sarebbero stati cambiati. Nel Vangelo, molte verità, prima nascoste nel mistero, vengono rese note. La morte non apparirà mai nelle regioni in cui nostro Signore porterà i suoi santi risorti. Cerchiamo quindi la piena certezza della fede e della speranza, affinché nel mezzo del dolore e nella prospettiva della morte possiamo pensare con calma agli orrori della tomba, certi che i nostri corpi dormiranno lì e nel frattempo le nostre anime saranno presenti con il Redentore. Il peccato conferisce alla morte tutto il suo potere offensivo. Il pungiglione della morte è il peccato; ma Cristo, morendo, ha tolto questo pungiglione; ha espiato il peccato, ne ha ottenuto la remissione. La forza del peccato è la legge. Nessuno può rispondere alle sue richieste, sopportare la sua maledizione o eliminare le proprie trasgressioni. Da qui il terrore e l'angoscia. Per questo la morte è terribile per gli increduli e gli impenitenti. La morte può cogliere un credente, ma non può tenerlo in suo potere. Quante sorgenti di gioia per i santi e di ringraziamento a Dio sono aperte dalla morte e dalla risurrezione, dalle sofferenze e dalle conquiste del Redentore! Nel versetto 1Cor 15:58 abbiamo un'esortazione affinché i credenti siano fermi, saldi nella fede del Vangelo che l'apostolo ha predicato ed essi hanno ricevuto. Inoltre, di essere inamovibili nella speranza e nell'attesa di questo grande privilegio, di essere risuscitati incorruttibili e immortali. E di abbondare nell'opera del Signore, facendo sempre il servizio del Signore e obbedendo ai suoi comandi. Che Cristo ci dia la fede e accresca la nostra fede, affinché possiamo essere non solo salvi, ma anche gioiosi e trionfanti.

Commentario del Nuovo Testamento:

1Corinzi 15

1 

PARTE QUARTA

La questione della risurrezione dei morti

1Corinzi 15

Dopo aver trattate le varie questioni attinenti alla vita ecclesiastica, alla vita morale, ed al culto Pubblico, l'Apostolo giunge alla questione dottrinale della risurrezione; e l'insegnamento da lui dato sull'importante argomento, corona splendidamente l'Epistola. «La dottrina, infatti, è l'elemento vitale nella esistenza della chiesa... Ogni grave alterazione dell'insegnamento, vizia immediatamente il corpo di Cristo. L'Apostolo aveva principiata la sua lettera col porre alla base del suo lavoro il Cristo crocifisso; egli la conclude dandole per coronamento il Cristo risuscitato. In questi due fatti applicati alla coscienza ed appropriati mediante la fede, concentrasi infatti, tutta la salvazione cristiana» (Godet),

L'occasione di codesta esposizione e difesa di una dottrina fondamentale, è fornita all'Apostolo dal fatto, a lui noto per informazioni particolari, che vi erano, fra i cristiani di Corinto, delle persone che negavano la risurrezione dei morti 1Corinzi 15:12. Dagli indizi sparsi in questo capitolo, non risulta che tali negazioni fossero un portato della filosofia greca secondo la quale la materia era sorgente del male ed il corpo era la prigione dell'anima: talchè l'essere liberati dal corpo appariva come uno stato superiore. Imeneo e Fileto i quali, secondo 2Timoteo 2:18, dicevano «che la risurrezione è già avvenuta», considerandola, come un fatto puramente spirituale, obbedivano forse a cotali concetti filosofici. Ma in Corinto, i negatori della risurrezione sembrano essersi ispirati piuttosto alle obbiezioni che il razionalismo superficiale ha sempre sollevate contro alla possibilità della risurrezione dei corpi, traendole dal disfacimento, dalla dispersione, e trasformazione della materia del corpo terreno. Anzi, talune espressioni di Paolo fanno supporre in coloro ch'egli combatte una tendenza materialistica che arrivava a negare ogni vita futura.

L'Apostolo, conscio del pericolo in cui trovasi la chiesa già troppo rilassata 1Corinzi 15:33-34, di fronte a queste false dottrine, stabilisce anzitutto saldamente il fatto della risurrezione di Cristo 1Corinzi 13:1-11. Quindi, su questo fondamento, edifica la certezza della risurrezione dei fedeli, poichè Cristo è il Nuovo Adamo in cui la natura umana trionfa della morte recata dal peccato del primo 1Corinzi 15:12-34. Stabilita la certezza della risurrezione, Paolo tratta del modo in cui avverrà, e chiude poi con un canto trionfale e con una pratica esortazione 1Corinzi 15:35-58.

Sezione A 1Corinzi 15:1-11 CRISTO È RISUSCITATO

Il fatto bene accertato della risurrezione di Cristo è uno dei cardini del Vangelo annunziato ai Corinzi. Questo Paolo vuol ricordare loro chiaramente, affinchè non si lascino indurre a considerar la risurrezion dei morti come cosa di secondaria importanza.

Ora, fratelli, voglio farvi conoscere,

cioè farvi presente, delinearvi nei suoi tratti principali,

l'evangelo che vi ho insegnato

(lett. evangelizzato),

il quale ancora avete ricevuto

con fede,

nel quale ancora state saldi,

almeno finora;

2 per mezzo del quale ancora siete salvati

ora e in avvenire,

se voi lo ritenete tale e quale io ve l'ho annunziato

lett. «con quella parola [colla quale] ve l'annunziai» Romani 6:17; 1Timoteo 4:6; 2Timoteo 1:13, che viene a dire: in quel preciso tenore, senza raffazzonarlo o mutilarlo per metterlo d'accordo colla sapienza del mondo:

a meno che abbiate creduto invano.

invano vale: senza motivo Colossesi 2:18 o senza risultato Galati 3:4, 4:11. I due sensi qui si possono combinare. Credere invano è un credere che non conduce al risultato sperato, la salvazione, perchè poggia sopra un fondamento che non sussiste. Tale appunto sarebbe la fede cristiana, qualora non fosse reale la risurrezione di Cristo 1Corinzi 15:14-18. Altri intende: a meno che la vostra fede nel Vangelo sia stata una cosa superficiale, un fuoco di paglia.

3 Perciocchè, innanzi ad ogni cosa, nel trasmettervi quello che io ancora ho ricevuto, vi ho insegnato che Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture.

La traduzione della prima parte del v. 3 è libera, ma esprime bene il senso. Lett. dice: «Vi ho trasmesso, fra le prime cose, quel che anche ho ricevuto, che...». La morte di Cristo e la sua risurrezione, occupano, nell'insegnamento apostolico, il primo posto, per la loro Suprema importanza. Del nudo fatto della morte di Gesù Paolo ha potuto avere conoscenza per via d'informazioni umane, come ha potuto udire, dalla bocca di testimoni oculari, il racconto di molte apparizioni di Gesù risorto. Ma il valore espiatorio della morte di Cristo, la realtà e la portata della sua risurrezione, l'armonia tra l'opera di Cristo e le predizioni delle Scritture, sono cose che ha imparate soltanto dalla diretta rivelazione di Cristo. A questa allude col dire «ho ricevuto» (1Corinzi 11:23; Galati 1:12 e segg.). «Quattro preposizioni greche sono adoperate nel N. T. per esprimere la relazione che la morte di Cristo ha cogli uomini come peccatori, ovvero col peccato stesso:

1) «al posto di» ( αντι) Matteo 20:28;

2) «a favore di» ( ὑπερ) Luca 22:19-20 e qui;

3) «a cagione di» ( δια coll'acc.) Romani 4:25;

4) «circa» o «per l'affare di» ( περι) Romani 8:3.

Il «per» esprime l'idea comune a quelle varie sfumature» (Schaff). Per convincersi che nell'espressione «per i nostri peccati» è implicata l'idea che Cristo ha portata la pena dei peccati, espiandoli, basti confrontare Ebrei 5:1; 7:27; 9:7,28; 10:12 ed anche 1Corinzi 5:7; 2Corinzi 5:21; Galati 3:12, ecc. Le Scritture aveano annunziata la morte del Cristo, per esempio in Isaia 53; Salmi 22; Daniele 9. Gesù stesso ha insistito sopra questo fatto Luca 18:31-34; 24:25-27.

4 E ch'egli fu sepolto:

Il seppellimento è narrato dai quattro Evangelisti e fu, in tempi posteriori mentovato nel simbolo detto apostolico, ad attestare la realtà della morte di Gesù,

e che risuscitò al terzo giorno, secondo le Scritture.

L'indicazione esatta del giorno serve a mettere in rilievo il carattere storico di questo fatto. Stante l'importanza capitale di esso. Dio ha voluto che la sua realtà fosse attestata da numerose, svariate ed irrefragabili prove Atti 1:3. Come profezie della risurrezione, vengono ricordati nel N. T. i Salmi 2; 16; 110; il tipo di Giona a cui si può aggiungere Isaia 53:10-13; Osea 6:3.

5 Luca dice che prima di salire al cielo, Cristo si fece vedere ai suoi discepoli per lo spazio di quaranta giorni Atti 1:3. Paolo allo scopo di stabilire saldamente il fatto della risurrezione di Cristo, ricorda qui alcune delle apparizioni più importanti.

e che apparve a

(o si fece vedere da, cfr. Atti 9:17; 26:16)

Cefa.

Questa apparizione è mentovata incidentalmente da Luca 24:34 come avvenuta nel giorno stesso in cui Gesù risuscitò, e dopo quelle della mattina a Maria Maddalena ed alle donne, ricordate nei Vangeli. e

dipoi ai Dodici

ossia agli apostoli riuniti. In realtà, dopo il tradimento di Giuda, erano ridotti a undici e, nella prima apparizione, la sera del giorno della risurrezione, mancava anche Toma Giovanni 20:24-29; ma la designazione «i dodici» restò ad indicare il collegio degli apostoli.

6 Quindi apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta, dei quali la maggior parte rimane tuttora [in vita]; ed alcuni si sono addormentati

del sonno pacifico della morte in Cristo. Dove avvenne e quando questa importante apparizione non ricordata esplicitamente dai Vangeli? Secondo ogni probabilità, in Galilea. Quella regione era stata più volte designata da Gesù come luogo di convegno coi suoi Matteo 28:7,10; Marco 16:7. In Matteo 28:16 si parla perfino di un monte ove Gesù aveva ordinato ai discepoli di trovarsi. Se in Gerusalemme, poco prima della Pentecoste, si trovano solo centoventi discepoli riuniti, ciò non vuoi dire che non ve ne fossero delle centinaia in Galilea. Il fatto che sono tuttora in vita la maggior parte di coloro che hanno veduto ed udito Gesù resuscitato, viene rilevato per mostrare come Paolo non tema smentita a quanto afferma e parli di cosa da lui bene appurata.

7 poi apparve a Iacobo

per cui s'intende il Iacobo fratello di Gesù divenuto dipoi pastore della chiesa di Gerusalemme e mentovato Galati 1:19; 2:9; Atti 15:13; 21:18, come uno fra gli uomini più influenti nella Chiesa primitiva dopo gli Apostoli. Si cfr. 1Corinzi 9:15; Atti 1:14. La tradizione ha serbato memoria di un'apparizione di Gesù a Iacobo nel Vangelo apocrifo agli Ebrei:

e quindi a tutti gli apostoli.

Stando all'ordine cronologico seguito da Paolo nell'enumerazione delle apparizioni che cita, si tratta qui di quella che precedette l'ascensione del Signore. Gli undici erano tutti presenti Atti 1:4-9, mentre in qualche altra occasione non erano al completo Giovanni 20:24; 21:2.

8 Da ultimo, dopo tutti, è apparito anche a me

1Corinzi 9:1; Atti 9,

come all'abortivo:

ossia al bambino nato fuori tempo, in modo anormale. L'essere stato, anzichè seguace di Gesù, persecutore della Chiesa; l'essere stato chiamato alla fede ed all'apostolato dopo tutti gli altri, in un modo insolito, e quasi violento, sulla via di Damasco, costituiva per Paolo una specie d'inferiorità in seno alla famiglia apostolica.

9 Io sono, infatti, il minimo degli Apostoli e non son degno d'essere chiamato col nome onorevole di Apostolo, poichè ho perseguitata la Chiesa di Dio.

Il ricordo della sua condotta passata non abbandonò mai l'Apostolo e tenne in lui sì vivo sentimento d'umiltà ch'egli si professa, non solo l'ultimo degli Apostoli dal lato della personale dignità, ma il «minimo di tutti i santi», il «primo dei peccatori» Efesini 3:8; 1Timoteo 1:12-16. Se il persecutore Saulo è divenuto l'Apostolo Paolo, il Dottor delle genti, ciò è dovuto alla infinita grazia di Dio.

10 Ma, per la grazia di Dio, sono quel che sono

credente ed Apostolo dei Gentili.

E la grazia sua verso di me non è stata vana

inefficace a dar dei frutti,

anzi ho faticato più di tutti loro,

più degli altri apostoli presi separatamente, od anche tutti insieme. Il faticare include qui gl'immensi risultati ottenuti, il «lavoro» compiuto. Dall'Arabia e dalla Siria fino alle sponde dell'Adriatico egli ha fatto risuonare la Buona Novella e fondato ovunque delle chiese. Cfr. Romani 15:17-19.

Non io però,

non io colle mie sole forze,

ma la grazia di Dio con me.

Così il testo più breve adottato dai maggiori critici. «Nec gratia Dei sola, nec ipse solus; sed gratia cum illo», nota Agostino. Egli mise ogni premura nell'adempiere il suo compito; nessun sacrificio gli parve troppo grave confr. 1Corinzi 9. Ma se la grazia non l'avesse sostenuto e non avesse benedetto i suoi sforzi, la sua fatica sarebbe stata vana 1Corinzi 3:5-9.

11 La menzione fatta dell'apparizione di Gesù sulla via di Damasco, ha indotto Paolo ad aprire una parentesi intesa a dimostrare la legittimità del suo apostolato; ma subito riprende il filo della dimostrazione cui mira.

Adunque, tanto io, come loro, così predichiamo e così avete creduto.

Vi è il più perfetto accordo fra tutti gli Apostoli nel porre alla base della fede cristiana la morte e la risurrezione di Cristo ed, in ispecie, nell'attestare la realtà di quest'ultimo fatto.

AMMAESTRAMENTI

1. Il cristianesimo apostolico ha per centro Cristo. La rivelazione preparatoria contenuta nelle Scritture dell'Antico Patto, l'incarnazione, la morte espiatoria, la risurrezione, l'esaltazione, il regno di Cristo sono parti dell'unico grande edificio della Redenzione; e sono tra di loro collegate in guisa tale che non è possibile smuovere una pietra senza mettere in forse la solidità dell'intiero edificio. L'Evangelo va ricevuto qual'è o rigettato assolutamente. Se infatti l'Apostolo ha potuto mostrare, come fa in questo capitolo, che la negazione della risurrezione dei morti, conduce fatalmente alla negazione dell'intiero Evangelo, lo stesso può affermarsi di ogni dottrina fondamentale del Cristianesimo.

2. Come vi è armonia tra le varie parti del piano della Redenzione, così vi è armonia fra gli espositori accreditati di questo piano. Potranno esser diversi il carattere individuale, la coltura intellettuale, lo stile e la lingua di ciascun Apostolo, resta però identica la sostanza del loro insegnamento 1Corinzi 15:11 ed in ispecie della lor testimonianza riguardo al fatto capitale della risurrezione di Cristo.

3. La Buona Novella della salvazione mediante la morte espiatoria e la risurrezione di Cristo non manifesta la sua efficacia salutare se non in quelli che la ricevono con fede sincera e perseverante; che l'accolgono, non già come sistema filosofico o morale, ma così com'ella è veramente, cioè messaggio divino di grazia ai peccatori.

4. La risurrezione di Cristo è, nella storia, uno dei fatti meglio accertati. Esso è, di sua natura, tale da poter esser conosciuto con certezza, e le prove che ne stabiliscono la realtà non lasciano nulla da desiderare.

I testimoni che hanno veduto coi loro occhi la tomba vuota, che han contemplato e toccato ed udito Gesù risorto sono numerosissimi; e di molti d'infra loro possediamo la testimonianza diretta, nel loro scritti.

I testimoni forniscono tutti i dati desiderabili di persona, di tempo, di luogo, di circostanze.

Essi hanno, molti almeno, costatato il fatto del quale rendon testimonianza, non una ma molte volte.

I testimoni non erano disposti a credere alla realtà del fatto, ma dovettero piegarsi all'evidenza più irresistibile. Esempio Toma e Saulo.

I testimoni sono persone della cui onestà non si può dubitare, tanto più che han confermato colla loro vita e spesso col martirio, la lor testimonianza.

I testimoni hanno pubblicato subito le cose che avevano vedute ed udite; quando, cioè, vi era per i contradditori, ogni mezzo di vagliare e sbugiardare la lor testimonianza.

Quel che Paolo espone, ventisette anni dopo, intorno al fatto 1Corinzi 15:4-11, è indizio certo che i documenti scritti, da noi posseduti, non contengono che una parte della sovrabbondanza delle testimonianze che fecero certi i primi discepoli della risurrezione del loro Signore. L'appello da lui fatto a testimoni numerosi e tuttora viventi è argomento della lealtà e della certezza della sua convinzione; mentre il modo logico e perspicace in cui ragiona intorno alle conseguenze della negazione della risurrezione di Cristo dimostra ch'egli non è un esaltato od un allucinato, ma un uomo che sa quel ch'egli dice e conosce il perchè di quanto afferma.

Di fronte a questo cumulo di prove positive, le ipotesi di una frode dei discepoli, di una loro illusione, della formazione di un mito, non solo non reggono, ma dànno a vedere che la ripugnanza a ricevere come fatto la risurrezione di Cristo, va cercata assai più nei preconcetti filosofici che non nel campo della critica storica.

5. Il conservare uno spirito umile quando uno è stato ricolmo di grandi doni, elevato ad alti uffici, onorato di eccezionali successi, è grazia segnalata fra tutte. Paolo nella sua umiltà

a) ricorda le sue passate colpe e la sua indegnità;

b) ha coscienza della sua incapacità e debolezza naturale ed attribuisce alla grazia di Dio i successi riportati;

c) l'umiltà sua non è però falsa modestia che gl'impedisca di valutare la somma del lavoro da lui compiuto; ma da questo egli trae argomento per dare vie maggior gloria a Colui che del persecutore della Chiesa ha fatto l'Apostolo delle genti Romani 15:18.

12 Sezione B 1Corinzi 15:12-34 IL CRISTO RISUSCITATO È GARANZIA DELLA SALVAZIONE E DELLA FINALE RISURREZIONE DEI SUOI

Non per nulla Paolo ha ricordato l'assoluta certezza del fatto della risurrezione di Cristo. All'infuori di quello, egli sente che mancherebbe ogni base alla speranza della risurrezione gloriosa dei corpi. Invece, contro a quel fatto, come contro ad uno scoglio, vengono ad infrangersi le negazioni lanciate da taluni Corinzi 1Corinzi 15:12-19, la risurrezione di Cristo diventa sicura garanzia della finale risurrezione dei redenti 1Corinzi 12:20-28. Talchè la vita cristiana colle sue alte speranze, coi suoi travagli, colle sue sante abnegazioni non apparisce, come sarebbe senza la risurrezione, una cosa vana ed illusoria 1Corinzi 15:29-34.

1Corinzi 15:12-19 Il negare la risurrezione dei morti implica la negazione della risurrezione di Cristo, della veracità della testimonianza apostolica e della realtà della salvazione di Cristo.

Ora se si predica di Cristo ch'egli è risuscitato dai morti,

come fanno tutti gli Apostoli,

come mai dicono alcuni fra voi,

membri della chiesa,

che non c'è risurrezione dei morti?

In Atti 17:32, si ha una prova della ripugnanza dello spirito greco ad ammettere la possibilità della risurrezione. «quando sentirono parlare di risurrezione di morti, gli uni se ne facevano beffe, altri dicevano: Noi ti udiremo su questo un'altra volta». Parimenti, in Atti 26:8, Paolo parlando davanti ad Agrippa, a Festo ed al loro seguito, esclama: «Si ritiene egli da voi per una cosa incredibile che Dio risusciti dai morti?». In tutti i tempi la superficiale ragione umana che misura la sapienza e la potenza di Dio alla propria stregua, ha sollevato le stesse obbiezioni contro alla dottrina della risurrezione dei corpi. Vi allude Paolo in 1Corinzi 15:35 e seg. Qui egli fa notare a quei cristiani che si lasciavano travolgere dall'incredulità del mondo, come la negazione della risurrezione in genere sia in contraddizione col fatto ben costatato della risurrezione di Cristo.

13 Se non c'è risurrezione dei morti, neppure Cristo è risuscitato.

È probabile che i sostenitori dell'errore combattuto da Paolo non si rendessero ben conto delle gravi conseguenze implicate nel loro falso principio. A queste li rende attenti l'Apostolo onde ricondurli sulla via della verità.

14 E se Cristo non è risuscitato, ne segue che vana è anche la nostra predicazione, vana pure la vostra fede.

Vana. o lett. vacua, la predicazione apostolica, poichè priva di verità, di realtà nella parte più essenziale del suo contenuto 1Corinzi 15:11. Vana la fede dei cristiani che poggerebbe sul vuoto, anzichè su fatti positivi.

15 E veniamo ad essere trovati perfino dei falsi testimoni riguardo a Dio

(lett. di Dio), siamo colti in flagrante reato di falsa testimonianza, tanto più grave ch'esso si riferisce a Dio:,

poichè abbiamo testimoniato contro a Dio ch'egli ha risuscitato il Cristo, il quale

ecc... La testimonianza apostolica, posto che la risurrezione di Cristo non fosse un fatto reale, verrebbe ad attribuire a Dio una cosa ch'egli non avrebbe compiuta; sarebbe una calunnia diretta contro a Lui. Non c'è ragione di togliere alla preposizione κατα (contro) il suo senso ordinario.

16 Se infatti i morti non risuscitano,

se una volta morti non si può risuscitare,

neppure Cristo è risuscitato.

Paolo insiste su questo punto 1Corinzi 15:13 e non si può obbiettare che il caso di Cristo è diverso perchè egli è il Figlio di Dio. Cristo morì come uomo e quel che fu sepolto fu il suo corpo umano. Quindi se non è ammissibile la risurrezione di chi è morto, non può ammettersi eccezione per il corpo morto di Cristo.

17 E se Cristo non è risuscitato, è vana la vostra fede, voi siete ancora nei vostri peccati.

L'Apostolo adopera due parole diverse per indicar la vanità della fede cristiana qualora non fosse risorto il Cristo. Essa è senza fondamento saldo, poggia sul vuoto, è κενη 1Corinzi 15:14. Ma essa è vana ancora, inquantochè non può condurre ad alcuno dei risultati a lei promessi; è ματαια Tito 3:9. Se Cristo non è risuscitato, se manca alla sua missione ed all'opera di salvazione ch'egli ha compiuta, quel supremo suggello di Dio ch'egli stesso ha additato come prova irrefragabile, quale certezza possiamo noi avere che veramente Dio ha gradito quale espiazione dei nostri peccati il suo sacrificio? La tomba rimasta chiusa di Gesù starebbe ad indicare ch'egli pure è rimasto preda della morte ch'è il salario del peccato e che, per conseguenza, sono illusori il perdono dei peccati e la giustificazione che abbiamo cercato in lui. In Romani 4:25, l'Apostolo dice: «... risuscitò a cagion della nostra giustificazione» virtualmente compiuta, una volta accettato il suo sacrificio. Tolta la risurrezione, crolla la giustificazione dei peccatori ed essi sono ancora nei loro peccati, cioè non liberati dalla condanna cui li espongono i loro peccati non espiati, nè remossi Giovanni 8:24.

18 e, per conseguenza, anche coloro che sono morti

(lett. «si sono addormentati»)

in Cristo, sono andati in perdizione

(lett. «perirono»). Uno Stefano che muore sereno rimettendo a Gesù lo spirito suo tanti cristiani addormentati nella pace del Cristo in cui han creduto, se la lor fede è vana, sarebbero scesi nella perdizione anzichè entrar nel riposo e nella gloria. Un tal pensiero dovea profondamente ripugnare alla coscienza cristiana. E non è lamentevole soltanto la sorte di coloro che sono morti in Cristo, ma lo è del pari quella di chi vive tuttora nella fede in lui.

19 Se, in questa vita, noi abbiamo posto in Cristo l'unica nostra speranza, siamo i più miserabili di tutti gli uomini.

Il testo emendato dice letteralmente: «se... in Cristo noi abbiamo sperato solamente». La frase è variamente intesa. C'è chi seguendo la Vulgata, intende: Se quello che noi aspettiamo da Cristo si limita alla vita presente e non c'è nulla da attendere al di là della tomba, allora siamo da compiangere più di tutti gli altri. Tale senso non si confà colla posizione del solamente in fondo alla frase, nè col significato delle parole: in questa vita che tornano a dire: «durante, o nel corso di questa vita», non già: «per questa vita». C'è chi interpreta: Se in questa vita ci siamo contentati di meramente sperare in Cristo, senza godere ancora di nulla... Il senso più soddisfacente può esprimersi colla seguente parafrasi: Se, nel corso di questa vita terrena, abbiamo concentrato in Cristo la nostra unica speranza di futura perfezione, felicità e gloria, se, in vista di questa speranza, fondata in Cristo, noi sopportiamo travagli e beffe e persecuzioni, noi siamo degni di compassione più degli altri uomini poichè se Cristo non è risuscitato, la nostra speranza non ha fondamento e noi spendiamo affetti, fatiche, beni e vita per una illusione; mentre gli altri che vivono per le cose della terra, ne godono, ed in ogni caso, non si pascono d'illusioni. Lo stesso pensiero verrà svolto, in altra forma, in 1Corinzi 15:30-33 ed accennato ancora in 1Corinzi 15:58.

20 1Corinzi 15:20-28 Il Cristo risuscitato è garanzia della finale risurrezione dei suoi.

Dopo aver mostrato a quali mostruose conseguenze conduce il falso principio che non c'è risurrezione di morti. Paolo ritorna sul terreno dei fatti che nessuna teoria vale a smuovere; e nel fatto ben costatato della risurrezione e della susseguente esaltazione del Cristo, egli scorge la garanzia della finale vittoria dell'umanità redenta sulla morte.

Ma ora Cristo è risuscitato dai morti.

«Le parole ma ora sono, come il grido di liberazione dopo l'incubo sotto cui l'Apostolo ha fatto passare i suoi lettori col mostrar loro l'abisso in cui ci sprofonda la negazione della risurrezione. L'ora ( νυνι) oppone la realtà certa del fatto al vuoto completo che risulta dalla negazione di esso» (Godet). Viene a dire: Ma il fatto sta ed è che Cristo è risuscitato... Or questo fatto è ricco di conseguenze, perchè Cristo non è un semplice individuo isolato; egli è il capo ed il rappresentante d'una nuova umanità, un nuovo Adamo venuto a liberare la razza dalle conseguenze del peccato introdotto dal primo. La sua vittoria sulla morte è quindi la garanzia ed il principio della vittoria riservata a coloro che sono uniti a lui per fede. Questa idea viene espressa da Paolo con un'immagine. Cristo è risuscitato,

qual primizia di coloro che dormono

il sonno della morte. Come le prime spighe mature preannunziano l'avvicinarsi della messe e ne sono come il saggio, così è il Cristo risuscitato la vivente profezia ed il prototipo della generale risurrezione delle schiere innumerevoli dei salvati. Egli è perciò chiamato il «primogenito dai morti» Colossesi 1:18, il «primo a risorgere dai morti» Atti 26:23. È stato notato che la risurrezione di Cristo avvenne appunto nel giorno in cui solevano gl'Israeliti offrire a Dio le primizie della lor messe, secondo Levitico 23:10 e segg.; ma non risulta che Paolo abbia avuto in mente una tale coincidenza. Che la risurrezione venisse assicurata in questa maniera, per mezzo della risurrezione dell'uomo Cristo-Gesù, era una necessità conforme al piano di Dio.

21 Poichè infatti per mezzo di un uomo è avvenuta la morte, per mezzo di un uomo altresì, avviene la risurrezione dei morti.

Fin dall'Eden era stato annunziato che «la posterità della donna» schiaccerebbe il capo al serpente. E, nel compimento dei tempi, il Verbo si è fatto carne, è divenuto simile a noi in ogni cosa, per dare a noi la vittoria sul peccato e sulla morte Ebrei 2:14. Non sta nell'uomo la forza di redimersi dal peccato e dalle sue conseguenze; ma Dio ha voluto che la redenzione, opera della sua grazia, arrivasse all'umanità per mezzo di un uomo ch'è l'Immanuel, «Dio con noi».

22 Come, infatti, in Adamo,

qual rappresentante e capo della razza che in lui peccò Romani 5:12,

tutti muoiono, così ancora in Cristo tutti saranno vivificati.

«La morte giunge a tutti coloro che sono in comunione con Adamo (fisicamente e per il peccato); la vita giunge a tutti coloro che sono in comunione con Cristo (spiritualmente e per la fede)» (Reuss). Dalle due parti vi è la totalità; ma ciò non implica che il numero dei vivificati in Cristo sia pari esattamente a quello dei morti in Adamo. In Adamo siamo tutti, in virtù della nascita; mentre in Cristo si entra per fede, cioè per un atto volontario e libero Romani 5. Non sono quindi in lui, cioè in comunione vitale con lui Giovanni 15:5, coloro che rigettano Cristo. Nè si può riguardar il Cristo risorto come primizia di coloro che risuscitano per la condannazione. Inoltre, l'esser «vivificati» ( ξωοποιεισθαι) non si applica mai nel N. T. alla risurrezione dei malvagi. In tutto il contesto, poi, Paolo ragiona esclusivamente della risurrezione dei credenti, di «coloro che dormono in Cristo» 1Corinzi 15:18, di «coloro che son di Cristo» 1Corinzi 15:23. Con ciò, non si nega che anche gli altri abbiano a risuscitare per la potenza di Dio Giovanni 5:29; Matteo 25:46; Atti 24:15: ma di questo non si occupa il presente capitolo. Ciò posto, resta estranea a questo passo anche la dottrina dell'universale salvazione finale di tutte le creature umane ed angeliche. Il N. T. non fa sperare la salvazione di chi scientemente e volontariamente persiste nel respingere la grazia offerta in Cristo Matteo 25:46; Marco 9:48; 1Corinzi 6:9; Filippesi 3:19; 2Tessalonicesi 1:9; Ebrei 6:10,26-31; Apocalisse 21:27.

23 Ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo qual primizia, poi quelli che son di Cristo,

che gli appartengono e sono a lui uniti,

al suo avvenimento.

può darsi che l'Apostolo introduca questa idea relativa al tempo della risurrezione dei fedeli, per calmare le ansie di coloro che vedevano i loro fratelli in fede diventar preda della corruzione della fossa, prima dell'avvenimento di Cristo. Tali sentimenti si erano manifestati nella chiesa di Tessalonica 1Tessalonicesi 4:1-5:3; 2Tessalonicesi 2. Quanto tempo dovesse trascorrere prima della Parousia di Cristo, Paolo non lo dice, nè lo poteva dire poichè la cosa non è stata rivelata ad alcuno Atti 1:7; Matteo 24:36.

24 Poi verrà la fine,

non la fine del processo della risurrezione, ma la fine della economia, o del secolo presente Matteo 13:39,49; 24:3,6,14; Luca 21:9; 1Pietro 4:7. Se la «fine» debba succedere immediatamente all'avvenimento di Cristo, o se tra i due eventi abbia da trascorrere un periodo più o meno lungo di tempo, è questione dibattuta. Col presentar la morte come l'ultimo nemico vinto da Cristo 1Corinzi 15:26, e vinto dalla risurrezione 1Corinzi 15:54-57 che avviene nella sua seconda venuta, Paolo pare insegnare che «la fine» sarà simultanea coll'avvenimento di Cristo Matteo 25; 2Tessalonicesi 1; 2:

quando rimetterà

(lett. secondo il testo emend. «quando rimetta»)

il regno a Dio, il Padre,

a Colui ch'è Dio e Padre ad un tempo

quando avrà ridotto al niente,

all'impotenza completa,

ogni principato ed ogni podestà e potenza

avversa al suo regno, sia essa di natura spirituale o fisica, sia essa terrestre o celeste. Le visioni dell'Apocalisse descrivono la lotta del Re Messia contro alle potenze avverse ed il suo finale trionfo. Per regno s'intende qui il potere regio ch'eragli stato delegato Matteo 28:18; Giovanni 17:2; Filippesi 2:9-11; Efesini 1:20-23.

25 Perciocchè egli deve regnare,

conforme il programma divino datogli ad eseguire,

finchè egli abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi

secondo la espressione di Salmi 110, a cui Paolo allude. Il regno di Cristo è principiato; ma devesi protrarre fìnchè abbia raggiunta la mèta ch'è la vittoria completa su tutti i nemici, senza eccezione. In questo lungo conflitto, ci potranno esser dei tempi di sosta come il pacifico millennio descritto nell'Apocalisse 20 dopo una segnalata vittoria sul diavolo; ma fìnchè le potenze avverse possono ripigliare l'offensiva, l'opera non è compiuta. La vittoria finale e determinata dall'intervento del Re in persona, mediante il suo avvenimento in gloria. D'altronde, il regno di Cristo ha sempre, nei quadri profetici, un duplice aspetto: egli pasce il suo gregge con amore infinito, lo protegge e lo salva Giovanni 10; ma pasce con scettro di ferro le coalizioni dei ribelli e le giudica.

Se si domanda come si possa conciliare questo «rimettere il regno a Dio il Padre», colle dichiarazioni bibliche ove il regno di Cristo si proclama «eterno» Isaia 9:6; Luca 1:33, si risponde, col distinguere nella podestà regia di Cristo quella che egli possiede in virtù della sua natura divina, quella ch'egli esercita sulla chiesa da lui redenta e quella che gli è affidata su tutte le cose per lo stabilimento del regno di Dio. Una volta condotta a compimento l'opera della redenzione, viene a cessare la necessità dei poteri speciali conferiti a Cristo a quello scopo; i redenti sono alla presenza immediata di Dio, il quale regna su loro direttamente. Il regno di Cristo non si distingue più dal regno eterno di Dio.

26 Quale ultimo nemico, sarà distrutta la morte.

La tenace potenza della morte che miete la vita corporale dei figli del regno, e li tien come prigioni nel sepolcro, sarà da ultimo fiaccata, ridotta al nulla, dalla completa vittoria della risurrezione 1Corinzi 15:54-57. La morte del corpo, conseguenza del peccato, è qui personificata.

27 Infatti, [Dio] ha posto ogni cosa sotto ai piedi di lui:

quindi non può andar esclusa la morte, quel terribile conquistatore che nessuna forza umana valeva ad arrestare. L'Apostolo pare alludere alle parole di Salmi 8:7, ov'è celebrata la universale signoria dell'uomo sul creato. Stando al disegno di Dio, la morte, come il peccato, è un intruso nella famiglia umana. In Cristo ch'è l'uomo ideale, il Nuovo Adamo, il piano di Dio è realizzato e l'umanità vien restituita alla sua originale destinazione, alla sua gloria regale, trionfando del peccato e della morte Ebrei 2:8; Efesini 1:22.

Or, quando dice che ogni cosa [gli] è stata sottoposta, è chiaro che resta escluso colui che gli ha sottoposto ogni cosa.

Dio non ha abdicata la sua autorità suprema; anzi il potere delegato al Cristo serve a ricondurre a Dio tutto quello che può esser ricondotto e a debellare chi persiste nella resistenza.

28 È quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora il Figlio stesso sarà anch'egli sottoposto,

in volontaria subordinazione,

a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinchè Dio sia ogni cosa in tutti.

Raggiunto lo scopo per cui al Cristo era «stata data ogni podestà in cielo ed in terra», egli rimette nelle mani del Padre i pieni poteri delegatigli, e Dio esercita direttamente ogni autorità in tutti i membri del suo popolo. Cristo è stato fatto Signore e re nella sua qualità di uomo-Dio, e, come tale sarà sottoposto al Padre. A significare che a questa subordinazione del Cristo non ripugna la sua qualità di Figlio di Dio, Paolo dice: «il Figlio stesso». Una filiale subordinazione non esclude l'uguaglianza di natura tra Padre e Figlio. La perfetta divinità del Figlio è proclamata esplicitamente da Paolo Romani 9:5; Colossesi 2:9, ecc.; mentre il concetto della subordinazione si incontra nella nostra stessa Epistola: 1Corinzi 3:23; 11:3, Dio «ogni cosa in tutti» (non in tutte le cose), non significa l'annientamento panteistico della personalità. «L'Apostolo ha voluto esprimere questa idea sublime: che il termine della storia, ed il fine dell'esistenza dell'umanità è la formazione d'una società d'esseri intelligenti e liberi, condotti da Cristo ad una comunione perfetta con Dio, e resi, in tal guisa, capaci di spiegare, come Gesù stesso quaggiù, un'attività inalterabilmente santa e benefica (Godet).

29 1Corinzi 15:29-34 Se il regno di Cristo non dovesse far capo al suo glorioso compimento colla finale risurrezione dei morti, ogni pio sentimento connesso con la vita avvenire, sarebbe illusorio; ogni sforzo diretto ad estendere il regno di Cristo sarebbe inutile: e l'ideale umano si ridurrebbe al godersi questa fuggevole vita terrestre

La speranza cristiana, fondata sulla risurrezione di Cristo, addita all'uomo, come fine ultimo, una vita eterna dell'essere suo completo, nella perfetta comunione con Dio 1Corinzi 15:28; cfr. Colossesi 3; Apocalisse 21. Dove conduce, in fatto di conseguenze morali, la negazione della risurrezione? A tale questione risponde Paolo in questi versetti riprendendo un pensiero accennato di già in 1Corinzi 15:18-19. Ed anzitutto, nota che perde ogni senso la pia pratica del battesimo per i morti.

Altrimenti,

se, cioè, il glorioso compimento del regno di Cristo di cui 1Corinzi 15:20-28 non è che una illusione,

che faranno coloro che si fanno battezzare per i morti?

Si troveranno aver fatto una cosa senza senso e senza utilità alcuna Atti 21:13.

Se assolutamente i morti non risuscitano, perchè si fanno essi ancora battezzare per loro?

Tale la costruzione più naturale di un passo che ha dato luogo alle più disparate interpretazioni, e di cui ogni parola è stata tratta a sensi più o meno forzati. Così il participio ὁι βαπτιζομενοι (coloro che si fan battezzare) è stato inteso, in modo assoluto, come designazione dei cristiani, cosa che il N. T., e Paolo in ispecie, non fa mai. Ovvero si è pensato a coloro che lavano i morti, o che si purificano dopo il contatto con un cadavere. Altri lo applica al battesimo delle afflizioni Luca 12:50; Marco 10:38 cui vanno incontro i cristiani per entrar nel novero dei martiri. Il senso più ovvio è «coloro che si fanno amministrare il battesimo cristiano per...» L'inciso per i morti ( ὑπερ των νεκρων) è stato interpretato «sulle tombe» dei martiri «in punto di morte»; «per esser riuniti coi morti in Cristo, a lor cari»; «per riempire i vuoti fatti dalla morte nella Chiesa»; «a prò di coloro che son morti spiritualmente», ecc. Il senso naturale delle parole è «a prò di, o per coloro che sono morti di morte corporale».

L'Apostolo pare alludere ad una pratica accettata da alcuni cristiani bene intenzionati, ma poco illuminati, e consistente nel farsi ribattezzare per conto di un credente, loro congiunto od amico, morto prima di avere, col battesimo, professato pubblicamente la sua fede. Sulla base di talune dichiarazioni del Signore, come Matteo 10:32-33; Marco 16:16: «Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato...», poteva nascere in molti catecumeni, colti dall'avvicinarsi della morte, il timore di non aver parte alla gloriosa risurrezione in Cristo Giovanni 6:39-40, se non erano entrati a far parte visibilmente della sua Chiesa quaggiù. Da questo il loro desiderio d'esser battezzati per procura, affidata ad un cristiano. C'era in questa pratica, senza dubbio, una parte di superstizione, o, quanto meno, una esagerata idea della necessità del battesimo per la salvazione. A tempo più opportuno, Paolo non avrà mancato di dare al riguardo le sue istruzioni; tanto che la pratica, d'altronde poco estesa finì collo sparire dalla Chiesa, e solo se ne trovano traccie al secondo secolo, tra gli eretici Cerintiani e Marcioniti. In Corinto, le numerose malattie e morti di cui in 1Corinzi 11:30 potevano avervi dato luogo. Paolo, col mentovarla senz'altro vuol fare appello al sentimento cristiano cui ripugna assolutamente l'ammettere che chi si è addormentato nella pace di Cristo sia perduto, e che non abbiamo a ritrovar mai più coloro che ci hanno preceduti nel riposo. Era, in fondo, il sentimento, più che la riflessione, che avea fatto nascere la pratica accennata, e siccome il sentimento che si connette alla speranza cristiana è più vivo in tempi di lutto, ad esso Paolo fa due volte appello nel corso di pochi versetti: 1Corinzi 15:18,29. La negazione della risurrezione tende a soffocare ogni sentimento che si riferisca ad una vita più perfetta oltre la tomba; e, per conseguenza, a sopprimere qualsiasi manifestazione in cui una tale aspirazione si rifletta.

30 Non solo: ma rende inutile ogni sforzo ogni sacrificio diretto ad estendere nel mondo il regno di Cristo.

E noi pure

banditori del Vangelo, intenti a ben più ardua opera, per l'eterna salvezza dei nostri simili,

perchè siamo noi ad ogni ora in pericolo,

esposti continuamente ad ogni specie di pericoli da parte dei nemici del Vangelo?

31 Ogni giorno io muoio

cioè sono esposto a morire, ho la morte sospesa sul capo;

sì, com'è vero, fratelli, ch'io mi glorio di voi in Cristo Gesù nostro Signore.

È questa una formula, quasi di giuramento, diretta ad asseverare vie maggiormente la realtà del continuo pericolo di morte in mezzo a cui compie l'opera sua apostolica. Paolo attesta il suo quotidiano morire, per una delle cose che sono a lui più care: per quell'intima e profonda soddisfazione, a lui concessa dal suo Signore, di poter fondare in Corinto una chiesa come quella alla quale scrive. Un pensiero analogo trovasi espresso Romani 15:17-21; cfr. 1Tessalonicesi 2:19-20. Della frequenza poi e della gravità dei pericoli corsi dall'Apostolo, in particolare, fanno fede le pagine del libro degli Atti, nonchè le enumerazioni che se ne hanno 1Corinzi 4:9-13; 2Corinzi 11; Romani 8:35-36. E poichè Paolo sta lavorando al presente in Efeso, egli ricorda, a mo' di esempio, i casi che gli sono successi in quella città e ch'egli sa esser noti ai Corinzi.

32 S'egli è per fini terreni

(lett. «secondo l'uomo»; cioè, con fini meramente terreni quali può averli l'uomo naturale)

ch'io ho combattuto con le fiere in Efeso, che utile ne ho io?

Non altro che il danno e le beffe. È chiaro che Paolo allude ad un grave pericolo affrontato in Efeso per la causa di Cristo. Paolo sarebbe egli stato gettato nell'arena per esser divorato dalle fiere come avveniva dei bestiarii? La cosa non è probabile quando si consideri ch'egli era cittadino romano e, come tale, esente da quel genere di supplizio; che Luca negli Atti e Paolo nell'elenco 2Corinzi 11, non fanno parola di un fatto pur cotanto singolare. È dunque più verosimile che alluda, o al pericolo corso in qualche sommossa del genere di quella provocata da Demetrio verso la fine del soggiorno in Efeso Atti 19:5; cfr. 2Corinzi 1:8-11, od alla costante guerra ch'egli ha dovuto sostenere in quella città contro nemici feroci e sanguinarii. Paolo stesso scrive 1Corinzi 16:9, che vi sono, in Efeso «molti avversarii»; e parlando più tardi agli anziani della chiesa, egli ricorda le molte «prove sopravvenutegli per le insidie dei Giudei» Atti 20:19. Si cfr. Romani 16:4, ove dice di Aquila e Priscilla che «hanno esposto il loro collo per la sua vita».

Or tutte queste fatiche e tutti questi pericoli per estendere fra gli uomini il regno di Cristo, sarebbero inutili, se quel regno non avesse da giunger mai al suo coronamento. Invece di consacrar la vita a quell'alto ideale, bisognerebbe con tentarsi dell'ideale epicureo, cercando di godersi questa vita fugace. «ils meurent tout entiers, et leur philosophie consiste à bien jouir d'une si courte vie» (Lafontaine).

Se i morti non risuscitano, mangiamo e beviamo, poichè do mani morremo.

Così dicevano certi Ebrei che aveano perduta ogni speranza della liberazione di Gerusalemme Isaia 22:13. Per Paolo, come per Cristo, il negar la risurrezione equivale alla negazione d'ogni vera vita avvenire Matteo 22:29-32. L'uomo non vive di vita completa, se solo una parte d'esso vive e la personalità non si può scindere senza che resti mutilata. Può essere, d'altronde, che la tendenza dei dottori di Corinto fosse addirittura materialistica.

33 Dinanzi alle disastrose conseguenze morali dell'errore che minacciava d'infiltrarsi come veleno nelle vene della chiesa, Paolo rivolge ai cristiani un serio ammonimento.

Non vi lasciate ingannare: «Cattive compagnie corrompono i buoni costumi».

I Corinzi possono lasciarsi indurre da ragionamenti carnali ad abbandonare la vigilanza e ad assopirsi nell'ebrezza di errori che addormentano la coscienza ed oscurano l'ideale umano. Stieno quindi all'erta contro gli effetti perniciosi che può avere il contatto frequente coi falsi dottori o coi pagani. L'effetto ordinario delle cattive compagnie è stato descritto in un verso del poeta Menandro, divenuto proverbio popolare. Già sono a metà assopiti, ed han bisogno di riscuotersi, con atto morale energico, se non vogliono cader preda di fatale ebbrezza.

34 Destatevi a giustizia

(lett. giustamente; cioè: per viver giustamente),

e non peccate. Perciocchè, in alcuni di voi c'è ignoranza di Dio.

Hanno di Dio un concetto così superficiale così carnale, che non si può chiamare una vera conoscenza del Dio della Redenzione, ch'è l'Iddio della vita e della santità. Toma spesso nel N. T. Il pensiero profondo che la retta conoscenza di Dio non può andar disgiunta da una vita retta. «La luce cresce al giusto» ed «a chi ha sarà dato» 1Corinzi 8:1-3; 1Timoteo 1:19-20; 3:9; 2Tessalonicesi 2:10-12; Giovanni 7:17, ecc. vi parlo [così] per farvi vergogna. Tal'è il testo dei due Msc. più antichi. Altri recano: «ve lo dico per...».

AMMAESTRAMENTI

1. La speranza della gloriosa risurrezione dei redenti ha per fondamento non solo le dichiarazioni e promesse di Dio, ma il fatto della risurrezione di Cristo, da lui stesso dato qual prova suprema ch'egli è la Via, la Verità e la Vita. La risurrezione del Nuovo Adamo è la primizia di una gran messe; è ad un tempo la garanzia ed il tipo di quella dei redenti. La solidarietà che ci lega al primo Adamo ci trasse alla morte; la solidarietà che unisce i redenti al secondo Adamo ci innalza alla vita. Mente acuta e logica. Paolo vede chiaramente e proclama senza reticenze che, tolta la risurrezione di Cristo, la fede e la speranza dei cristiani poggiano sul vuoto, la testimonianza apostolica non risponde ad una realtà. Ma non è soltanto la speranza cristiana che sparisce colla risurrezione del nuovo Adamo. La fede stessa nella provvidenza di Dio non è più possibile. Come credere infatti che Dio governi il mondo, se si dovesse costatare che il cristianesimo colle benefiche influenze esercitate sulla società nel campo delle scienze e delle arti, nel campo sociale coi principii della dignità, della libertà, dell'uguaglianza, della solidarietà umana, soprattutto poi nel campo morale e religioso, che il cristianesimo, dico, non è che un'illusione? «Se la risurrezione del Cristo, esclama il prof. Porret, «è chimerica, vuol dire che dalla menzogna sono scaturiti diciotto secoli di progressi intellettuali e morali, che pur misti a grandi ombre, non sono però meno certi. La più fulgida luce di cui la storia religiosa abbia conservato il ricordo, una luce che fece tutto fiorire, è sorta nel crepuscolo equivoco di una mezza pazzia... Ah! che cosa è dunque l'Essere sovrano che l'universo non svela che a metà, e di cui la storia farebbe il più pauroso degli enimmi? in nome della mia ragione e della mia coscienza, io lo chiamava «Verità», ma bisognerebbe chiamarlo con altro nome... L'inferno avrebbe invaso il cielo». La negazione della risurrezione si urta dunque non solo al fatto meglio attestato della storia antica, cioè al fatto della risurrezione di Cristo, ma si infrange contro al postulati più certi della coscienza morale e religiosa.

2. Per il cuore cristiano, la certezza della risurrezione dei redenti è resa viepiù salda dai fatti dell'esperienza intima e dalle aspirazioni della vita nuova che sono come un istinto superiore che non mente. A codesto senso spirituale la risurrezione gloriosa appare come il necessario compimento della redenzione, come la vittoria finale sul peccato e sulle sue conseguenze. Fin da questa terra, si svolge in chi è unito con Cristo una vita nuova, superiore alla vita naturale. Or questa vita spirituale, lungi dal declinare col declinar del corpo, ubbidisce ad una legge opposta: mentre l'uomo esterno perde le forze e si disfà, l'interno si rinnova e cresce ad immagine di Cristo. Lo spirito del cristiano anela, non ad essere spogliato d'ogni veste corporea, ma ad esser vestito d'un corpo incorruttibile, atto ad esser l'organo della vita perfetta 2Corinzi 5:4. In tutte le sue manifestazioni, anche quando rivesta forme non del tutto commendevoli, il sentimento cristiano contiene l'aspirazione potente verso una vita più completa di comunione con Cristo e con tutti coloro che si sono addormentati nella fede in Lui.

3. Dal lato morale, è pur notevole il fatto che dove la speranza si estende così al corpo come allo spirito, ivi è più alto il concetto della dignità umana, più potente e perseverante la volontà e la pratica del bene sotto le sue forme più sublimi; mentre all'incontro, dov'è meno completa e sparisce del tutto la speranza della vita futura, viene sminuito il concetto della importanza e nobiltà della vita, sparisce a poco a poco ogni ideale di perfezione morale e la vita volgesi alla soddisfazione degli istinti inferiori. «quanti sono fra le miriadi degli esseri umani, coloro che sono disposti a fare il bene per il bene, se essi sanno di dover vivere cinquant'anni e poi sparir per sempre? Andate a dire all'uomo sensuale che, anche per il tempo presente, una vita nobile è migliore di una ignobile; egli vi risponderà: «A me piacciono i piaceri più della virtù; voi potete far quel che vi pare, io mi godrò il mio tempo nel miglior modo...». Se devo vivere soltanto 60 o 70 anni non c'è un eterno bene od un male eterno. Tolta l'immortalità, sparisce il sentimento della infinità del male o della eterna natura del bene... Se l'uomo muore come un cane, perchè dovrebbe egli vivere come un angelo?... Se in noi vi è soltanto quel ch'è nato dalla carne, soltanto il mortale Adamo e non il Cristo immortale, se domani muoiamo, allora non si può scansar la conclusione Mangiamo e beviamo, poichè il presente è il nostro tutto» (F. Robertson).

Se si obbietta che vi sono tra i non credenti delle vite talvolta nobili è il caso di osservare che come le inconseguenze dei cristiani dànno un'idea inferiore al vero dei principii che professano, così le felici inconseguenze dei non credenti possono dare una idea inesatta delle funeste conseguenze morali dei principii che professano. Per avere una idea meno imperfetta della portata morale di una dottrina bisognerà pur sempre osservare l'influenza ch'essa esercita sopra una collettività un poco estesa.

4. Di fronte alla marea d'incredulità materialistica che dilaga in molti paesi così detti cristiani, è confortante la visione del Cristo che regna sovrano e conduce il regno di Dio al suo finale ed infallibile trionfo sopra tutte le podestà avverse.

5. All'infuori della speranza di un migliore avvenire, non c'è nulla che possa rendere un uomo capace di accettare senza mormorio e ribellione le privazioni del presente, la povertà, il disprezzo, le sciagure e la morte. Fu la speranza della gloriosa risurrezione quella che sostenne i primitivi cristiani e di poi attraverso i secoli tutti i credenti, per quanto gravemente travagliati.

6. Chi conosce la debolezza delle sue forze e brama accrescere la propria vita spirituale sceglierà con cura le persone da frequentare, ricordando che «la vita spirituale si spegne nell'atmosfera di una società carnale ed una specie di ebbrezza presto coglie chi la frequenta» (Godet). Ricorderà del pari che la fede non cresce e neppure si mantiene in un terreno di rilassatezza morale.

35 Sezione C 1Corinzi 15:35-58 IL CORPO DEI REDENTI RISUSCITATI O TRASFIGURATI SARÀ SIMILE A QUELLO CELESTE DI CRISTO

Paolo ha stabilito la certezza della risurrezione dei morti, garantita dalla risurrezione e dalla esaltazione di Cristo, postulato necessario di ogni vita cristiana. Gli resta, però, da trattare della natura del corpo risorto, e lo fa in una delle pagine più splendide del N. T., sotto forma di risposta alle obbiezioni della sapienza mondana contro alla possibilità della risurrezione. Termina poi con un canto di vittoria ed una parola d'esortazione

Ma qualcuno dirà: Come risuscitano i morti e con qual corpo vengono essi?

È questa l'obbiezione che si ripete in tutte le età, dai dotti come dagli ignoranti, contro alla dottrina della risurrezione dei corpi. Com'è egli mai possibile che un corpo il quale si dissolve nella terra o nell'acqua, ovvero è arso dalle fiamme, le cui molecole entrano a far parte di altri successivi organismi, sia poi ricostituito e richiamato in vita? I progressi della chimica non sono essi la condanna definitiva della speranza cristiana? L'obbiezione essendo tratta dalle così dette leggi della natura, Paolo trarrà dalle analogie della natura la risposta. Anch'egli ha osservato i fenomeni della creazione inferiore e lo ha fatto con tanto maggiore «intelletto d'amore», che in quella egli contempla la potenza e la sapienza del suo Dio. Le due domande: Come risuscitano... Con qual corpo vengono (fuori dal sepolcro), esprimono in fondo la stessa obbiezione, in due diverse forme.

36 Chi la fa si crede molto savio, perciò Paolo, rintuzzando un tale orgoglio risponde: Stolto! uomo senza intendimento (Luca 24:15); e lo invita a por mente a quanto avviene sotto agli occhi suoi, anzi col suo proprio concorso.

Quel che tu [stesso] semini

(lett. Tu, quel che semini...)

non è vivificato se prima non muore

Giovanni 12:24. È la legge che presiede alla riproduzione delle piante per mezzo dei semi. Sotto l'azione del calore e dell'umidità del suolo, la parte più considerevole del seme fermenta e si dissolve, mentre il germe vitale si sviluppa, per produrre alfine una pianta simile a quella che avea dato il seme. Per mezzo della dissoluzione si giunge alla vita. Non è dunque il caso di stabilire come un assioma che la putrefazione del corpo umano nel sepolcro, rende assolutamente impossibile la risurrezione di esso. Può esserci dissoluzione di quasi tutta la sostanza materiale che componeva un corpo senza che perisca il germe vitale che servirà alla ricostituzione di un corpo nuovo, simile al primo, per quanto di gran lunga superiore.

37 E non è necessario onde esista somiglianza e relazione organica tra il corpo risorto e il corpo di prima, ch'essi siano composti delle stesse identiche molecole materiali.

E quanto a quel che tu semini, tu non semini il corpo che avrà da nascere, ma un granello ignudo,

privo di ogni apparenza e bellezza,

secondo che capita, di grano o di alcuno degli altri semi.

38 E Dio gli dà un corpo, secondo che l'ha voluto

e stabilito fin dalla creazione

ed a ciascuno dei semi, un corpo suo proprio,

secondo la specie, o la varietà cui appartengono, e perfino secondo gl'individui. Così porta il testo emend. che sopprime l'articolo davanti a «corpo». La pianta nel suo primo stadio, il seme, è qualcosa di misero relativamente a quel che sarà nello stadio del suo pieno sviluppo. Quando è giunta a questo, non solo non è più composta della identica sostanza materiale di prima, ma è divenuta un organismo infinitamente superiore. Non si può dire che sia una creazione nuova, senza connessione organica colla prima, poichè è lo svolgimento del germe vitale del seme, ma d'altra parte, quale distanza tra la ghianda e la quercia fronzuta, tra il nudo granellino ed il melo coperto di fiori! Fin d'ora, si può vedere che l'Apostolo non insegna, come facevano i rabbini e come hanno fatto ancora varii padri della Chiesa, l'identità materiale del corpo risorto col corpo terrestre. L'obbiezione del materialismo non può dunque colpire la dottrina cristiana. Si confr. l'insegnamento di Cristo Matteo 22:29-30; Luca 20:34-36. Quella stessa varietà di organismi (chiamati a bella posta corpi) che si osserva nel regno vegetale, si può notare del pari nel regno animale, al quale si riannoda l'uomo per il lato fisico.

39 Non ogni carne è la stessa carne:

Non ogni organismo animale si compone delle identiche sostanze, nè queste sono combinate nella stessa proporzione; talchè vi è, anche qui, grande diversità.

anzi, altra è la [carne] degli uomini, altra la carne delle bestie,

ossia del bestiame che serve all'uomo, dei quadrupedi;

altra la carne degli uccelli, ed altra quella dei pesci

(testo emend.). L'ordine seguito in questa enumerazione risponde alle grandi categorie di esseri viventi mentovate in Genesi 1.

40 Nè solo sulla terra osservasi la ricca e sapiente varietà voluta da Dio fra le sue creature; ma la si può vedere dovunque lo sguardo nostro giunge.

Vi sono ancora dei corpi celesti e dei corpi terrestri.

I corpi e organismi terrestri sono quelli che sono atti a vivere sul globo terrestre. I corpi celesti sono quelli che si muovono nell'infinito spazio sopraterrestre. Non si tratta di corpi d'angeli, poichè gli angeli sono degli spiriti Ebrei l:14, e solo occasionalmente, nelle apparizioni, rivestono forma visibile. D'altronde l'Apostolo si appella qui ai fatti che tutti possono costatare coi loro occhi nell'universo di Dio. Si tratta dunque, come risulta dal seguito, di quelli che si chiamano oggi comunemente i corpi celesti, quali il sole, la luna e le stelle. Se Paolo li chiama «corpi», è perchè dall'osservazione della natura, i lettori si persuadono non essere inammissibile che vi sia un corpo umano celeste come ve n'è uno terrestre.

ma altra e la gloria dei celesti, altra quella dei terrestri.

«La gloria è lo splendore di cui raggiano gli esseri. Quelli terrestri hanno il loro: i fiori nella varietà delle loro forme e dei loro colori; gli animali nella loro agilità, grazia e forza; l'uomo nella nobiltà del suo portamento, nella freschezza del suo colorito e nella viva luce del suo sguardo. Ma quanto maggiore lo splendore dei corpi celesti che illuminano la terra coi loro raggi!» (Godet).

41 Quei globi lontani che popolano lo spazio, non li possiamo più studiare che in modo imperfetto. Ma stando alla loro apparenza, anche in quella parte del creato la sapienza di Dio ha stabilito grande varietà.

Altra è la gloria,

l'abbagliante splendore,

del sole, ed altra la gloria della luna

dai raggi pallidi e tranquilli,

ed altra la gloria delle stelle

scintillanti nel firmamento. E dice le stelle al plurale, volendo accennare alla varietà di splendore che esiste anche fra quei mondi immensi, per quanto all'occhio paiano sì piccoli.

infatti una stella differisce dall'altra in gloria.

42 Così avviene nella risurrezione dei morti

lett. «così [è] la risurrez...» il così implica che vi è tra l'opera di Dio nella natura e l'opera sua nella risurrezione una grande analogia, per cui l'osservator della natura non deve trovar incredibile la risurrezione. Tale analogia si vede specialmente nel fatto che la vita di un organismo può conservarsi anche quando si dissolva l'involucro suo più materiale: che uno stesso organismo può assumere, secondo lo stadio di vita in cui si trova, uno splendore molto diverso, può non esser composto delle stesse molecole materiali di prima, senza che cessi perciò la sua identità individuale. Inoltre la natura dimostra quanto grande sia la sapienza e potenza di Dio nell'infinita varietà dei corpi che egli adatta alle funzioni ch'essi devono adempiere ed alla sfera in cui devono muoversi. Non potrà Egli chiamare a vita nuova e più perfetta il corpo umano trasformandolo per modo che risponda ai requisiti della vita celeste? Ed è quello ch'Egli farà.

[Il corpo] è seminato in corruzione, risuscita in incorruttibilità.

L'esser seminato non si applica soltanto al seppellimento del corpo divenuto cadavere, nè alla procreazione del corpo, ma comprende tutto lo stadio della sua esistenza terrestre, dalla culla fino alla tomba. Tale stadio corrisponde alla prima forma dell'esistenza della pianta, quando è racchiusa nel nudo seme. Come questo, il corpo umano va soggetto al decadimento, alla dissoluzione che prima è lenta e graduale, ma poi diventa completa nella fossa. Confr. (2Corinzi 4:16). È seminato «in [istato di] corruzione», ma risorge «in [istato di] incorruttibilità», cioè non solo sano, ma non più soggetto ad alcuna specie di decadimento.

43 È seminato in disonore

In istato tale che va soggetto all'avvizzimento d'ogni freschezza, e d'ogni splendore; è deturpato da mille deformità ed imperfezioni, fìnchè, ridotto cadavere, è oggetto di ripulsione e si deve sotterrare:

risuscita in gloria

nel pieno splendore della bellezza e della perfezione.

È seminato in debolezza,

che comincia dall'infanzia, si continua nello stato limitatissimo delle forze corporali dell'uomo, diventa più penosamente manifesta nelle malattie, e finisce col divenir cronica nelle infermità della vecchiaia;

risuscita in forza

ossia nella pienezza, nell'abbondanza di una forza perenne. L'esempio del corpo di Cristo risuscitato, ha condotto alcuni a pensare, non senza fondamento, che il corpo risorto abbia ad esser dotato di capacità e fors'anche di sensi ignoti al corpo terrestre.

È seminato corpo adatto all'anima risuscita corpo adatto allo spirito.

L'originale dice propriamente corpo psichico, e corpo pneumatico o spirituale. Psichico non significa: partecipe della natura dell'anima (psiche), come pneumatico non vuol dire: partecipe della natura dello spirito (pneuma). Un corpo di natura spirituale non sarebbe più un corpo. Vedi per la distinzione biblica tra l'anima e lo spirito, le note sotto a 1Corinzi 2:14. Il corpo attuale è «psichico» (Diod. «animale»), in quanto è adatto alla vita naturale terrestre; ed è perciò fatto di carne e di sangue 1Corinzi 15:50, dotato degli organi della nutrizione 1Corinzi 6:13 e della generazione Luca 20:34-36, che sono funzioni della vita di quaggiù. Il corpo risorto sarà «spirituale» in quanto sarà un organo adatto alla vita superiore dello spirito. «A chi negasse la facoltà nella materia di piegarsi in tal modo all'azione dello spirito, io domanderei di dire che cosa è la materia; Voi, per mostrar gli quello che può essere la materia spiritualizzata, lo inviterei a considerare l'occhio dell'uomo, quel vivente specchio in cui si esprimono in modo così vivo e così potente, tutte le emozioni dell'anima. Sono questi dei semplici preludi della gloria d'un corpo risuscitato. Più lungi non possiamo andare; un «corpo spirituale» è fra le cose che «occhio non ha vedute e che non son salite al cuor dell'uomo, ma che Dio tiene in serbo per quelli che lo amano» (Godet).

44 Se vi è un corpo adatto all'anima, vi è altresì un corpo adatto allo spirito.

Tale il testo emendato, il cui senso è: Se nel piano di Dio vi è posto per quell'organismo meraviglioso ch'è il corpo terrestre, organo adatto alla vita naturale, psichica, vi è posto altresì per un organismo adatto alla vita spirituale della sfera celeste. Nè manca al Dio ch'è l'autore dell'infinita varietà dei corpi esistenti, la potenza o la sapienza necessaria a dotare lo spirito santificato di un tale organo.

45 Così ancora è scritto: «il primo uomo, Adamo, fu fatto in anima vivente».

La citazione un pò amplificata è tolta da Genesi 2:7, ov'è descritta la formazione del primo uomo. L'originale che esprime il risultato del processo di creazione, si potrebbe rendere: risultò un'anima vivente. Era questo nella scala degli esseri della creazione terrestre il più alto grado raggiunto; ma, nella vita dell'uomo, era il primo stadio del suo sviluppo. Da quella infanzia morale ove il principio dominante era, come lo è nel bambino, l'anima sede dei naturali affetti, l'uomo doveva salire gradatamente, per la via di una cosciente ubbidienza fino al pieno sviluppo della vita spirituale nella comunione con Dio. Quello che nel primo Adamo non si è avverato, lo ha realizzato il secondo;

l'ultimo Adamo [fu fatto] in ispirito vivificante.

In Cristo è stato raggiunto l'ideale umano più alto. In lui domina lo spirito, principio di vita superiore, più potente ed imperitura, che si comunica anche al corpo destinato a servirgli di organo. Perciò è «spirito vivificante». E questo egli è non solo per sè stesso, come lo ha mostrato la sua risurrezione, ma lo è per coloro che sono a lui uniti e che saranno da lui risuscitati a vita nella di lui apparizione.

46 Però non viene prima lo spirituale, ma lo psichico (naturale); poi [viene] lo spirituale:

secondo la legge che si osserva nelle opere di Dio ove ciò ch'è meno perfetto precede quello ch'è più perfetto. Esempio: la creazione Genesi 1. Non altrimenti sarebbe avvenuto nello sviluppo normale dell'uomo, se non fosse stato interrotto dal peccato. Si confr. quanto avvenne in Gesù Luca 2:40,52; 3:22. La redenzione in Cristo innalza l'uomo all'altezza cui lo destinava il disegno di Dio; talchè dopo lo stadio della vita terrestre, i redenti giungono al pieno possesso della vita superiore, con un corpo adatto allo stato celeste.

47 Il primo uomo [tratto] dalla terra, è terreno

lett. «di polvere» Genesi 2:7;

il secondo uomo (testo emend.) [è] dal cielo

Egli è bensì nato quaggiù, ed ha vissuto ed è morto con un corpo terrestre; ma egli è risorto, è salito alla destra di Dio e quando verrà nella sua gloria, per trasformare «il corpo della nostra umiliazione all'immagine del corpo della sua gloria» Filippesi 3:21, egli scenderà dal cielo.

48 Qual'è il terreno,

Il primo capo della umanità che fu tratto dalla polvere,

tali sono anche i terreni,

cioè noi tutti mentre dura lo stadio terrestre.

e qual'[è] il celeste, tali saranno anche i celesti,

ossia coloro i quali, uniti per fede al nuovo Adamo, avranno parte alla vita celeste. «Noi sappiamo che quand'egli sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo quale egli è» 1Giovanni 3:2.

49 E come abbiam portata l'immagine del terreno

durante la vita terrestre,

porteremo ancora l'immagine del celeste

dopo la risurrezione gloriosa. Come risulta da tutto il contesto, si tratta d'immagine o di somiglianza corporale, non morale; per quanto la prima non possa esistere senza la seconda. Il non aver compreso questo, ha fatto introdurre qui nel testo una di quelle varianti le quali, sebbene abbiano per sè l'autorità della maggioranza dei Msc., pure vanno rigettate per l'irresistibile forza dell'evidenza interna. Quattro d'infra i cinque codici più antichi leggono nella seconda parte del versetto:

«portiamo» o «facciamo di portare anche l'immagine...»

Necessariamente si tratterebbe di un'esortazione a camminare santamente. Ma qui Paolo non esorta; afferma che il corpo dei redenti risuscitati sarà simile a quello dell'Adamo celeste. L'esortazione verrà a 1Corinzi 15:58. La variante ha potuto tanto più facilmente introdursi che si tratta di un semplice allungamento di vocale (Il sogg. Φορεσωμεν invece del fut. Φορεσομεν). Si confr. casi analoghi in Romani 5:1; Marco 7:19. Il testo ordinario si appoggia al Msc. Vaticano (B), alle verss. Siriaca, Etiopica, ecc.

50 Alla domanda: «Come risuscitano i morti e con qual corpo hanno da venire?» l'Apostolo ha oramai 1Corinzi 15:35-49 risposto giovandosi delle analogie della natura e dei fatti avveratisi nel secondo Adamo.

In 1Corinzi 15:50-53, egli fa un passo di più, affermando che la trasformazione del corpo psichico attuale in corpo spirituale, non solo è possibile, ma è assolutamente necessaria e deve perciò effettuarsi in tutti coloro che sono per eredare il regno di Dio, siano essi morti o viventi al momento della venuta di Cristo.

Ora, questo io dico, fratelli,

questa è la verità che intendo affermare,

che la carne ed il sangue

di cui si compone il corpo nostro terreno Ebrei 2:14; Galati 1:16; Efesini 6:12

non possono eredare il regno di Dio,

non sono adatte allo stato perfetto che seguirà l'apparizione di Cristo. Nel «non possono», viene espressa l'assoluta incompatibilità tra il corpo attuale e lo stato futuro. «Un corpo come questo sarebbe una cortina che ci nasconderebbe la faccia di Dio, un strumento troppo debole per sopportar le emozioni della vita celeste, un agente troppo pesante per eseguire le opere che si devono compiere in quel nuovo stato» (Godet). C'è inoltre una ragione più profonda espressa nella sentenza che segue, parallela alla prima e ad un tempo spiegativa di quella:

nè la corruzione ereda l'incorruttibilità.

Si tratta di una legge costante di Dio. Applicata al corpo, torna a dire che il corpo attuale corruttibile non può aver parte allo stato ove regna l'incorruttibilità. Donde la necessità di una trasformazione per tutti, senza eccezione. Diversi antichi dottori hanno dato a questo vers. un senso puramente morale che non si addice per nulla al contesto. Ne va ricercata la ragione nel fatto che quei padri insegnavano quello appunto che Paolo esclude: cioè l'identità materiale del corpo risorto coll'attuale. Di una tale idea erronea trovasi l'eco nel simbolo detto apostolico, là dove dice: «Credo... la risurrezione della carne», mentre si avrebbe a dire: «del corpo».

51 Ecco io vi dico un mistero:

una cosa che non potreste conoscere senza la rivelazione di Dio 1Tessalonicesi 4:15-17:

Non tutti morremo

(lett. «ci addormenteremo»),

ma tutti saremo mutati,

qualunque sia lo stato in cui ci troverà la venuta di Cristo. Se morti saremo risuscitati; se vivi, saremo trasfigurati. Adoperando la prima persona del plurale, Paolo non intende affermare nulla di speciale riguardo a sè ed ai suoi lettori. Il noi va inteso in senso generale dei credenti. Tale trasformazione avverrà in modo subitaneo:

in un attimo, in un batter d'occhio;

avverrà

al [sonar] dell'ultima tromba.

La tromba si usa per dare i segnali Zaccaria 9:14; Esodo 19:6; Matteo 24:31; 1Tessalonicesi 4:16. Nell'ultimo passo indicato è chiamata «tromba di Dio». È anche l'ultima perchè la venuta di Cristo 1Corinzi 15:24 che segnerà il momento della vittoria sull'ultimo nemico, segnerà anche la fine della presente economia. In 1Tessalonicesi 4; 5 si parla non solo di risurrezione e di trasfigurazione, ma di giudicio sugli empi. (confr. 2Tessalonicesi 1:7-10).

52 La tromba infatti suonerà,

sarà dato il segnale,

ed i morti risusciteranno incorruttibili e noi saremo mutati.

Un'identica successione dei fatti trovasi indicata nel passo parallelo della 1Tessalonicesi... Se Paolo dice noi, come altrove dice: Noi, i viventi rimasti.. è semplicemente perchè ignorando il tempo della venuta di Cristo, egli parla come se potesse avvenire anche prima della sua morte. Altrove dice noi parlando di coloro che risusciteranno 1Corinzi 6:14; Filippesi 3:10-11. Non ignorava però, che l'apparizione di Cristo doveva esser preceduta dalla predicazione del Vangelo in tutto il mondo, dall'avvento dell'Anticristo e da altri segni ancora: ond'è che, nell'ultima parte della sua carriera, egli parla degli ultimi giorni come di cosa più lontana, mentre la sua morte gli appare prossima 1Timoteo 4:1; 2Timoteo 3:1; Filippesi 1:20-21; 2:17; 2Timoteo 4:1,6-8,18.

53 Perciocchè, bisogna che questo nostro corpo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo

corpo

mortale rivesta immortalità

per poter entrare nel regno della perfezione. Il rivestire contiene l'immagine d'un abito, come dì nozze, che si indossa prima d'entrar nella sala del convito. (Cfr. 2Corinzi 5:1-5). L'incorruttibilità è la condizione dell'assoluta immortalità.

54 Quando quell'ultimo atto (la trasfigurazione dei viventi) sarà avvenuto, allora, per quanto concerne il popolo di Dio, solo contemplato in questo capitolo, sarà compiuta la vittoria della vita sulla morte, e si potrà intonare l'inno del trionfo.

E quando questo corruttibile avrà rivestita incorruttibilità e questo mortale avrà rivestita immortalità. allora sarà adempiuta

(lett. avverrà)

la parola ch'è scritta

in Isaia 25:8; Osea 13:14:

La morte è stata inghiottita nella vittoria,

o: in vittoria. L'immagine pare esser quella del mare che inghiottisce, senza che ne resti alcuna traccia, i bastimenti o le persone. Le onde vittoriose che inghiottiscono la morte sono quelle della gloriosa risurrezione completata colla trasmutazione dei viventi. La citazione d'Isaia non è fatta secondo la LXX e neppure letteralmente secondo l'ebraico, invece di: «Egli (Dio) inghiottisce (o consuma) la morte...», Paolo mette il passivo. Inoltre, rende l'Ebr. lanetsach: «in vittoria», mentre di solito vale: «a perpetuità», per sempre. Si può osservare che la traduzione di Paolo, che riproduce ad ogni modo l'idea, si ritrova nelle versioni posteriori fatte da giudei.

55 L'altra parola biblica che si troverà avverata, è l'apostrofe trionfante rivolta alla morte in Osea 13:14:

Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo dardo?

Tal'è il testo accettato dai migliori critici. Anche qui la citazione non segue in tutto la LXX: L'ebraico dice: «Dov'è, o morte, la tua pestilenza? Dov'è, o luogo dei morti (Scheôl), il tuo contagio?» La morte è stata fin qui vittoriosa, anche sui corpi dei redenti e li ha tenuti prigioni in suo potere. Colla risurrezione, la sua preda le è tolta: non le rimane nulla. Finora, col suo dardo come d'insetto velenoso Apocalisse 9:10, essa ha potuto uccidere tutti gli uomini; ma ora quel dardo terribile ha perduto ogni efficacia, anzi non esiste più. E come mai ha potuto una tal vittoria ottenersi sulla morte? L'Apostolo lo ricorda dandone tutta la gloria a Dio che ci ha salvati per mezzo di Cristo.

56 Or il dardo della morte,

ossia quel che dà alla morte il suo potere micidiale sull'uomo,

è il peccato,

poichè «il salarlo del peccato è la morte» Romani 6:23;5:12; Genesi 2:17. Senza il peccato, l'uomo non sarebbe caduto in preda alla morte:

e la forza del peccato è la legge.

Quel che rende il peccato così terribile nelle sue conseguenze è la legge, ossia la volontà di Dio che prescrive all'uomo il dover suo e determina la punizione della disubbidienza. Senza la legge che comanda o vieta, non ci sarebbe trasgressione Romani 5:13, ed il peccato non essendo portato in conto come tale, non trarrebbe seco alcuna condannazione. Invece la legge c'è che dà al peccato tutta la gravità d'una ribellione contro a Dio e condanna alla morte il peccatore.

57 Ma grazie sieno rese a Dio il qual ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo.

Non all'uomo perduto, ma a Dio misericordioso appartiene la gloria della salvazione Apocalisse 1:6; 5:9-10. Egli ha mandato il suo proprio Figlio ad assumere la nostra natura terrena qual nuovo Adamo. Col dare soddisfazione alla legge di Dio, Cristo l'ha disarmata; coll'espiare il nostro peccato, egli l'ha cancellato; col rigenerarci a nuova vita, egli fa morir il peccato in noi; e finalmente, col darci un corpo incorruttibile, egli corona la sua vittoria sul male e sulla morte.

58 La conclusione pratica colla quale Paolo chiude la sua sublime esposizione dottrinale, è concisa, ma ricca nella sua brevità.

Pertanto, fratelli miei diletti, state saldi

come un edificio che riposa sopra fondamenta sicure, incrollabili, non smossi facilmente da ogni vento di erronea dottrina. Lo sono stati finora, sì mostrino tali anche contro ai negatori della risurrezione. Questo per la dottrina. Per la pratica attività, Paolo aggiunge:

abbondanti del continuo nell'opera del Signore.

Ove la fede è vacillante, manca la molla dell'operare; ma una volta accertato il saldo fondamento della fede, l'attività deve farsi ricca, svariata, intensa. L'opera del Signore è quella cui ci chiama il Signor Gesù, che ha per fine di glorificar Lui e di estendere il suo regno. Tale opera non va fatta in modo intermittente, ma «del continuo», con ogni perseveranza e senza scoramenti Galati 6:9-10. Il movente ad un tale perseverante e zelante operare non manca:

Sapendo,

fatti più che mai certi, da quanto vi ho esposto,

che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Risulterà vana quella che non è consacrata al Signore, che si spende restando estranei a Lui; ma se faticate in comunione col Signore e per lo stabilimento del suo regno, voi non fate opera vana, poichè quel regno trionferà di ogni potenza avversa, avrà nella risurrezione il suo coronamento, e voi avrete parte alla gloria ed alla beatitudine di esso, in eterno.

AMMAESTRAMENTI

1. L'insegnamento di Paolo circa il corpo risorto, è una confutazione anticipata delle obbiezioni moderne, sia che vengano dal materialismo o dallo spiritualismo esagerato. Il corpo non ha da risorgere nè colla stessa sostanza materiale, nè per le identiche funzioni della vita presente psichica. Non hanno dunque fondamento le obbiezioni tratte dalla perpetua circolazione da un organismo all'altro degli atomi che già componevano il corpo terreno. D'altra parte non è fondato il timore che il corpo possa esser d'impaccio allo spirito, poichè sarà, invece, adattato appunto alla vita spirituale. La maggior parte delle obbiezioni contro alla risurrezione dei corpi non colpiscono la dottrina biblica, ma solo i concetti imperfetti e grossolani di essa.

2. Nei fenomeni della natura, osservata con intelletto d'amore come opera che rivela parzialmente Dio e la mente sua, Paolo vede, se non delle prove, almeno delle analogie atte a corroborare la fede nelle leggi che presiedono al mondo spirituale. Così la natura gli mostra come la morte stessa può talvolta servire allo svolgimento della vita; come il mutamento di sostanza in un organismo non ne distrugge l'identità; come la sapienza e potenza di Dio si palesano inesauribili nella varietà con cui Egli ha provveduto e provvede di forme e di organi diversi ogni specie di esseri anzi ogni varietà e perfino ogni individuo. Mentre queste analogie non permettono di dubitare che Dio sappia o possa provvedere ai redenti un corpo adatto alla vita celeste, esse sono un grande incoraggiamento allo studio accurato delle opere di Dio. I misterii stessi che la natura ci offre ad ogni pie sospinto ci devono insegnare l'umiltà di fronte a quelli più alti del mondo spirituale.

3. Siamo chiamati nel nostro pellegrinaggio terrestre a vedere, se non sempre a sperimentare in noi stessi, le svariate infermità, le malattie, le deformità, il decadimento, ed in fine la dissoluzione nella morte, del corpo. Quale conforto per i redenti di Cristo il poter contemplare in fede il giorno in cui saranno rivestiti d'un corpo non più soggetto alla debolezza, alla malattia, al disfacimento della morte, d'un corpo simile a quello del glorioso Salvatore? Con tale sicura speranza nel cuore possiamo accettare con pazienza le infermità e le sofferenze di quaggiù che sono «per un breve tempo»; possiamo con serenità vedere avvicinarsi la morte che colpisce il «corpo della nostra umiliazione» disadatto al regno dei cieli; possiamo sull'orlo della tomba ove deponiamo i resti mortali dei nostri cari piangere sì, ma non come quelli «che non hanno speranza». Il trionfo della morte sui redenti di Cristo non è che apparente e temporaneo. Chi sarà inghiottito per sempre sarà la morte. I cuori che ora gemono aggravati, le labbra da cui esce il lamento del dolore intoneranno da ultimo l'inno del trionfo che salirà per sempre al «Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro G. C.».

4. In un'epoca come la nostra in cui è tanto facile che «cattive compagnie corrompano buoni costumi» ed insegnamenti malsani sovvertano la fede, dobbiamo adoprarci vie più a render salda ed incrollabile la fede nostra e dei nostri fratelli. Ciò è tanto più necessario che la speranza della gloriosa risurrezione non è solo fonte di consolazione, ma è potente incentivo ad una abbondante e costante attività cristiana. Molta parte dell'umana attività risulterà alla fine vana, non così l'opera spesa al servizio del Signore. «Egli non è ingiusto per dimenticare, a danno dei suoi, la fatica della loro carità... Coloro che servono Dio ricevono un largo compenso. Non possono fare nè soffrire troppo per un Padrone così eccellente. Se lo servono ora, lo vedranno in appresso; se soffrono per lui sulla terra, regneranno con lui nel cielo, se muoiono per amore di lui, risorgeranno dai morti e saranno coronati di gloria e d'onore» (Henry).

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